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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Corriere Braille

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Numero 47 del 2019

Titolo: Up & Down

Autore: Katia Caravello


Articolo:
Intervista a Paolo Ruffini
Non c'è bisogno di grandi presentazioni anche perché è stato con noi ad un'edizione del nostro Premio Braille, Paolo Ruffini è attore, presentatore, ma oggi l'abbiamo disturbato per farci raccontare una cosa particolare che sta facendo da qualche anno a questa parte, che ha avuto molto successo: stiamo parlando del progetto teatrale Up & Down.
D. Com'è nato questo progetto?
R. Il progetto nasce dal fatto che tanti anni fa un mio amico di nome Lamberto Giannini, costituisce una compagnia a Livorno che non esclude nessuno, visto che tutti quanti possono essere attori, perché tutti quanti hanno un corpo, un'anima, l'emotività, e quindi iniziano a venire ad assistere a questo laboratorio teatrale persone anche con delle difficoltà. Questo è successo 20 anni fa, lui negli anni si è molto evoluto, e io ho visto lo spettacolo 5 anni fa e ho pensato: caspita, è una cosa che a teatro ha un senso in più. Cioè il teatro è un territorio che al contrario del nostro tessuto sociale non dice che siamo tutti uguali, ma anzi rivendica la diversità, una diversità che diventa una risorsa. Allora mi sono entusiasmato e ho iniziato a pensare che fondamentalmente anche una certa forma di disabilità a teatro veniva sempre declinata nell'élite o nello chic nei teatri off e non nel pop. Ho voluto fare uno spettacolo comico, leggero, con persone che avessero delle disabilità, in particolare con persone con sindrome di down.
D. Quindi è iniziato questo spettacolo teatrale che poi è diventato un film?
R. È diventato un film, poi un libro e anche una trasmissione televisiva che è andata in onda su Italia1 a Natale e che rimanderemo in onda anche quest'anno con uno spettacolo diverso. Tra l'altro quest'anno avremo anche un non vedente che parteciperà in compagnia con noi.
D. Bene, allora avremo uno stimolo in più per guardarlo!
R. Per il film Fuga di Cervelli ho interpretato un non vedente, qualche anno fa ho fatto un po' di ricerche presso l'Istituto dei Ciechi di Milano, ho partecipato anche a cene al buio, mi sono formato per interpretare questo ruolo che per me è stato molto complicato, però anche in quel caso mi faceva piacere applicare un'idea sempre di leggerezza, di divertimento, di comicità. Credo che il modo migliore per sdoganare certe problematiche e certe condizioni sia quella di scherzarci anche un po' sopra.
D. Sì, sicuramente l'ironia e l'autoironia è una chiave e un atteggiamento che aiuta tutti, nel senso che aiuta noi, le persone con disabilità, ad affrontare meglio la vita e le difficoltà, ma aiuta anche gli altri ad essere meno impacciati, meno imbarazzati.
R. È un discorso moraleggiante, sembra che uno voglia fare delle chiacchiere, è come ora che mi dicono «ah mi raccomando, non invitare a «vedere» lo spettacolo». Non mi sento di voler cambiare niente, non mi sento di essere offensivo o lesivo di qualcosa. Bisognerebbe essere sempre un po' più larghi anche con la mentalità. Stiamo diventando un Paese del «rinchiudere il diverso in un istituto», della morale del poverino, del pietismo, che sta diventando insopportabile. Dove tutti quanti fortunatamente siamo diversi, ci sono condizioni in cui si versa che a volte sono feroci, io poi interloquisco con famiglie che hanno forme di disabilità molto grosse, eppure mi hanno insegnato che anche quando la vita è feroce, può essere anche ferocemente meravigliosa. Ho fatto un documentario su youtube, sono andato all'Istituto dei Ciechi, «Cosa sognano i ciechi», mi domandavo spesso quali sono i sogni delle persone non vedenti dalla nascita e credo sia una cosa molto interessante. Tutto questo secondo me può contribuire a fare in modo che ci sia sempre meno divario sull'essere umano, perché di quello poi si parla. Se c'è veramente una condizione che ci accomuna, è la diversità.
D. Sicuramente il fatto di essere persone e quindi con tutti i pro e i contro, nel senso che prima si parlava di pietismo, c'è anche il buonismo per cui sembra che le persone con disabilità siano buone per natura. In realtà siamo persone come tutte le altre.
R. Questa sarà la chiave dello spettacolo. Quando io ho iniziato a fare il film con le persone Down, uno di questi attori ad un certo punto mi ha detto «io sono normale, non capisco perché mi stai riprendendo». Quella dichiarazione mi ha spiazzato perché aveva ragione lui, non è che un cromosoma in più o in meno ti rende più normale o più diverso, ma rispetto a chi e a cosa? Pensa che loro sono sempre considerate persone speciali, e invece sono normali come me, come te, come chiunque altro; o non è normale nessuno o lo siamo tutti, al di là di quale sia la nostra condizione.
D. Prima abbiamo accennato al libro «La sindrome di Up», che presto renderemo disponibile nel catalogo del Cnlp, in questo libro ripercorri la storia del progetto o c'è qualcosina in più?
R. No, in realtà il libro verte sul tema della felicità. Io mi sono accorto che le persone down sono persone che hanno una confidenza con la felicità che a me e ad altri spesso manca. In realtà non è che quel cromosoma, la trisomia 21, ti consente di essere più felice, la trisomia 21 per motivi scientifici e-o misteriosi e-o chissà derivanti da dove, ti consente di avere un filtraggio minore rispetto alle emozioni che provi, quindi le persone down hanno più facilità a manifestare le emozioni che sono rabbia, dolore, felicità e quant'altro.
D. Hanno meno filtri, mettiamola così.
R. A me hanno entusiasmato molto, io molto spesso incontro persone in-down e invece le persone down le vedo molto più up e da qui nasce quella dicotomia che poi ci ha reso lo spettacolo, da qui nasce quel contraddittorio che secondo me è molto interessante. Io adesso faccio molta fatica a lavorare con le persone che non sono down perché veramente ti accorgi che con loro non c'è la malafede, non c'è l'invidia, quella cattiva, quindi ho fatto una riflessione sulla felicità che ho cercato di trasferire nel libro. Non nel senso di lezione ma nel senso di semplice testimonianza.
D. A volte tanta teoria rimane staccata da quella che è la vita reale, invece bisogna proprio far capire a partire dalle piccole cose che la vita si può affrontare in maniera diversa e in maniera naturale. Quando si parla di disabilità viene meno la naturalezza, in alcuni casi di più in alcuni casi di meno, sta sicuramente a noi persone con disabilità mettere nelle condizioni gli altri di trattarci con maggiore naturalezza senza ombra di dubbio, però sicuramente attività come queste, libri come questi, aiutano tanto. Un'ultima domanda, più che altro so che hai un invito che volevi farci. Mi piace l'idea che lo faccia tu.
R. Io vi invito senza ironia a venire a vedere lo spettacolo perché è un'esperienza, in realtà. Credo che, senza fare troppo il romantico e il filosofico, sia uno spettacolo che abbia un alto livello di immaginazione. Up & Down, a Roma dal 26 novembre al Brancaccio, poi l'11 novembre a Firenze, insomma abbiamo una piccola tournée da mantenere. Credo che sia uno spettacolo davvero da immaginare, è molto divertente, molto brioso, molto gioviale, molto interattivo... insomma, credo che possa essere davvero una bella esperienza per capire che la felicità oggi è un atto rivoluzionario, è qualcosa di magico da cui possiamo attingere, a volte possiamo anche approfittarcene senza sentirci in colpa. C'è quasi sempre un senso di vergogna nell'essere felici e invece credo che nessuno di noi dovrebbe vergognarsi, ma dovrebbe anzi cercare di accogliere questa condizione con grande disinvoltura.
D. Assolutamente sì! Ricordiamo anche le due date di dicembre, il 18 a Bologna al Teatro delle Celebrazioni, e il 27 e 28 dicembre al Teatro Nuovo di Milano. Ce ne sono tante altre, ma queste sono le principali. Accoglieremo sicuramente l'invito e chi non riuscirà a venire a teatro avrà la possibilità di rivederlo in televisione. Grazie mille per la disponibilità e in bocca al lupo per la tournée.
R. Un grande abbraccio a voi, grazie di cuore!
Katia Caravello



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