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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Corriere dei Ciechi

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Numero 1 del 2020

Titolo: IPOVISIONE- L’ipovedente “non più giovane”

Autore: Angelo Mombelli


Articolo:
Quant’è bella giovinezza,
che si fugge tuttavia!
chi vuol esser lieto, sia:
del doman visivo non v’è certezza.
Lorenzo De’ Medici
(feat. Angelo Mombelli)

Quando mi è stata proposta la relazione da trattare sono rimasto incerto se sviluppare la tematica sotto l’aspetto personale oppure astrarre dalla mia situazione perché è ovvio che il trovarsi ipovedente "non più giovane" e relazionarsi con il mondo dipende dalla data d’insorgenza della patologia, dal residuo visivo, dall’ambiente sociale in cui si vive e, ovviamente, dalle attitudini personali. Questi presupposti implicano che ogni ipovedente sia un universo a se stante ed è estremamente sbagliato generalizzare il problema perché le variabili sono innumerevoli.
Mi ritengo fortunato - se così si può dire! - di essere in questa condizione dall’età di 28 anni: ho avuto il tempo e la forza di reagire e trovare delle soluzioni per integrarmi nel tessuto sociale. Non è stato facile. Oggi però, in un certo senso, vivo di rendita grazie alle esperienze vissute.
Il mio pensiero vola a quando mi fu diagnosticata la mia situazione visiva, per la quale nulla c’era da fare: la mia prima reazione è stata quella di cercare soluzioni per curare il problema agli occhi. Nonostante vari interventi chirurgici, non ho raggiunto alcun obiettivo. Provenivo da una libera professione, utilizzavo la macchina tutti i giorni, e mi ero ritrovato all’improvviso, con una famiglia sulle spalle, a dover cercare un nuovo posto di lavoro che ovviamente senza competenze specifiche non sono riuscito a trovare. La prima lacuna che devo ascrivere agli oculisti e agli assistenti sociali - problema che perdura ancora attualmente - è quella di non avere avuto il coraggio di indirizzarmi all’Unione Italiana dei Ciechi e - oggi - degli Ipovedenti, alla quale per mia fortuna, dopo mesi e mesi di traversie, sono stato indirizzato da amici e dove ho trovato quelle risposte che mi hanno aiutato a risolvere il problema - per me vitale - del lavoro, che come diceva Bentivoglio, per noi è la luce che ritorna.
A vivere le maggiori criticità, sono però le persone che si trovano ad essere ipovedenti in tarda età: il prolungarsi della vita umana conduce irreparabilmente ad aumentare il loro numero: segnalano le statistiche che sono ormai la stragrande maggioranza dei minorati della vista. Per questi soggetti i problemi sono sovente insormontabili o di difficile soluzione.
Il primo problema è l’iper-protezione da parte dei famigliari, che per timore di eventi traumatici ben peggiori, inibiscono all’interessato di svolgere le normali attività quotidiane; conosco persone anziane che sono relegate in casa dalla mattina alla sera e che raramente sono accompagnate sottobraccio fuori dalla loro abitazione perché il timore è quello che da soli non possano muoversi. Il senso di pietismo dal quale sono circondati non permette loro di frequentare gli amici di un tempo e li condanna ad una vita di solitudine. Non si tratta di pochi casi.
Riterrei che il medico di famiglia debba porre attenzione a questo problema aiutando l’interessato a rientrare, per quanto possibile, nella normalità quotidiana. Come sempre succede, parlare di cecità e, di conseguenza, di riabilitazione visiva… fa paura. Non dimentichiamoci inoltre che, sulla base delle recenti indagini, un quarto della popolazione italiana non conosce il corretto significato della parola "ipovisione".
Un’altra criticità riguarda l’ambiente domestico nel quale gli ipovedenti anziani vivono, che sovente necessiterebbe di interventi concreti e personalizzati in base alle necessità di ogni singolo soggetto. È più che normale che di fronte a certe situazioni l’interessato cada in depressione: si trova, dopo una vita di lavoro, trascorsa con l’idea di dedicarsi a tanti progetti nell’età della pensione, a dover accantonare le sue aspirazioni perché non trova la materiale possibilità di realizzarle. Finché si è giovani le capacità di reazione sono vincenti e il buttarsi nelle novità è naturale: giunti ad una certa età gli stimoli mancano e ci si lascia vivere.
Il brutto di quanto sopra è che molte soluzioni - oggi - in buona parte esistono. La prima colpa la debbo ascrivere, come dicevo, agli oculisti che hanno in cura l’interessato perché non li indirizzano in modo appropriato ai centri di riabilitazione visiva, ove i pazienti potrebbero trovare risposte concrete per quanto concerne le attività quotidiane: la lettura, la deambulazione, l’ambiente domestico e così via. Altri responsabili sono gli assistenti sociali e il medico curante che a loro volta spesso ignorano le possibilità che le metodiche riabilitative e le tecnologie moderne possono offrire a determinati soggetti in situazione di scarsa visione.
Una colpa però è anche nostra, intendo della nostra associazione: non siamo mai stati in grado di incidere profondamente nell’immaginario delle persone, ovvero di pubblicizzare nel modo corretto e appropriato tutte quelle figure professionali e quei servizi che potrebbero contribuire a risolvere molti dei problemi delle persone ipovedenti.
E nel caso un ipovedente anziano ci arrivi alla nostra associazione? Le nostre strutture dell’U.I.C.I. sono pienamente in grado di fornirgli le risposte adeguate? Per la stragrande maggioranza, ahimè, solo parzialmente.
Organizzare incontri tra ipovedenti che con l’aiuto di uno psicologo possano trovare delle risposte basate sulle rispettive esperienze è una strada di indubbio successo; organizzare servizi di accompagnamento soprattutto per coloro che vivono da soli è un’altra proposta che ha la sua validità; proporre strumenti o metodiche riabilitative che favoriscano l’autonomia personale e domestica… potrei continuare a lungo ad elencare iniziative che potrebbero risolvere tante criticità ed attrarre nuovi iscritti ipovedenti nella nostra associazione, che oggi sono troppo pochi.
Un grosso problema che riguarda tutti noi è che, quando non si è più giovani, è inevitabile che qualche patologia ci colpisca e sia necessaria quella che io chiamo manutenzione ordinaria (e straordinaria). Provvedere a visite specialistiche o a esami diagnostici presso le strutture ospedaliere non è affatto divertente; finché si tratta di piccoli laboratori il tutto è gestibile, ma quando ci si deve recare presso le grosse strutture ospedaliere ci troviamo in un ambiente ostile dove orientarsi è un grosso problema. Non ho mai capito, per esempio, perché la sintesi vocale non venga sfruttata in queste strutture. Per cominciare, l’accesso al distributore dei biglietti con i numerini, quelli per la coda, ci mette in grave difficoltà perché le scritte sono piccole, diverse una dall’altra, e qualche volta incomprensibili. Ho avuto già occasione di raccontare in un articolo su "Il Corriere dei Ciechi" di aver sbagliato la richiesta del tagliando e di essermi trovato in fila per un esame ginecologico. Recarsi poi alla destinazione prevista è un’altra difficoltà perché le scritte sono collocate in alto e di difficile lettura. Ricordo che in una struttura avevano risolto il problema colorando le pareti dei corridori per accompagnare i vari pazienti alla destinazione necessaria e mi è sembrata una soluzione ottimale: per l’ematologia c’era il rosso, per la pediatria il bianco e… per la morgue il nero. Un po’ macabro, ma funzionale. Analogo problema ci coinvolge quando dobbiamo recarci in qualche ufficio pubblico, dove tutto è sempre più condizionato dal vedere. Avete mai provato a compilare un modulo postale scritto in burocratese? Se voi avete difficoltà, figuriamoci noi. Esiste infine il problema della straripante tecnologia che viene immessa sul mercato: gli aggiornamenti in gioventù sono semplici, ma per noi, canuti e lenti di comprendonio, l’ostacolo è insormontabile, eheheh! In questo si evidenzia tutta la nostra vetustà!
Torniamo alla mia esperienza personale di ipovedente non più giovane… con i capelli tutti grigi. Fa parte della mia personalità e abitudine cercare di risolvere le difficoltà che mi si presentano senza ricorrere all’aiuto altrui, come si suol dire, buttandomi nella mischia, pagando spesso il fio della mia insufficiente visione (un occhio zero e l’altro con soli 2 cinquantesimi).
Non tutte le esperienze sono state negative però, come ho più volte narrato negli articoli che ho pubblicato negli anni sulla stampa associativa. Vorrei raccontare appunto qualcosa dai risvolti positivi: una decina di anni orsono mi sono recato presso la triennale di Milano per partecipare, per conto della Direzione Nazionale dell’U.I.C.I., ad un incontro che riguardava il turismo sociale. I cartelli che indicavano l’evento non erano ad altezza uomo, ma appoggiati sul pavimento, per cui non riuscivo a leggerli. Per non inginocchiarmi, sono entrato nel primo salone che ho trovato, laddove ho intravisto un certo movimento. Alla reception non risultavo iscritto all’evento, ma la hostess mi disse che non c’era problema e ha provveduto immediatamente ad accreditarmi. All’ingresso del salone si stava svolgendo un cocktail di benvenuto, ricco e sfarzoso a non finire, del quale ho approfittato abbondantemente. Poi mi è stato consegnato il malloppo della documentazione degli argomenti in trattazione: con sgomento, ho scoperto che si trattava di un convegno dell’Associazione Bancaria Italiana per la trattazione dei fondi comuni. Credo di essere diventato rosso, e non per colpa dell’aperitivo di benvenuto, ma per l’imbarazzo: ho riconsegnato alla hostess la cartelletta, scusandomi per l’errore commesso. Con la coda fra le gambe, raggiunsi la sala ove si svolgeva l’incontro sul turismo sociale, giusto in tempo per partecipare al cocktail di benvenuto corretto (che era altrettanto lauto e generoso, benché leggermente inferiore rispetto a quello dei bancari). Quel giorno saltai il pranzo.
Con l’età purtroppo mi rendo conto di non avere più quella sfrontatezza che un tempo guidava le mie azioni: tante iniziative, anche personali, mi sono inibite. La vista mi è ulteriormente calata - è un fatto certamente dovuto all’età - non tanto nella quantità, ma nella qualità; questo mi frena nella deambulazione, rallentando la mia velocità di crociera. Un tempo mi recavo al cinema, anche se ero costretto ad assistere allo spettacolo in prima fila, con la testa piegata all’indietro: oggi, il torcicollo che mi viene alla fine del film è insopportabile! Lo sprono poi delle svariate iniziative in cui ero coinvolto è scemato: non ho più lo spirito e il desiderio di vincere le sfide che mi si propongono.
Nei Promessi Sposi, Manzoni scriveva: "Quel Cielo di Lombardia, così bello quand'è bello!…". Qualche giorno orsono, affacciandomi al balcone di casa, dopo un temporale, ho visto uno splendido arcobaleno che occupava un quarto del cielo. Mancavano però i colori, che da ragazzino mi facevano spalancare gli occhi, rapito com’ero da quello spettacolo della natura. Ora, tutto l’arco si stagliava nel cielo in svariate sfumature di grigio. Mi sono chiesto se la responsabilità fosse ascrivibile allo smog milanese o ai miei scarsi coni retinici. Da sempre sono un ottimista: propendo per la prima ipotesi.



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