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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Kaleîdos

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Numero 9 del 2020

Titolo: Ancora sulle donne

Autore: Luisa Bartolucci


Articolo:
Afferro con energia il testimone passatomi dall'amico e collega Vincenzo Massa, non senza qualche difficoltà, proprio a causa del periodo particolare che stiamo vivendo, che porta a soffermarsi e ad indugiare su molteplici questioni, ne cito una tra tutte: la violenza domestica, che sembra aver purtroppo subito recrudescenze proprio in un momento come quello presente. Tuttavia proverò a proporvi qualche spunto di riflessione su quanto richiestomi.
Mi sono avvicinata all'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, allora soltanto Unione Italiana Ciechi alla fine degli anni Ottanta. Ero molto giovane e mi ponevo una miriade di quesiti, in quanto donna, in quanto giovane, in quanto studentessa. Sino ad allora avevo frequentato le cosiddette scuole comuni e, per la verità, non avevo né amici né conoscenti con problemi di vista, certamente non per scelta, ma per una casualità; i numerosi punti interrogativi derivavano proprio dalla mancanza di questo confronto, dall'assenza di notizie su come altre giovani donne avessero risolto alcuni problemi, o affrontato determinate situazioni. È stato così e per questa ragione che ho iniziato ad avvicinarmi all'associazione e a confrontarmi con altri ciechi ed ipovedenti, è per questo che ho cominciato a svolgere attività all'interno della sezione di Roma della quale sono stata vicepresidente e, per la verità, contemporaneamente e quasi subito chiamata a collaborare con la Presidenza nazionale dall'allora Presidente Nazionale Tommaso Daniele, che in seguito mi ha voluta in Direzione e, unica donna sino ad oggi, quale terzo componente dell'Ufficio di Presidenza Nazionale. Nel corso delle mie funzioni di vicepresidente di sezione e di componente del comitato giovani ho iniziato a dialogare con moltissimi soci e con numerose donne. Ho avuto immediatamente una sensazione che poi mi è stata confermata: l'emancipazione femminile non era pienamente entrata all'interno della nostra associazione, le nostre donne erano certamente consapevoli ed emancipate, si erano occupate anche di politica ed avevano lavorato all'interno del movimento delle donne, (magari non tutte), avevano alle spalle percorsi importanti, ma gli stessi non erano stati socializzati. Nei primissimi anni Novanta ho avuto per la prima volta l'opportunità di partecipare ad un seminario dedicato a quelle che allora venivano definite «Problematiche delle donne».
Ne uscii piuttosto turbata: intanto era evidente la differenza di linguaggio, di proposte tra coloro che lo avevano organizzato e le partecipanti, vi era un vero e proprio scollamento, forse fondamentalmente di ordine generazionale. È stato allora che ho avvertito il desiderio fortissimo di confrontarmi con altre donne, con le più dure, le più critiche, che erano più vicine al mio modo di sentire. È stato così che ho scelto di non occuparmi più del comitato giovani, ma di iniziare ad accostarmi al mondo delle pari opportunità, così poco pari... Vi era già una commissione a livello nazionale, che lavorava attivamente per portare all'attenzione dei dirigenti sia periferici che nazionali le nostre istanze fatte di formazione, di accesso al lavoro, ma anche di tematiche che al tempo erano ancora quasi tabù: la sessualità, la maternità, la vita di coppia, le adozioni, l'equilibrio di rappresentanza. C'è da dire che non sempre era facile discutere di taluni argomenti, considerato che a volte, le più restie a farlo erano alcune donne le quali si schermivano dicendo che quelli sollevati erano falsi problemi. Negli anni Novanta abbiamo lottato molto per far sì che all'interno di ciascuna sezione e ogni Consiglio regionale vi fossero commissioni, o comitati donne. Chi ha vissuto quel periodo ricorderà quanto ciò non sia stato semplice, quante volte Vanda Dignani sia stata costretta, proprio come tutte le altre componenti della commissione, a discutere molto duramente con Presidenti regionali e provinciali, o abbia dovuto richiedere l'intervento energico del Presidente nazionale. E le donne in tutto ciò? Le risposte erano a macchia di leopardo. Le più attive erano sicuramente le lombarde, Carla Colombo Gilli, da sempre in prima linea e tutte le altre, con le loro proposte ed attività pilota. Si inizia a parlare di autostima, di cura della persona, di un nuovo e diverso approccio alla sessualità, alla vita di coppia: vengono organizzati a livello nazionale e sul territorio i primi corsi dapprima di trucco e cura della persona, in collaborazione con una nota catena di negozi, seminari incentrati sulla sessualità, quindi ci si è occupati dell'autonomia domestica, mediante momenti di formazione rivolti a quelle donne, e in seguito anche a uomini, che volendo rendersi autonomi, desiderando andare a vivere da soli, avevano necessità di apprendere come risolvere alcune incombenze della quotidiana gestione della casa e non solo. Vi è stata una signora, una persona straordinaria, socia prima e dirigente poi dell'Unione, che ha dato molto e aiutato davvero centinaia di persone ed è stata un pilastro della commissione nazionale delle donne prima e Pari Opportunità poi. Mi riferisco a Mariuccia Rubagotti, che ha fatto della conquista dell'autonomia personale e della gestione della casa una vera e propria ragione di vita, favorendo quel salto di qualità nella vita di donne giovani e meno giovani, seguendole, incoraggiandole e formandole. Vi erano già molte donne che, anche senza corsi erano riuscite a compiere quel passo, ma i corsi tenuti da Mariuccia Rubagotti, fortemente voluti dalla commissione nazionale donne e finanziati dall'Irifor, hanno agevolato e sicuramente accelerato processi e fornito strumenti e il coraggio e la giusta sicurezza anche alle più restie, che grazie al suo prezioso ausilio hanno visto dissolversi dubbi e timori; costoro ancor oggi, a distanza di molti anni, la ricordano con estrema gratitudine. Si susseguono i seminari in cui le donne dialogano, si confrontano, crescono, acquisiscono sempre maggior consapevolezza di ciò che desiderano, di quanto è necessario loro. E al di fuori del nostro sodalizio cosa accade, ma soprattutto, come sono viste le donne cieche ed ipovedenti dai cosiddetti normodotati? L'Unione Italiana dei Ciechi aveva commissionato all'istituto demoscopico Doxa, un'indagine finalizzata a comprendere quale percezione gli italiani avessero della cecità e della vita e delle capacità, potenzialità ed attività di ciechi ed ipovedenti. I risultati furono per tutti un fulmine a ciel sereno, sorprendenti, se non scioccanti. Era evidente che gran parte dell'opinione pubblica aveva ancora una idea della disabilità in genere e della cecità ed ipovisione in particolare, non rispondente alla realtà, ancora legata a vecchi stereotipi e pregiudizi: il disabile era prevalentemente un soggetto da assistere, non produttivo, raramente aveva una compagna o un compagno, insomma, immagini superate dai tempi, dalla realtà, dalla quotidianità. All'interno dell'inchiesta vi era una sezione dedicata alle donne, all'immagine del femminile nel cinema e nella letteratura. Ciò che leggemmo ci fece comprendere che era tempo di agire e di farlo anche con determinazione: secondo i normodotati era impensabile che una donna cieca potesse essere madre, a meno che non avesse perso la vista in un secondo momento... questo solo per fare un esempio. Fu allora che la commissione Nazionale Pari Opportunità decise di operare su due versanti: da un lato al nostro interno, informando e formando le nostre associate, favorendo la creazione di momenti di incontro e confronto, insistendo affinché anche a livello territoriale fossero organizzati momenti di approfondimento di tematiche varie, quelle che le nostre donne avvertivano come importanti, oltre a spingere affinché sempre più donne entrassero a far parte dei consigli provinciali e regionali. D'altro canto si è deciso di lavorare anche all'esterno, affinché tramite articoli, o iniziative, potessero giungere informazioni al passo con i tempi legate all'essere donna con disabilità visiva. È così che abbiamo iniziato ad ospitare all'interno dei nostri convegni e seminari giornaliste, docenti universitari, partendo proprio dai risultati dell'indagine Doxa e dalla rappresentazione del femminile nel cinema, nella letteratura e nella televisione. Abbiamo operato al fine di coinvolgere al massimo le donne, con testimonianze, scritti, cercando di unirci, di compattarci. Sono nati quindi seminari dedicati al tema della coppia, delle adozioni, questo ultimo tema estremamente sentito anche oggi, che ha condotto Vanda Dignani e chi scrive, ad incontrare più volte magistrati che operavano nei tribunali dei minori, psicologi, onde favorire ed abbattere i numerosi pregiudizi che si frappongono nei casi di adozione. Non è stato facile ed anche oggi le richieste non sempre sono coronate da successo. Ciò di cui tuttavia alla fine degli anni Novanta si avvertiva la necessità era la continua formazione, la necessità di un costante aggiornamento e confronto. È stato così che nel 1999, su richiesta dell'intera commissione nazionale e su mio progetto, superati cavilli burocratici e aggirati certi inspiegabili ostacoli, nasce «Kaleidos», rivista di informazione, formazione e cultura al femminile, corredata da un supplemento all'epoca semestrale, «I quaderni di Kaleidos», con monografie ed approfondimenti. Da subito intorno a questo periodico, oggi quindicinale, vi è stato molto interesse e anche una certa ostilità: le donne lo richiedevano, lo apprezzavano e scrivevano alla commissione per ringraziare e proporre sempre nuovi temi da trattare; vi era poi, un segmento di persone che, invece, tentava di ridicolizzare l'iniziativa, anche con lettere e-o telefonate volgari. Ma «Kaleidos», proprio nel 2019 ha festeggiato i suoi primi vent'anni. Il periodico è stato un vero e proprio collante, per lanciare iniziative, informare, dibattere. Negli anni 2003-2004 veniamo coinvolte dall'Unione europea dei ciechi (Ebu) in un progetto a livello europeo, mediante il quale si intendeva studiare la violenza di genere, anche quella agita sulle donne cieche ed ipovedenti: il progetto Dafne. Si è trattato di un lavoro estremamente complesso, basato sulla somministrazione di questionari e sulla realizzazione e conduzione di ben 10 peer groups, disseminati in egual parte al nord, al centro e al sud del nostro Paese, finalizzati a raccogliere informazioni e testimonianze di donne che avevano subìto differenti tipologie di violenza. Non è stato per nulla facile, come non lo è mai in questi casi, riuscire a rompere il muro del silenzio, a vincere la diffidenza; eppure siamo riuscite con nostra grande sorpresa a far emergere un vissuto di cui si immaginava l'esistenza, ma non si aveva alcuna conoscenza e-o prova tangibile, come Associazione. L'Italia è stata elogiata per aver svolto il lavoro migliore e ci è stato chiesto di presentare nel corso dell'assemblea dell'Unione Mondiale dei ciechi tenutasi a Città del Capo nel dicembre del 2004, le risultanze dell'intero progetto europeo. Abbiamo scelto di discutere gli esiti del progetto anche nel corso di un seminario aperto alla partecipazione delle rappresentanti provinciali e regionali delle pari opportunità, incontro molto partecipato e denso di interventi estremamente toccanti. Con il Progetto Dafne è stato, se così si può dire, sdoganato anche il tema della violenza, di cui sembrava impossibile riuscire a parlare, quasi non potesse in alcun modo riguardare le donne con problemi di vista. Sono nate da allora sul territorio numerose iniziative, seminari, momenti di formazione ed informazione ed importanti progetti, ai quali ancora oggi alcune regioni, tra le quali la regione Lombardia, stanno lavorando, visto che quello della violenza è un problema purtroppo sempre attuale. Ma le donne e la commissione nazionale pari Opportunità non si sono fermate qui: intanto la commissione è stata aperta anche alla partecipazione maschile e sono state esortate anche le analoghe commissioni provinciali e regionali a fare altrettanto, altrimenti di quali pari opportunità di genere si poteva parlare? Si è quindi lavorato sulla leadership, sulla Programmazione Neurolinguistica e sul coaching, oltre che sulle forme di empowerment, organizzando a livello nazionale un corso specifico, molto frequentato ed apprezzato, in collaborazione con l'Irifor; una delle conseguenze del corso è stata proprio una maggiore partecipazione delle donne alla vita associativa, un crescente desiderio di mettersi in gioco. Ma, ancora una volta, non ci siamo fermati qui: nel 2007 con la nascita di Slash Radio Web, sono aumentate le possibilità per tutti di confronto, di dialogo e di dibattito. Naturalmente noi donne non ci siamo fatte sfuggire questa opportunità che abbiamo sfruttato per stringerci in cerchio, dibattere e confrontarci. È così che nel 2008 abbiamo dato vita al I Meeting Online dei Lettori di Kaleidos, un incontro virtuale aperto a tutti, con momenti per il dibattito ma anche tanta formazione. Questo evento, divenuto ormai una consuetudine viene organizzato sempre in occasione della giornata internazionale della donna. Con gli anni ha mutato formula, da momento di incontro e confronto in cui raccogliere anche testimonianze di donne e le iniziative poste in essere nelle sezioni a un vero e proprio seminario online, con ospiti di grande spessore con i quali esaminare e dibattere numerose tematiche, spesso proposte anche dai lettori, o studiate dalla commissione nazionale in collaborazione anche con rappresentanti del territorio. I Meeting sono giunti alla XII edizione e la partecipazione è sempre elevatissima. Ma eccoci giunti all'anno 2013, in cui la commissione, da me coordinata, progetta ed organizza un seminario che ha avuto un grande successo, molti partecipanti e numerosissimi ascoltatori che ci hanno seguiti sia mediante la radio web, che la web tv, interagendo con domande e testimonianze. Il tema era importante e soprattutto coinvolgente, come lo sono stati i relatori: «Dalla pelle al cuore. Cecità ed ipovisione: sessualità, affettività, diritti e amore. Come passare dagli stereotipi e tabù ad una cultura di condivisione?».
Contemporaneamente la commissione ha lavorato per la realizzazione di due cortometraggi, messi a punto in collaborazione con il regista Massimiliano Bruno, con protagonisti rispettivamente una donna ed un uomo, Anna e Roberto, non vedenti, attraverso i quali fornire all'esterno un'immagine non stereotipata e più realistica della cecità, priva di pietismo e tristezza. I filmati sono stati presentati in più occasioni all'interno di università o in occasione di eventi vari; sono stati oggetto anche di una lezione presso la statale di Milano, con grande partecipazione da parte degli studenti. Riporto un breve stralcio di quanto la Professoressa Marilisa D'Amico ebbe a dire in quella occasione, parole ancora estremamente attuali, che datano 6 maggio 2014: «Noi viviamo in un periodo in cui si parla costantemente di riforme costituzionali, ritenute in questo momento, e da più parti, una sorta di ultima spiaggia per provare a modificare le molte cose che nel nostro Paese non vanno. Fa però riflettere - ed è questo il messaggio che voglio consegnarvi con questo mio breve intervento di saluto - che mentre si ragiona intensamente di riforma costituzionale, alcuni fondamentali principi costituzionali, ad oltre sessant'anni dall'entrata in vigore della nostra Costituzione, devono in realtà ancora ricevere completa attuazione. In questa prospettiva, mi sembra di poter affermare che anche il principio di non discriminazione - che dovrebbe assicurare la piena garanzia dei diritti delle persone con disabilità - sia ancora lontano dal trovare piena attuazione nel nostro Paese. Certamente, non si può disconoscere che l'impianto normativo (penso alla legge n. 104 del 1992, alla legge 68 del 1999) assicuri alcuni diritti fondamentali (si pensi all'istruzione, anche in ambito universitario; all'accesso al mondo del lavoro; alle cure; al diritto di voto) alle persone con disabilità. Ma è sotto l'occhio di tutti, in realtà, che questo pur pregevole catalogo di diritti sia costantemente messo in pericolo dalla crisi economica, dalla scarsità di risorse pubbliche, dai tagli delle disponibilità finanziarie di regioni ed enti locali. Così come è sotto l'occhio di tutti che, nonostante i diritti delle persone con disabilità siano solennemente proclamati, non si è ancora in presenza di una cultura condivisa dell'inclusione. Occorre invece continuare ad investire sui diritti delle persone con disabilità, avendo magari il coraggio di destinare ancora più risorse di quanto si è sin qui fatto su progetti innovativi (penso all'importante tema del diritto alla vita indipendente, ad esempio, di cui i video che oggi vedremo - raccontando storie di straordinaria normalità - sono una significativa testimonianza). È importante farlo proprio in tempo di crisi perché è ben noto che questi sono i momenti in cui le persone svantaggiate subiscono con maggiore rapidità le conseguenze nefaste della crisi stessa.
Ma investire sui diritti delle persone con disabilità non significa soltanto mettere a disposizione le pure indispensabili risorse economiche. Significa adoperarsi e spendere energie per creare quella cultura dell'inclusione di cui facevo cenno prima. Ecco il primo significato dell'evento di oggi. Provare a raccontare ai nostri studenti - che magari non hanno mai avuto esperienza diretta con il mondo della disabilità - cosa significa davvero vivere con una disabilità, al fine di eliminare pregiudizi e falsi stereotipi. L'odierna presenza di Luisa Bartolucci ed Erica Monteneri, donne da sempre paladine nella difesa delle donne con disabilità, mi porta poi a toccare il tema delle doppie discriminazioni (dette anche discriminazioni multiple, in cui l'effetto discriminatorio collegato al genere si somma a quello collegato alla disabilità e costituisce una specifica forma di discriminazione). Si tratta, anche in questo caso, di un tema che in Italia non è stato ancora affrontato con attenzione né dalla scienza giuridica, né dal legislatore. Ma su di esso occorre invece necessariamente confrontarsi e ragionare, se è vero che la Convenzione Onu del 2006 (stiamo parlando di un Trattato internazionale, lo dico ai miei studenti, che in Italia è entrato in vigore nel 2009 e che costituisce, per il suo approccio volto a considerare la disabilità come un problema della società e non della sola persona con disabilità, il documento per eccellenza nello studio dei diritti delle persone con disabilità) afferma significativamente che «Gli Stati Parti riconoscono che le donne e le bambine con disabilità sono soggette a discriminazioni multiple e, a questo riguardo, prenderanno misure per assicurare il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali da parte di donne e bambine con disabilità» e che di conseguenza «Gli Stati Parti prendono ogni misura idonea ad assicurare il pieno sviluppo, progresso ed emancipazione delle donne, allo scopo di garantire loro l'esercizio e il godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali enunciate nella presente Convenzione».
Per poter riuscire a portare avanti la riflessione su questi temi è però indispensabile la collaborazione, che l'evento di oggi vuole testimoniare, tra il mondo della ricerca e quello delle Associazioni che tutelano i diritti delle persone con disabilità. Da qualche tempo, ormai, la collaborazione tra l'Università degli studi di Milano e l'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti è una solida realtà. Ne sono particolarmente felice, anche perché sono convinta che questa collaborazione possa portare ad un arricchimento per entrambe le nostre realtà».
E infatti la collaborazione con l'Università statale di Milano e, più in particolare, con la cattedra della professoressa Marilisa D'Amico è proseguita, per l'organizzazione di trasmissioni a tema e per la realizzazione di un progetto al quale la Commissione Nazionale attuale ha lavorato alacremente, un corso di formazione rivolto a quanti operano nell'ambito delle pari opportunità all'interno del nostro sodalizio e non solo. Titolo del corso: Le pari opportunità per le donne e le persone con disabilità. Con questo momento formativo, che ha trovato realizzazione nel 2019, la nostra Associazione ha inteso compiere un notevole salto di qualità, giacché si è offerta la possibilità di impossessarsi delle competenze necessarie onde potersi muovere ed operare in un settore di grande importanza per la vita di tutti e di non facile gestione. La Presidenza nazionale e la commissione pari Opportunità, nonché l'Irifor nazionale hanno creduto fortemente in questo progetto che ha coinvolto oltre 50 partecipanti estremamente motivati. Vi è un altro traguardo che desideriamo raggiungere, al quale stiamo lavorando: la pubblicazione di un volume contenente le testimonianze di numerose donne cieche ed ipovedenti, un libro che da un lato dovrà stimolare sempre più donne a mettersi in gioco, a prendere in mano la propria vita; ma abbiamo un secondo fine, ancora più importante, quello di far conoscere all'esterno chi sono le donne cieche ed ipovedenti, di cosa sono capaci, intendiamo offrire un'immagine reale, non falsa, e ancor meno da fenomeni, un'immagine vera, fatta di successi, ma anche di difficoltà, di gioie e dolori, come la vita di tutti. Sono davvero numerose le donne più o meno giovani che hanno scelto di essere parte di questo progetto al quale l'intera commissione conferisce estrema importanza. Va inoltre ricordato che la Direzione Nazionale ha fatto proprio il II Manifesto sui diritti delle ragazze e delle donne con disabilità.
Vi è un ultimo punto sul quale desidero spendere alcune parole, è quello dell'equilibrio di rappresentanza. La nostra è ancora un'associazione fortemente declinata al maschile: come ha scritto il nostro Presidente nazionale Mario Barbuto, su 107 Presidenti provinciali solo 17 sono donne e, aggiungo io, raramente presiedono le sezioni più grandi; tra i presidenti regionali le cose vanno ancor peggio, 19 su 21 sono uomini, l'equilibrio è anche qui inesistente. Vi è ancora molto da lavorare, molta strada da percorrere. Bisogna ancora operare per far sì che vi siano più donne in ruoli chiave. Sono convinta che si avrebbe un ancora maggior equilibrio nelle scelte quotidiane e si stabilirebbero nuove priorità anche nei contenuti. È indispensabile però, che le donne chiamate nei posti di rilievo tendano una mano alle altre donne. Non si vergognino di difendere le colleghe e costruiscano ponti con gli uomini su temi di comune interesse.
Tutti devono fare la loro parte nell'interesse superiore della collettività. Esprimo la speranza che le norme statutarie e regolamentari riguardanti le misure di equilibrio di genere nella composizione di liste e candidature, insieme alle regole paritarie riguardanti l'espressione delle preferenze, siano sufficienti a correggere questa stortura, questa disparità che da troppi anni ci penalizza all'interno di questo contesto, proprio come in politica: mi auguro che le Assemblee prima ed il prossimo Congresso poi portino con sé un significativo aumento delle presenze in rosa.
Luisa Bartolucci



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