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Kaleîdos

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Numero 17 del 2019

Titolo: Così distruggevano le loro modelle

Autore: Rosa Baldocci


Articolo:
(da «F» n. 34 del 2019)
Povere, affascinanti e non istruite. Questi artisti di fine Ottocento trasformavano le figlie della working class nelle loro muse e concubine. Sfruttandole, finché la bellezza non sfioriva. È successo a Lizzie, morta suicida, a Fanny, finita in manicomio, a Emma, consumata dall'alcol. Solo Jane le ha riscattate: ha potuto studiare e si è fatta sposare dal suo pittore. Perché aveva capito che la cultura può cambiare il mondo
Figure femminili dallo sguardo misterioso, come assorto in un mondo agli altri interdetto. Donne dai capelli color oro o rosso, lunghissimi e ondulati, dai volti infantili ed enigmatici. Personaggi ispirati alla mitologia, alle leggende di Re Artù o alle grandi opere della letteratura. Principesse di altri mondi.
Quando all'università studiavo Dante Gabriel Rossetti, William Morris, John Everett Millais, Edward Burne-Jones e molti altri del gruppo che si faceva chiamare Confraternita dei Preraffaelliti, ne ero letteralmente rapita. Nell'Inghilterra ottocentesca, in cui la Rivoluzione industriale stava cambiando ogni possibile gerarchia, questo gruppo di artisti, che ora ho ritrovato in una bellissima mostra a Palazzo Reale a Milano («Preraffaelliti - Amore e Desiderio»), non si uniformava alle regole dell'austera società vittoriana, ma praticava una nuova libertà e un nuovo modo di intendere l'amore. Soprattutto sembrava guardare al mondo femminile con un altro occhio. Le donne che dipingevano erano perturbanti, capaci di atti estremi, di solitudini immense o di silenziose ribellioni.
Mute e senza sorriso
Non più Madonne con il bambino in braccio, dame o signorine per bene. Queste loro donne mi incantavano. O mi perseguitavano. Come «Ofelia» di John Everett Millais, una giovane ragazza in fiore dal volto marmoreo, lo sguardo opaco, la bocca aperta, le vesti gonfie d'acqua, che galleggia ormai cadavere tra un salice e un cespuglio di roselline selvatiche. Quello che allora non sapevo né - e bisogna proprio dirlo - veniva insegnato, era la storia, drammaticamente vera, di queste ragazze dai volti strani e fieri, dagli sguardi rivolti verso un mondo interiore mai raccontato. Erano le modelle mute, le muse prive di parola di questi giovani artisti che mi guardavano da quei quadri. Tutte signore senza sorriso.
Ragazze della working class
All'epoca, in Inghilterra come altrove in Europa, fare la modella significava tre cose: essere povera, bella e non istruita. Se si apparteneva alla working class, il futuro era prestabilito: operaie, sartine, modiste, lavandaie. Poco altro. Se per qualche caso del destino si riusciva a studiare, perché magari cresciute in un orfanotrofio come Jane Eyre di Charlotte Brontë, fare l'istitutrice rappresentava già una forma di riscatto. Ma se si possedeva la bellezza e qualche talento, allora la modella era una possibilità allettante, anche se pericolosa perché considerata dalla morale dell'epoca una figura equivoca. Le più audaci la percorrevano pagando prezzi altissimi per essersi discostate dalla strada tracciata dal mondo patriarcale.
Ofelia: tre giorni immersa nell'acqua
Elizabeth Siddal, detta Lizzie, l'Ofelia annegata di Millais di cui parlavamo prima, era la figlia di un venditore di coltelli. Faceva la modista, sapeva leggere e scrivere, ma non era mai andata a scuola. Fu Dante Gabriel Rossetti, il più prolifico dei Preraffaelliti, a innamorarsene, a ritrarla innumerevoli volte, con la promessa di un matrimonio che rimandava di giorno in giorno. Lizzie, oltre a essere bella, componeva poesie e dipingeva a sua volta. Ma questo amore così difficile, continuamente rinnegato e umiliato, la minò nel corpo e nell'anima. Quando Rossetti acconsentì a farla ritrarre da Millais, Lizzie rimase tre giorni immersa nell'acqua di una vasca riscaldata solo da candele. E quando le candele si consumarono lei non disse nulla e continuò a posare. Naturalmente si ammalò e il padre chiese un risarcimento di 50 sterline per le cure.
Suicida dopo aver perso il bambino
Quando a 32 anni perse il bambino che aspettava, dopo essersi finalmente sposata con Rossetti, non resse il colpo e con una dose fatale di laudano, un composto a base di alcol e oppio, si uccise. Ma non finisce qui. Rossetti la seppellì con le poesie a lei dedicate e dipinse «Beata Beatrix», un'opera che la ritrae in un alone di fulgore, ormai angelicata.
Quando però, rimasto senza soldi, un editore gli propose di pubblicare quei versi d'amore, non esitò a far aprire la bara di Lizzie e a riprendersi le poesie. Si racconta che il suo cadavere fosse ancora intatto, i capelli fluenti, ma da quel giorno si creò la leggenda che il suo fantasma vaghi inquieto nel cimitero di Highgate, a Londra.
Fanny, sfruttata, finì in manicomio
Anche per Fanny Cornforth, la modella dai sontuosi capelli rossi dipinta da Rossetti in «Aurelia - L'amante di Fazio» e poi in «Lucrezia Borgia», la vita non fu facile. Figlia di un fabbro, senza alcuna educazione, all'età di 21 anni incominciò a posare per Rossetti. Divenne la sua amante e, stabilitasi a casa sua alla morte di Lizzie, finì per fargli da governante per molti anni. Quando, causa l'età, la sua bellezza incominciò ad appannarsi, Rossetti giunse a sostituire il suo volto nel quadro «Venus Verticordia» con quello della sua favorita del momento, Alexa Wilding. Fanny, sboccata e dal carattere indomito, non piaceva né agli amici, né alla famiglia del pittore che la cacciò non appena Rossetti perse le forze. Fanny finì i suoi giorni in manicomio, rabbiosa e abbandonata da tutti.
La rivincita di Jane, che riuscì a studiare
Molto amareggiata doveva essere anche Emma Hill, che nel quadro «Prendete Vostro figlio, Signore» di Ford Madox Brown, come una Madonna dal volto tirato e fisso, offre il bambino alla figura maschile che si riflette nello specchio a forma di aureola intorno al suo capo. Emma aveva 19 anni e al pittore aveva dato diversi figli. Riuscirà a farsi sposare solo dopo dieci anni, quando ormai era completamente dipendente dall'alcol. Una sorte migliore ebbe invece Jane Burden, l'indimenticabile «Proserpina» di Rossetti, ritratta anche in «Le nozze di San Giorgio». Di lei, figlia di uno stalliere e di una lavandaia, si innamorò William Morris. Ma più generosamente dei suoi amici, la fece studiare e la sposò. Jane imparò le lingue ed ebbe vari amanti tra cui lo stesso Rossetti. Ma, invece di farsi usare e soccombere, imparò a sopravvivere e a dettare le regole in una società che per le donne prevedeva ben altro. Jane aveva capito una verità importante: la cultura può cambiare il mondo.
Rosa Baldocci



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