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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Corriere dei Ciechi

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Numero 9 del 2019

Titolo: IPOVISIONE- Relazione madre-figlio in presenza di ipovisione

Autore: Zaira Raiola


Articolo:
Gli aiuti necessari nei primi anni di vita

Quando si parla di ipovisione spesso gli viene attribuito il significato di ridotta visione: questo genera inevitabilmente confusione e disorientamento e molto spesso si traduce in disinteressamento.
Ormai da anni gli esperti cercano di divulgare una informazione più rispettosa dell'ipovisione e del suo carattere realmente invalidante.
Stiamo lentamente imparando a considerare il cieco parziale e l'ipovedente, come persona bisognosa di aiuto, di comprensione, di educazione e non ultimo anche di sostegno economico.
Gli esperti, l'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, le strutture di riabilitazione, le scuole e le Amministrazioni Statali e Locali, da anni lavorano per garantire una piena integrazione delle persone ipovedenti e iniziano ad esserci esperienze virtuose in tal senso. Tuttavia interventi mirati a sostenere la genitorialità ed in particolare la maternità "speciale" dell'ipovedente, è ancora un progetto molto lontano e forse inizia a prendere forma almeno nei pensieri di chi crede che la famiglia sia davvero un diritto Costituzionalmente riconosciuto e tutelato per ogni individuo.
La relazione madre-figlio in presenza di ipovisione ed i relativi bisogni speciali, è un tema che ha interessato molti esperti in differenti campi: gli studi sono stati tuttavia, soprattutto rivolti al bambino nato ipovedente e al suo sviluppo complessivo. Sono stati svolti numerosi studi sugli stili di attaccamento dei bambini ipovedenti, sullo sviluppo psicologico, cognitivo, motorio e del linguaggio. È emerso che purtroppo la relazione madre-figlio subisce implicazioni negative, derivanti principalmente dall'evento traumatico della scoperta del "problema" visivo. I genitori, ed in particolare la madre, vivono un periodo di intenso dolore, di preoccupazione, di smarrimento e di solitudine; è diffuso il senso di incapacità e di inadeguatezza; l'umore oscilla tra momenti di esaltante aspettativa e di profonda sfiducia.
Tutto questo non riguarda direttamente l'ipovisione ma incide pesantemente nello sviluppo del bambino ipovedente che se inserito in un utopistico ambiente sereno e competente, potrebbe svilupparsi in modo adeguato ai suoi coetanei, utilizzando competenze speciali.
Un efficace Intervento Riabilitativo Precoce deve lavorare proprio su questi due livelli: da un lato sostenere psicologicamente i genitori, accogliere il dolore, la preoccupazione e promuovere lo sviluppo delle capacità personali e di coppia; dall'altro invece deve lavorare specificamente sull'ipovisione e quindi abilitare o ri-abilitare le competenze del bambino ed educare sia il bambino che i genitori ad uno sviluppo normale con metodologie speciali.
Da anni anche la Commissione Ipovisione spende grandi energie per la divulgazione sempre maggiore della Riabilitazione Precoce.
Diversa invece è la situazione quando nella relazione genitoriale c'è un ipovedente ed in particolare quando la madre, che è primaria figura di riferimento, è affetta da cecità parziale o da ipovisione.
Gli studi fatti in tale ambito riguardano soprattutto l'ereditarietà delle malattie oculari, la gravidanza e le eventuali implicazioni sulla vista della madre ed infine la capacità di caregiving della madre. Tutti questi temi sono stati ampiamente trattati nei Convegni che negli anni la Commissione Ipovisione ha organizzato a Roma e in altre città.
Molto poco è stato fatto invece per il supporto alla madre ipovedente e ancor di meno è stato fatto per studiare le implicazioni dell'ipovisione materna sullo sviluppo di un bambino vedente.
La medicina genetica pur progredendo velocemente, ancora non può sostituirsi ad una scelta che si sostanzia sempre in un grande atto di amore alla vita e di fiducia. La gravidanza è una condizione fisica che una donna ipovedente può sostenere, supportata sempre dall'oculista. Relativamente al parto, solo nei casi espressamente indicati dall'oculista devono essere cesarei mentre di consueto rientrano nella prescrizioni delle donne non affette da patologie visive. Infine le capacità della donna ipovedente di prendersi cura del proprio bambino sono indiscusse, pur nel rispetto della sua inevitabile fatica.
La letteratura si ferma qui.
Ho avuto il piacere di conoscere e lavorare con mamme disabili della vista, tra cui alcune ipovedenti ed ho appreso che i loro bisogni sono un po' più ampi della letteratura a loro dedicata.
M. era una donna molto consapevole della sua ipovisione, aveva studiato psicologia e si sentiva desiderosa e pronta ad accogliere suo figlio. Per problemi di glaucoma congenito doveva assumere del collirio che durante la gravidanza non avrebbe danneggiato lo sviluppo del bambino ma non avrebbe potuto allattare perché invece quel farmaco, attraverso il latte, avrebbe dato problemi al bambino. M. aveva preventivamente affrontato questo problema da un punto di vista pratico e soprattutto psicologico: quando nacque il bambino lei lo allattò amorevolmente con il biberon, per i primi mesi si riservò l'esclusiva dell'allattamento e non mancò mai di creare un'affettuosa presenza fisica, un clima di amorevole serenità ed un forte contatto visivo con il suo bambino ogni volta che lo allattava. Nel gruppo c'erano altre donne ipovedenti che avevano avuto lo stesso problema ma che purtroppo erano state lasciate sole e sopraffatte dal senso di colpa; ricordano i momenti dell'allattamento con grande dolore e ha avuto conseguenze nello sviluppo psicofisico dei figli.
R. era una donna ipovedente amorevolmente circondata dalla sua famiglia e dalla famiglia del marito non vedente. Ebbero una bella bimba e da subito fu circondata dai genitori, dai suoceri e dai fratelli, che con gran premura si trasferirono a casa loro, prendendosi cura della bimba ed elargendo alla neo mamma infinite indicazioni travestite da consigli che generarono in lei un grande senso di sconforto ed inadeguatezza, tale da impedirle di dare le necessarie cure alla sua bambina. Quando ci siamo incontrate lei era molto triste e la bambina era ingestibile. R. imparò a coordinare e dirigere gli aiuti offerti, imparò a farsi supportare da aiuti estranei alla famiglia e si riappropriò del suo importante ed esclusivo ruolo di mamma. Divenne felice e la figlia crebbe serena e rispettosa dei suoi genitori.
A. è una donna ipovedente, affetta da retinite, lavora ed ha molti amici, ha sposato un uomo amorevole e ha avuto una bimba. Non indossa occhiali, non utilizza il bastone bianco, pratica sport, è laureata, ha vissuto da sola e fa tutto da sola: è la perfetta ipovedente mimetizzata tra i vedenti. Sin da quando è nata la sua bambina, si è occupata di lei, della casa e del lavoro, come aveva sempre fatto. Purtroppo per la prima volta ha capito di essere ipovedente. Era "inspiegabilmente" affaticata, confusa; non riusciva a fare quello che aveva sempre fatto in casa. Per rispondere tempestivamente alle richieste della bimba, del marito e della casa, aveva iniziato a farsi male, sbattendo e infortunandosi in cucina; aveva iniziato ad avere paura che la bimba si potesse far male. Per strada portava da sola la bimba con il passeggino e per la prima volta si accorse che per anni lei aveva visto con altri occhi: i piedi, le orecchie e soprattutto la concentrazione. Tutto quello però non la aiutava più perché era stanca, era sempre concentrata sulla figlia e soprattutto si accorse che aveva messo per anni in pericolo la sua vita e non voleva mettere in pericolo la vita della sua adorata bambina. Nei primi anni di vita la bambina crebbe prima delle coetanee: era molto autonoma, aiutava silenziosamente la mamma, era prudente ed innaturalmente attenta e preoccupata. Quando conobbi A. era triste e molto arrabbiata. Si lamentava che nessuno la stesse aiutando; era arrabbiata verso l'associazione e le istituzioni che l'avevano lasciata sola. Con il tempo iniziò a conoscere la sua ipovisione, le sue infinite risorse e i suoi grandi limiti. Coinvolse molto di più il marito e divisero i compiti. Non riuscendo ad accedere a servizi di accompagnamento per la sua causa, ha deciso con il marito di assumere una collaboratrice che si occupasse della casa e di accompagnarla per strada con la bimba. A. adesso è una donna serena, consapevole e sta crescendo una bambina amata, libera e sicura.
Queste sono alcune donne che ho incontrato e che ho aiutato; queste sono alcune donne che mi hanno aiutato poi quando io sono diventata una mamma ipovedente. Anche io come loro ho deciso di diventare mamma nonostante la mia patologia visiva. I Convegni dell'UICI mi hanno aiutata a decidere, le mie competenze professionali in Counseling mi hanno supportata, la rete di esperti mi ha educata, gli incontri con altre donne ipovedenti mi hanno illuminata e la mia famiglia mi ha amata.
Credo tuttavia che bisogna fare di più per le mamme non vedenti. Bisognerebbe creare una piattaforma telematica dove condividere informazioni di medici, puericultori, psicologi e le esperienze di donne ipovedenti. Uno spazio telematico dove condividere libri ingranditi ed audiolibri di favole per bambini; contatti con consulenti che possano aiutare a trovare soluzioni efficaci alle innumerevoli problematiche che incontrano le mamme nel seguire i bisogni evolutivi dei bambini. Bisognerebbe supportare le mamme ipovedenti e cieche con servizi individualizzati di accompagnamento, di assistenza e di supporto psicologico. La nostra associazione e le istituzioni, dovrebbero prendere in carico le donne disabili della vista nei primi anni di vita dei figli, per realizzare concretamente il godimento di un importante diritto naturale e per agevolare i figli vedenti a crescere un po' più leggeri e liberi. I figli di una mamma ipovedente sono inevitabilmente figli "speciali": nell'autonomia, nell'empatia, nella sensibilità e nelle innate capacità adattive. Tuttavia come mamma mi sono sempre impegnata a trovare soluzioni rivolte al benessere di mio figlio, cercando di non far gravare su di lui le mie difficoltà; il mio desiderio è che tutte le giovani donne disabili della vista possano sentirsi supportate veramente nella loro scelta di donare una nuova vita e che possano testimoniare la bellezza di questa scelta.



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