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Kaleîdos

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Numero 22 del 2019

Titolo: Un futuro senza bambini

Autore: Federica Ginesu e Angela Vitaliano


Articolo:
(da «Cosmopolitan» dicembre 2019)
Un'indagine ha rivelato che sia nei paesi occidentali con forti aiuti alla maternità sia in quelli senza alcun sostegno nascono meno figli. Come mai? Grazia ha chiesto a tre specialisti di dare una risposta a un problema che riguarda anche l'Italia
In Danimarca, uno dei Paesi più ricchi in Europa, il congedo di maternità e paternità è retribuito e dura 12 mesi. L'assistenza sanitaria è una delle migliori, oltre che completamente gratuita. Alle donne single, sotto i 40 anni, viene garantita a costo zero la procedura di fecondazione artificiale. Eppure il tasso di natalità, negli ultimi anni, è sceso in maniera significativa, attestandosi sull'1,7. Per comprendere meglio l'incidenza di questo dato sul numero delle nascite globali, basta confrontarlo con quello degli Stati Uniti. Lì il congedo retribuito di maternità non esiste (o è molto limitato), la sanità ha costi spesso insostenibili e un sistema di istruzione universitaria privato si traduce in un debito decennale per chi decide di completare il proprio curriculum arrivando alla laurea. Anche lì, però, nascono pochi bambini, lievemente più che in Europa.
In una dettagliata analisi, realizzata in collaborazione con l'istituto Pulitzer Center on Crisis Reporting, Anna Louie Sussman, esperta di genere, riproduzione ed economia, ha affrontato un tema che riguarda tutti i Paesi più ricchi del mondo: il calo delle nascite. Il raffronto fra la Danimarca, dove ci sono poche disparità sociali, e gli Stati Uniti, la nazione industrializzata in cui il sostegno dello Stato alla famiglia è il più basso, evidenzia che il motivo per cui non si fanno figli non va rintracciato negli aiuti diretti a mamme e papà. Si trova invece, dicono gli autori, nella struttura dell'economia contemporanea, dove vige una disparità sociale drammatica, con individui incredibilmente ricchi e altri che a malapena riescono a sopravvivere. Di conseguenza, si rafforza l'esigenza di lavorare di più, riducendo il proprio tempo libero, quello dedicato alle relazioni sociali, inclusi il corteggiamento e persino l'innamoramento. I bambini, che per molti genitori rappresentano «la cosa più importante di tutte», per i giovani sono sinonimo della «fine del mondo». E in molti casi, per una scelta consapevole che non cambia nel corso degli anni, in altri per la priorità data ad altri fattori fra cui, appunto, la carriera o anche passioni diverse come i viaggi. Capita, tuttavia, di cambiare idea, ma la difficoltà di creare relazioni personali profonde e durature lascia come alternativa quella di diventare genitori attraverso l'adozione o la fecondazione «in vitro». Quest'ultima, per esempio, in Danimarca è utilizzata per la nascita di un bambino ogni 10 e in Finlandia la sua incidenza è raddoppiata negli ultimi 10 anni. Negli Stati Uniti, invece, si calcola che una donna di 35 anni, che fa un lavoro autonomo, deve aver risparmiato l'equivalente di 180 mila euro prima di pensare di adottare o partorire un figlio. Alle ragioni economiche, che nel Sud dell'Europa impongono un forte limite alla natalità per il tasso di disoccupazione preoccupante, si uniscono quelle dettate dalle inquietudini sul futuro: prima fra tutte, la crisi climatica alla quale, globalmente, non si stanno dando risposte.
Le donne in Italia fanno meno bambini rispetto a tutta l'Europa. La causa di questa bassa fertilità è la stessa indicata negli ultimi studi americani? Molte donne non decidono in maniera autonoma. E subiscono una dimensione precaria, che non permette loro di progettare il futuro. Per motivi diversi, vivono in un mondo in cui i figli non sono più al centro dell'attenzione, individuale o collettiva, e vengono lasciate sole. «Alcune scelgono forzatamente di non avere figli perché non hanno stabilità lavorativa», racconta Stefania Piloni, ginecologa e autrice del libro «Il segreto della Fertilità» (Sperling & Kupfer). «Altre ancora, pur avendo una situazione stabile, preferiscono aspettare. C'è chi, tra loro, fatica a trovare l'uomo giusto che si voglia impegnare, e subisce quindi una sorta di torto biologico. La fertilità di una donna, rispetto a quella degli uomini, a un certo punto finisce».
Ma anche dopo che si è trovato il partner ideale, c'è un ulteriore aspetto. «L'infertilità è ancora sottostimata», afferma Andrea Borini, responsabile clinico e scientifico del Centro di Medicina della Riproduzione del Policlinico San Marco, a Bergamo. «La scelta di ritardare è legata a condizioni di vita che non ti consentono di anticipare la scelta di diventare genitori. Ma con il passare degli anni, l'infertilità diventa un problema per uomini e donne. Ci vorrebbero più informazioni, soprattutto per i maschi che, ancora oggi, non vengono educati a preoccuparsi della loro salute riproduttiva».
«È bene ricordare che non c'è un unico motivo: ci sono ragioni che hanno a che fare con lo stile di vita, le politiche sociali, le politiche del lavoro e la conciliazione dei ruoli familiari all'interno delle coppie», conferma Marina Mengarelli, sociologa all'Università di Urbino. «Se questi ambiti non funzionano in maniera corretta, si crea una sorta di blocco che frena la natalità».
C'è, però, una dimensione unica che lega tutti questi aspetti. «È l'accesso all'uguaglianza di genere: pari diritti tra uomini e donne», continua Mengarelli. «Senza contare che oggi è più accettabile che una donna possa decidere di non volere figli. Non per tutte è un obiettivo fondamentale». Una scelta una volta impensabile che ora, per fortuna, non viene più stigmatizzata.
Federica Ginesu e Angela Vitaliano



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