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Kaleîdos

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Numero 18 del 2019

Titolo: La guerra non ci porterà via anche la bellezza

Autore: Anna Spena


Articolo:
(da «Donna moderna» n. 41 del 2019)
Fare la doccia ogni sera, depilarsi, mettere il mascara... Sono piccoli gesti che nei campi profughi hanno un grande valore. Come raccontano queste donne siriane fuggite in Libano
Arwa ha 29 anni e una costellazione di nei sul viso. Dal 2013 vive nei campi profughi del Libano. Ogni mese aspetta che le arrivi il ciclo e quando le chiedo come faccia con gli assorbenti si mette a rovistare in una busta, prende uno dei pannolini delle figlie e ritaglia la parte che assorbe: «Questa la uso come tampone. Qui contiamo ogni moneta e i pannolini costano meno degli assorbenti normali». La più piccola delle sue bambine, di 2 anni e mezzo, è nata con la spina bifida. Non cammina, si trascina per il campo profughi di Tel Abbas, nel nord del Libano, a 5 chilometri dalla Siria, dove vivono anche i volontari dell'associazione italiana Operazione Colomba. Arwa è fuggita da Aleppo quando «le bombe ci sono cadute in testa». Il marito l'ha conosciuto in un campo profughi. «Mi sono sposata lì e, con i pochi soldi che sono riuscita a racimolare, ho affittato un vestito. Volevo essere bella anch'io» racconta sorridendo. Lui lavora come operaio a Beirut, torna ogni 3 settimane. Così lei passa i giorni - tutti uguali - a combattere contro una doppia paura. «Ho il terrore che mia figlia, senza cure, non riuscirà mai a camminare e che mio marito venga arrestato». Ma lo aspetta. E lo fa truccata: «Metto la matita agli occhi e il mascara. A volte anche un po' di terra colorata sulle guance. Ci hanno tolto tutto, non voglio però che mi tolgano la possibilità di sentirmi bella».
«Tra vicine di tenda ci sistemiamo le sopracciglia». Arwa è una delle tante profughe che si sforzano di ricostruire una quotidianità familiare e intima. Come lei, «si ingegna» Odda, 21 anni e 4 figli, che vive dal 2014 nel campo profughi di Marj El Khokh, il più grande nel sud del Paese. In questa regione l'ong italiana Avsi è impegnata nell'assistenza dei profughi siriani. Odda e il marito sono scappati da Idlib. Oggi condividono una tenda con altre 16 persone, una struttura bollente e piena di mosche d'estate, gelata d'inverno. «Quando i bambini dormono vado dalla mia vicina. Mi sistema le sopracciglia e mi fa anche la ceretta» dice. «La prepariamo da sole con zucchero, acqua e un po' di limone da lasciar bollire per due ore. Abbiamo imparato a farla in questi anni. Ci serve a stare meglio e a sentirci pulite».
«Curiamo i capelli per combattere il rischio di pidocchi». Anche Fatima, 31 anni, vive a Marj El Khokh. Nella sua tenda gli spazzolini da denti sono incastrati tra i pali di legno del soffitto. «Siamo scappati 7 anni fa. Mio marito dice che Dio mi ha creato bella, eppure io quella bellezza non la vedo più». Ogni sera, dopo che i suoi 4 figli vanno a letto, si dedica alla cura di sé. Chiude la porta della tenda, si leva il velo e inizia a lavarsi. «Mi insapono i capelli e il corpo tutti i giorni» racconta. «Qui è importante per combattere pidocchi e malattie». Si fa la doccia in cucina, raccoglie l'acqua dai container esterni la porta dentro e la riscalda sopra il fuoco. Poi poco alla volta, senza sprecarne troppa, se la versa addosso. Altre donne hanno rinunciato a cercare spazi e momenti da dedicare a se stesse. Tra loro c'è Aisha, 35 anni e da 6 nel campo profughi di An Nabatiya: da quando uno dei suoi 4 figli è morto affogato in un pozzo poco distante non si trucca più. «Mio figlio è morto, i miei genitori sono lontani, noi siamo bloccati qui. Non ho più voglia». L'unico lusso che si concede, un paio di orecchini placcati di giallo che le illuminano il viso. E il solo, semplice gesto di indossarli le esalta la bellezza in questo luogo che, invece, fa di tutto per prosciugargliela. Quasi a cercare rassicurazioni, mi domanda: «Li ho portati dalla Siria. Sono belli, no?».
«Compriamo i trucchi dai venditori ambulanti». Poche tende più in là Iman si lascia fotografare mentre si trucca: un filo di rossetto chiaro, una linea di matita sotto gli occhi e le unghie delle mani nere, sporche di terreno. Lei lavora nei campi, ma la pagano meno di 1 dollaro all'ora: «Mi trucco tutti i giorni perché mi piace, mi fa sentire meglio». I suoi pochi e preziosi cosmetici li conserva in una borsa vecchia. La vita nel campo non ha scalfito quell'esuberanza ribelle di chi ha 16 anni e sente che tutto quello che le è capitato è ingiusto ma si può ancora cambiare. «Ogni tanto passa un venditore ambulante e io compro quello che posso, trucchi sottomarca. Avevo 10 anni quando sono scappata dalla Siria. Sono diventata donna qui. Il mio sogno è, un giorno, fare la maestra». Per queste donne l'emergenza si è stratificata trasformandosi in quotidianità, ma loro non sono ancora rassegnate. Tutte desiderano tornare a casa, anche se non ce l'hanno più. Intanto il tempo scorre. E nelle loro facce, belle ma stanche, si vede bene.
Anna Spena



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