Numero 4 del 2020
Titolo: Cecilia Eckelmann Battistello - La lady delle navi mercantili
Autore: Cristina Sarto
Articolo:
(da «Donna Moderna» n. 9 del 2020)
Ha iniziato a lavorare nel mondo «macho» del trasporto marittimo a 20 anni. E non ha mai smesso, diventando la presidente di una delle società più importanti del settore. Grazie a un motto: «Se c'è qualcosa da fare, la faccio»
«Ho capito che al mondo ci sono 2 tipi di persone: quelle che partono e quelle che restano». Cecilia Eckelmann Battistello, 70 anni, appartiene alla prima categoria. Lo si intuisce già quando è bambina e disegna velieri, «anche se il mare nemmeno lo conoscevo». A 20 anni lascia la sua Vicenza per Milano e dopo una breve esperienza nel settore dei mobili da ufficio entra in Contship, compagnia che gestisce linee marittime e trasporti ferroviari. È la prima tappa di un viaggio attraverso i porti commerciali di mezzo mondo, impegnata a costruire nuove rotte su cui far scivolare le navi container. All'inizio degli anni 90 s'impunta di dipingerne una rosa shocking: un capriccio controvento per i maschi che le stanno intorno e preferirebbero seguire la corrente del grigio-blu. «Invece è stata una pubblicità gratuita: in pochi giorni eravamo su tutti i giornali» racconta la «lady dello shipping». «Dopo si scoprì che quel pigmento aveva anche la migliore tenuta contro la ruggine».
D. La «pink operation» continua nel suo guardaroba?
R. Sì, è il mio colore preferito e lo indosso spesso. I miei abiti sono come un calendario: ciascuno mi ricorda un momento particolare della mia vita. Perciò alle donne dico di non rinunciare mai alla femminilità: dobbiamo essere valutate per ciò che facciamo, non per come ci vestiamo.
D. Il ricordo che rappresenta la sua infanzia?
R. La piccola azienda metalmeccanica di mio papà, con l'odore di olio e metallo: per me è come il profumo che indosso la mattina. Quando visito i terminal, dopo il giro degli uffici, vado a respirarlo nell'officina delle riparazioni, tra i carrelli elevatori e gli operai con le mani sporche.
D. La sua era una grande famiglia.
R. Sono la seconda di 8 figli: 3 femmine e 5 maschi. Sarà per questo che mi sono sempre sentita a mio agio con gli uomini.
D. È così che è diventata credibile nel mondo «macho» dello shipping?
R. Quella è stata una conseguenza dei miei comportamenti. Fin dai primi tempi a Fos-sur-Mer, in Provenza, il mio motto era: se c'è qualcosa da fare, la faccio. Il lavoro era molto disorganizzato e così un giorno mi sono presa la libertà di stilare una lista dei clienti, delle merci e delle rotte. Ho raccolto tutto in un libro e ne ho recapitato una copia a ciascuno dei nostri uffici. Impegnarsi, essere disponibili... Alla fine tutto ciò viene riconosciuto.
D. Che effetto faceva essere una donna al comando negli anni 80?
R. Ma io non mi sono mai sentita al comando... A 34 anni mi dissero che avrei dovuto ricoprire il ruolo di general manager. Risposi che non ci pensavo proprio, ma alla fine ho dovuto accettare. Ero così a disagio che per 3 mesi ho preso tranquillanti. Poi un giorno mi sono resa conto di avere la situazione in mano.
D. Come vede le manager di oggi?
R. Le ammiro molto, ma bisogna riconoscere che l'ambiente è cambiato immensamente. Ai miei tempi le opportunità arrivavano per caso. Un anno dopo aver spostato il quartier generale da Lugano a Ipswich, in Inghilterra, tutti quelli che avevano attraversato la Manica sono tornati indietro. Io sono rimasta, perché mi appassionava troppo questo lavoro, e così hanno puntato su di me. Oggi c'è più sensibilità e attenzione verso le donne.
D. Però hanno stipendi più bassi dei colleghi.
R. È vero: bisogna lavorare per la parità salariale, una discriminazione che nasce quando si confonde la persona, e il suo essere maschio o femmina, con il ruolo. Poi c'è un problema culturale, perché le donne da sempre sono pensate per stare a casa. Anche la mia famiglia si è opposta quando sono partita.
D. Non crede che si debba anche agevolare il rientro dalla maternità?
R. È un tema più delicato e dipende dal tipo di lavoro. Nel 1992, quando ero già all'apice della carriera, è iniziata la mia storia d'amore con Thomas Eckelmann (proprietario del gruppo Eurokai che nel 1999 ha acquisito il 100% di Contship Italia, ndr). Sono rimasta incinta ma poco dopo ho perso il bambino. Nel 96 ci siamo sposati però ho scelto di non riprovare ad avere figli miei (lui ne ha 2 da un precedente matrimonio, ndr) perché sapevo che io non avrei potuto svolgere bene 2 mestieri, madre e manager, entrambi ricchi d'imprevisti. È stata una decisione dura, ma razionale.
D. La persona più importante della sua vita?
R. Gianfranco, il penultimo dei miei fratelli (si commuove, ndr). Un giorno ero diretta a Londra per una riunione importante e l'ho chiamato: «Sono ansiosa, non so perché...». E lui: «Ceci, ricordati che anche la paura ha bisogno di un po' di coraggio». A volte basta poco per essere vicino a qualcuno.
D. A 70 anni non è il momento di mollare?
R. Ci penso spesso, anche perché il mio fisico sta cambiando: non sono più la prima a scendere di corsa dagli aerei. Sogno di costruire un giardino grandissimo, ma finora ho piantato solo 1.300 rose.
Cristina Sarto