Numero 22 del 2019
Titolo: Lina Cavalieri
Autore: Mariella Boerci
Articolo:
(da «F» n. 48 del 2019)
Le donne mi imitano, gli imprenditori mi seguono, gli uomini mi amano. Ebbene sì, sono la donna più bella del mondo
Campari la usava come testimonial, Fornasetti la rese un'icona pop. Principi e artisti chiedevano la sua mano. Ecco la storia della più grande cantante lirica della Belle Époque, influencer ante litteram che dettava le tendenze a cavallo tra 800 e 900
Bellissima, anzi, di più: «la donna più bella del mondo». Così era stata soprannominata Lina Cavalieri, soprano e attrice, negli anni della Belle Époque. La sua storia si potrebbe raccontare come una fiaba, a partire dalla nascita. Che lei, nella sua autobiografia, «Le mie verità», ha narrato celandone l'anno (il 1874): «Sono nata a Roma il 25 dicembre di un anno che non ricordo». Un vezzo abbastanza comprensibile per una donna del mondo dello spettacolo, a maggior ragione se, come scrisse Gabriele D'Annunzio, incarna «la massima testimonianza di Venere in Terra». Figlia di un assistente edile e di una sarta, Lina aveva dovuto lasciare in fretta l'età dei giochi per dare un aiuto concreto alla famiglia che navigava in condizioni economiche molto precarie. Già a dodici anni, la piccola Cavalieri offriva ai passanti del quartiere mazzolini di violette in cambio di «un baiocco e un sorriso gratis». A tredici lavorava come sarta e, a quattordici, impaginava le copie del giornale «La Tribuna» in una tipografia. Una vita tutt'altro che rosea la sua: «Lavoravo, rigovernavo, facevo le compere, curavo i miei fratelli, Nino e Oreste, e mia sorella Giulia. Nella stamberga che ci alloggiava, una camera e cucina, tutto intorno a me era squallore. Io lo sentivo addosso e mi stringeva il cuore, ma per uno strano contrasto, sempre presente in ogni istante della mia vita, cantavo». Il canto era la passione di Lina. A tredici anni, infatti, di nascosto dai genitori, si intrufolava al Baraccone delle Meraviglie per ascoltare la musica e rifare il verso alle sciantose.
Il terribile bisogno di emergere
Quando si dice il destino. A un certo punto, accanto ai Cavalieri, si era trasferito un maestro di musica, Arrigo Molfetta. Il quale, sentendo Lina cantare, si era offerto di impartirle delle lezioni di canto riuscendo perfino a procurarle una scrittura in un teatrino di piazza Navona. Un sogno per Lina, che aveva quattordici anni. La sera del debutto, lei, così piccola e già così bella in un vestituccio di seta celeste, tremava: «Il pianista aveva già ripetuto due volte l'attacco della mia canzone ma le mie mani, trepide, tormentavano il vestito: la bocca non riusciva ad aprirsi, la gola, serrata dall'emozione e dalla paura, non emetteva suono». A sbloccare la situazione era stato il pensiero della sua povertà che, come un lampo, le aveva attraversato la mente: «Lo squallore della mia casetta, le necessità si erano parate all'improvviso davanti agli occhi. E, finalmente, le labbra si aprirono». Alla fine, fu «un frastuono di mani plaudenti». Felice, con la prima lira di compenso stretta nella mano, Lina si era avviata verso casa nel buio delle strade con la madre, che l'aveva accompagnata. A piedi: «Eravamo così povere da non poterci permettere il lusso di un tram». Lei ancora non lo sapeva, ma stava per nascere una stella. In pochi mesi, infatti, prima era diventata una delle più note chanteuse di Roma e dal Salone Margherita, dove si esibiva, poi era stata chiamata a Napoli, all'epoca regno del Café Charìtant (genere di spettacolo di varietà in voga in Francia e Italia tra la fine dell'800 e i primi del 900). Da lì, la sua fama aveva oltrepassato i confini: Parigi, Londra, Vienna... Lina Cavalieri era diventata una delle donne più sognate e corteggiate del suo tempo.
Quel bacio, in scena, a Enrico Caruso
Ma la sua vita privata era, appunto, rigorosamente privata. A soli diciassette anni infatti, sedotta molto probabilmente dal maestro di canto, Lina aveva messo al mondo un figlio del quale non volle mai rivelare la paternità. Anche se il «risarcimento» di Molfetta alla sua famiglia (1.750 lire orgogliosamente restituite anni dopo da Lina per cancellare la sua identità di padre dalla loro storia) aveva fatto nascere molte illazioni. Nel frattempo, la scelta della Cavalieri di diventare soprano lirico le aveva spalancato le porte dei più importanti teatri del mondo, dal Metropolitan di New York all'Opera di Parigi, dalla Royal Opera House di Londra al Bolshoi di Mosca, al San Carlo di Napoli. E dovunque, benché la voce non fosse eccezionale, Lina scatenava il delirio. «Possiede fuoco e varietà di movimento, impulso ed emozione, originalità nel gestire la scena», scriveva Algernon St. Brenon, il più influente critico del Daily Telegraph all'indomani del suo debutto newyorkese. «Sul palco, nessuna è come lei, con quella faccia da madonna e la figura sinuosa e serpentina». Il 5 dicembre 1906, a New York, durante la «Fedora», Lina baciò appassionatamente Enrico Caruso sulle labbra di fronte alla platea incredula. Fu lo scandalo, ma anche la sua consacrazione definitiva: il soprano entrò nel mito come «the kissing primadonna».
Tutti l'amavano (o era solo marketing?)
È difficile, tra verità e leggende, conoscere il numero di proposte di matrimonio realmente ricevute da Lina Cavalieri: 840, si racconta. Di sicuro, per lei hanno spasimato e fatto follie gli uomini di mezzo mondo: principi, finanzieri, aristocratici, politici e artisti di ogni continente. A Parigi, per esempio, Wassili d'Angiò, duca di Durazzo, conte di Gravina e di Alba e ultimo discendente del re di Napoli, di Sicilia e di Albania, faceva ricoprire ogni volta di petali di rose rosse l'intero tragitto tra la stazione e l'albergo in cui l'aspettava. Pur di starle accanto, invece, un duca siciliano le fece da autista per due mesi finché si rese conto, come le spiegò in una lettera, che «follia sperare di essere amato da voi, che non pensate e non vivete che per la vostra arte». Mentre Davide Campari, figlio del creatore del celebre aperitivo, la seguì per mesi in tutti i suoi viaggi per amore o, come credono i malpensanti, per trasformarla nella testimonial inconsapevole (o forse no?) dell'aperitivo creato da suo padre. E poi Piero Fornasetti, designer, pittore, scultore e molto altro: fece di Lina l'icona della propria opera, stampando su un piatto ben 288 variazioni del suo viso. Non per nulla la Cavalieri, che a ogni spettacolo veniva inondata di rose (sempre più di mille) dai suoi ammiratori, irretì con il suo fascino anche Giò Ponti e Alberto Moravia, Henry Miller e Fabio Neruda, Max Ernst e Gabriele D'Annunzio, Guglielmo Marconi, Trilussa e perfino Mussolini.
Un marito dietro l'altro
Lina, che diceva di amare «gli uomini come la vita», ne sposò cinque. Il primo fu il principe russo Aleksandr Bariatinsky: lui voleva che lei lasciasse il teatro e lei, in tre mesi, lasciò lui. Si mormora che in seguito ci fu un matrimonio lampo con il re del Kazan, ma sembra che fosse una notizia fatta circolare dalla stessa Cavalieri per alimentare il mito che l'avvolgeva. Fu un record la durata delle nozze (accertate) con il milionario americano Robert E. Chanler: otto giorni. In compenso, un'immensa quantità di beni, compresi tre palazzi, trasmigrò dal patrimonio di Chanler a quello della Cavalieri. Con il tenore Lucien Muratore l'amore durò 14 anni. Ma lei lo lasciò per sposare il pilota automobilistico Giovanni Campari. Il quale morì in un incidente nel 1933. Lina non rimase sola a lungo: nel 34, si legò all'avvocato Arnaldo Pavoni, di vent'anni più giovane. Con lui morì la notte dell'8 febbraio 1944 nella sua villa di Fiesole, colpita durante un bombardamento aereo. Sotto le macerie, il corpo di Lina Cavalieri fu ritrovato incredibilmente intatto, come se neppure le bombe osassero sfigurare «la donna più bella del mondo».
Mariella Boerci