Numero 21 del 2020
Titolo: La Storia dell'Unione
Autore: Vincenzo Massa
Articolo:
La Presidenza Bentivoglio
«Nella vita dei Sodalizi, come in quella degli individui e dei popoli, basta un periodo di rilassamento per ricascare indietro di secoli e ritrovarsi allo stesso punto da cui occorsero i più gravi sacrifici per sollevarsi». A. Nicolodi
Nel 1943, quando Aurelio Nicolodi fu costretto a rassegnare le dimissioni da ogni incarico ricoperto nelle istituzioni dei Ciechi per imposizione del Maggiore Carità capo delle SS italiane, l'Unione fu guidata da un triumvirato composto da Paolo Bentivoglio, Gian Emilio Canesi e Teubaldo Daffra. Il ruolo di conduzione e di responsabilità dell'organizzazione, di fatto, fu assunto da Paolo Bentivoglio. Erano anni difficili e drammatici per l'Italia che in un attimo passò dalla sfiducia a Mussolini, all'armistizio di Badoglio, all'occupazione dei tedeschi. I ciechi italiani dovettero fare i conti con quei cambiamenti drammatici provando a difendere in primo luogo le fabbriche e a fare in modo che l'Unione Italiana Ciechi non venisse cancellata. Tra il 1943 e il 1945 molti ciechi decisero di arruolarsi nelle brigate partigiane, fra questi c'era, anche, Bentivoglio. Tutti immaginavano che i suoi spostamenti da Bologna, dove dirigeva con grande prestigio l'istituto per ciechi «F. Cavazza», avessero per scopo il contatto con Aurelio Nicolodi, cosa vera per molti versi, ma molti di quei viaggi Bologna-Firenze gli servivano, anche, per le sue attività clandestine di partigiano.
Paolo Bentivoglio nacque a Modena il 26 giugno 1894 e studiò presso l'istituto dei ciechi di Milano. A 16 anni si iscrisse al Partito Socialista Italiano: un anno dopo era già delegato della sua città al Congresso Nazionale del partito e, successivamente, fu eletto al Consiglio Comunale e poi al Consiglio Provinciale di Modena. Nel 1926 i fascisti gli bruciarono lo studio. Fu segretario della Camera del Lavoro di Modena fino alla sua chiusura per intervento fascista. Nel 1931 fu Direttore dell'Istituto «Francesco Cavazza» di Bologna. Nella sua casa bolognese si riunì il Cnl dell'Emilia Romagna, mentre nell'istituto vennero protetti partigiani e perseguitati politici. Partigiano combattente, ottenne la Croce al Merito di guerra; inoltre ebbe il riconoscimento della Medaglia d'argento al valore civile per aver portato in salvo, nel gennaio 1945, un gruppo di donne cieche. Questo, però, non era bastato per fermare gli attacchi interni ed esterni che avevano puntato a non far celebrare il Congresso che si svolse il 13 e 14 novembre del 1945 a Roma. In particolar modo i socialisti e i comunisti fiorentini, compresi quelli che militavano nel sindacato, per provare in ogni modo a bloccare tutto si erano alleati con una parte di ciechi che erano all'interno delle fabbriche, complice la crisi del momento, riuscirono ad infiammare quelle anime il cui unico scopo era quello di poter ottenere una pensione. Si mobilitò anche il Ministro dell'Interno dell'epoca e quando si seppe che il successore di Nicolodi sarebbe stato Paolo Bentivoglio, da Firenze partì il commissario dell'Ente Lavoro per i Ciechi, il socialista ing. Inburnona, che invitò a cena i delegati della Toscana per tentare di rompere il fronte unitario che, invece, si andava delineando dai lavori congressuali. Ma neanche questo servì perché Paolo Bentivoglio veniva eletto secondo presidente dell'Uic. Quel Congresso riconfermò la gratitudine per Nicolodi, che aveva contribuito al risveglio sociale dei ciechi, ritrovò compattezza ed unità affidando la guida del sodalizio a una voce nuova che si apprestava a chiamare a raccolta tutte le energie per la difficile ripresa. Ecco come amava descrivere Giuseppe Fucà la passione politica di Paolo Bentivoglio: «Bentivoglio aveva il socialismo nel sangue, ce ne parlava con trasporto. Amava la lotta, non curava il rischio, era un formidabile oratore, uno scrittore eccezionale, un uomo che nella polemica smarriva quell'educazione, quella signorilità, quel tratto elegante di galantuomo di fine Ottocento che lo facevano sentire a suo agio in ogni salotto della borghesia, senza perdere mai i suoi connotati di progressista».
La presidenza Bentivoglio si trovò subito a dover affrontare la crisi del lavoro, a poco a poco si andava sgretolando tutto quello che era stato costruito negli anni con le fabbriche di Firenze, e a questo si dovette aggiungere la grande avversione delle forze politiche dell'epoca perché molti degli esponenti politici, in particolare quelli fiorentini, accusavano l'Uic di collusione con il fascismo. A rendere più complicata la situazione ci pensò il governo con l'abrogazione della «Deca» che avvenne col Regio Decreto Legislativo 30 maggio 1946 n. 538. La Deca era stata ottenuta nel 1943 e prevedeva che una piccola percentuale dell'incasso degli spettacoli andasse all'Uic per creare un fondo autonomo che sarebbe stato utilizzato per erogare le pensioni ai ciechi. Le vicende belliche, di fatto, non avevano mai fatto attuare quella legge. Una doccia fredda per il nuovo Presidente Paolo Bentivoglio per l'inizio duro e faticoso del suo mandato. Ma questo non bloccò l'azione dell'Uic che qualche mese dopo riuscì a recuperare ruolo ed autorevolezza. Nella giunta esecutiva fu eletto, in quel Congresso romano, Carlo Bussola presidente della sezione napoletana, che tra l'altro era stato compagno di studi dell'allora Capo Provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola. Grazie a quella sua amicizia, lui, Paolo Bentivoglio, da poco eletto presidente dell'Uic, e Aurelio Nicolodi, furono ricevuti dal Presidente De Nicola che affermò: «Bene Carlo, oggi i ciechi aprono una nuova strada alla solidarietà sociale mediante una norma di diritto». Da quell'incontro nacque il diritto dell'Unione Italiana dei Ciechi di rappresentare gli interessi morali e materiali dei non vedenti italiani. Una delle cose che colpisce di più nelle parole del presidente De Nicola è quella di aver parlato di solidarietà sociale e non di assistenzialismo. Il Presidente De Nicola non mancò di parola e fece diventare legge lo strumento che aveva immaginato di dare all'Uic affinché potesse operare ed essere riconosciuta da tutte le istituzioni; era il 26 settembre del 1947 quando arriva il Decreto Legislativo del Capo Provvisorio dello Stato numerato con il 1047, pubblicato sulla Gu 234 del 11-10-1947.
Ma Bentivoglio sapeva bene che quello era solo un primo passo e che era giunto il momento di ritornare all'attacco per fare in modo che fosse riconosciuta una pensione ai ciechi civili e che l'Ente per il Lavoro potesse essere finanziato per permettere alle fabbriche di non chiudere. I ciechi fiorentini, guidati da uomini di spessore come Giuseppe Fucà, iniziarono a presidiare tutti i comizi elettorali per consegnare un documento con le richieste della categoria elaborato dalla Presidenza nazionale. Il gruppetto di valorosi, così come poi racconterà lo stesso Fucà, non mancò a nessun appuntamento ed in molte circostanze fu invitato dagli stessi oratori a rimanere sul palco, riportando così l'attenzione del paese sulle problematiche dei ciechi. La sconfitta bellica, però, faceva sentire forte il suo peso su un paese avvilito e povero, la giovane repubblica tentennò non poco quando l'America e la Russia iniziarono a creare le proprie zone d'influenza, in Italia questo segnò la fine del governo d'unità nazionale che da lì a poco, con le elezioni del 1948, portò la Dc ad essere primo partito ed il paese entrare nella sfera d'influenza statunitense. I dirigenti dell'Uic si trovarono pronti a quei cambiamenti tanto da riuscire dopo due anni a portare a casa un'importantissima vittoria. Era il 28 luglio del 1950 quando fu approvata la legge n. 626 che assegnava all'Unione Italiana dei Ciechi un contributo ordinario di lire 480 milioni annui, da destinarsi all'assistenza continuativa dei ciechi in condizione di maggior bisogno. Con la stessa Legge il contributo di funzionamento in favore del Sodalizio passava da 15 a 20 milioni annui. Era la prima vittoria di una serie di lotte dure che ci vedranno lungamente impegnati. Anche se per precisione dobbiamo ricordare come il lavorio intenso di Bentivoglio aveva già ottenuto un altro passo importante con la legge 376, del 15 giugno dello stesso anno, che istituì negli organici degli ospedali e degli istituti fisioterapici un posto di massaggiatore, da conferirsi agli abilitati da scuole autorizzate di massaggio, con preferenza ai ciechi. Un grande successo per quei tempi, soprattutto tenendo conto degli ostacoli e delle resistenze che questo primo risultato aveva dovuto superare prima di poter divenire realtà operativa.