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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Corriere dei Ciechi

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Numero 9 del 2019

Titolo: RUBRICHE- A lume di legge

Autore: a cura di Franco Lepore


Articolo:
I congedi straordinari retribuiti
I congedi straordinari retribuiti sono stati definiti inizialmente dalla Legge n. 53/2000 (art. 4), integrata dalla Legge n. 388/2000 (articolo 80, comma 2), poi ripresa dal D. lgs n. 151/2001 (articolo 42, comma 5). In base al suddetto combinato normativo, i dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati possono richiedere, per gravi e documentati motivi familiari, un periodo di congedo continuativo o frazionato, non superiore a due anni. In particolare la legge prevede un congedo biennale retribuito in favore di chi assiste familiari con handicap grave. Pertanto il congedo straordinario spetta solo a chi assiste soggetti in condizioni di disabilità grave e accertata, ravvisabile in presenza di una minorazione, "singola o plurima", che riduce l'autonomia personale in modo che, tenendo conto anche dell'età, rende necessario "un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione (art. 3, comma 3, Legge n. 104/1992). Nel caso in cui il certificato di handicap grave venga revocato nel corso del congedo retribuito, il beneficio decade immediatamente. Ulteriore condizione per accedere al beneficio è che il disabile non sia ricoverato a tempo pieno presso una struttura sanitaria.
Il beneficio del congedo straordinario consiste in un massimo di due anni di assenza dal lavoro indennizzata nella misura della retribuzione percepita nell'ultimo mese di lavoro che precede il congedo straordinario. Il periodo di congedo è coperto da contribuzione figurativa. Durante la fruizione del congedo retribuito non si maturano ferie, tredicesima mensilità e trattamento di fine rapporto.
Il beneficio non può superare la durata complessiva di due anni per ciascuna persona portatrice di handicap e nell'arco della vita lavorativa. Sul punto L'INPS e l'INPDAP hanno precisato che, anche in presenza di "pluralità di figli portatori di handicap, [...] non è mai possibile per lo stesso lavoratore fruire del raddoppio dei congedi". Sotto il profilo operativo gli enti previdenziali ammettono il frazionamento fino alla giornata intera, non essendo ammesso il frazionamento ad ore.
Il congedo straordinario retribuito non può essere riconosciuto a più di un lavoratore per l'assistenza alla stessa persona.
Si tratta del principio del "referente unico" per l'assistenza che di fatto impedisce che i permessi o il congedo frazionato possano essere fruiti da persone diverse per lo stesso disabile. Tuttavia è prevista un'eccezione nel caso di genitori: per l'assistenza allo stesso figlio con handicap, il diritto al congedo è riconosciuto ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente. Negli stessi giorni, tuttavia, l'altro genitore non può fruire dei giorni di permesso previsti dalla Legge n. 104/1992, né del congedo parentale.
Nel tempo la legge ha ampliato il novero dei soggetti che hanno diritto al congedo straordinario per salvaguardare "la cura della persona con disabilità nell'ambito della famiglia e della comunità di vita cui appartiene (...) e tutelarne nel modo più efficace la salute, di preservarne la continuità delle relazioni e di promuoverne una piena integrazione sociale. In particolare il D. lgs n. 119/2011 ha confermato i beneficiari potenziali (coniuge, genitori, figli, fratelli e sorelle), fissando però condizioni diverse di priorità nell'accesso ai congedi. Successivamente la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 203 del 18.07.2013, ha ulteriormente modificato la platea dei beneficiari, ammettendo al beneficio, ma solo in casi particolari, anche i parenti ed affini fino al terzo grado. Recentemente la platea dei beneficiari è stata estesa anche alle unioni civili. Rimangono invece escluse le coppie di fatto.
Attualmente l'ordine di priorità dei potenziali beneficiari è il seguente: coniuge o parte dell'unione civile, genitori, figli, fratelli e sorelle. Il primo beneficiario è, quindi, il coniuge - o la parte dell'unione civile - convivente con la persona gravemente disabile.
In caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente o della parte dell'unione civile, ha diritto a fruire del congedo il padre o la madre anche adottivi (anche se non conviventi con il figlio). Da far rilevare che non viene previsto alcun limite di età di chi dovrebbe assistere il disabile.
In caso di decesso, mancanza o in presenza di patologie invalidanti del "padre e della madre", anche adottivi, ha diritto a fruire del congedo uno dei figli conviventi.
Se anche i figli conviventi sono deceduti, mancanti o invalidi, il beneficio si trasferisce ad uno dei fratelli o delle sorelle conviventi.
In caso di decesso, mancanza o in presenza di patologie invalidanti anche dei fratelli o delle sorelle, il diritto al congedo passa a parenti e affini, comunque conviventi, fino al terzo grado.
Come detto, l'ulteriore requisito della convivenza con il disabile è richiesto per alcuni potenziali beneficiari (coniuge, fratelli, sorelle, figli). Tuttavia il concetto di convivenza non è stato espressamente esplicitato dal Legislatore. Con la circolare del 18.02.2010 il Ministero del Lavoro ha affermato che, al fine di addivenire ad una interpretazione del concetto di convivenza che faccia salvi i diritti del disabile e del soggetto che lo assiste, onde contenere possibili abusi e un uso distorto del beneficio, si ritiene giusto ricondurre tale concetto a tutte quelle situazioni in cui, sia il disabile che il soggetto che lo assiste abbiano la residenza nello stesso Comune, riferita allo stesso indirizzo: stesso numero civico anche se in interni diversi. Ciò significa che i lavoratori che non siano in grado di dimostrare di abitare presso lo stesso numero civico del familiare da assistere non possono accedere al congedo straordinario.
Recentemente la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 232/2018, ha riconosciuto il diritto al congedo straordinario anche al figlio che non convive con il genitore. Secondo la Consulta, discriminare un figlio, costretto, per ragioni di lavoro a non poter convivere con il genitore bisognoso di cure, non solo ostacola l'esercizio del principio solidaristico previsto dall'art. 2 della Costituzione, ma viola anche quello di uguaglianza. Infatti, precisa la Corte, nel momento in cui un figlio non convive con il proprio genitore, non gli resta che chiedere il congedo straordinario, per poterlo assistere continuativamente, se non è presente un altro famigliare in grado di fornire il suo supporto. Del resto "le necessità che, secondo il moderno dispiegarsi dell'esistenza umana, conducono i figli ad allontanarsi dalla famiglia d'origine non potrebbero in nessun caso ostacolare la concreta attuazione dell'inderogabile principio solidaristico, attuazione che ben potrebbe essere garantita mediante l'imposizione di un obbligo di convivenza durante la fruizione del congedo".
L'INPS, con la circolare n. 49/2019, ha preso atto della pronuncia della Corte Costituzionale e ha stabilito che uno dei figli non ancora convivente con il disabile grave potrà beneficiare del congedo straordinario, ma a condizione che instauri la convivenza con la persona da assistere, e sempre che il coniuge convivente o la parte dell'unione civile convivente, entrambi i genitori, i figli conviventi e i fratelli o sorelle conviventi, i parenti o affini entro il terzo grado conviventi siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti. Il richiedente, sotto la propria responsabilità, dovrà dichiarare nella domanda che provvederà ad instaurare la convivenza con il familiare disabile grave entro l'inizio del periodo di congedo richiesto e a conservarla per tutta la sua durata.
Per fruire del congedo retribuito (frazionato o completo) il lavoratore deve presentare un'apposita domanda, allegando la documentazione necessaria. L'iter è diverso a seconda che si tratti di un dipendente pubblico, di un dipendente privato assicurato con INPS o di un dipendente assicurato con altri enti previdenziali. In ogni caso generalmente la domanda che si presenta assume la forma di un'autocertificazione.



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