Numero 9 del 2019
Titolo: Scelte da voi
Autore: Redazionale
Articolo:
Storia della caramella per diventare grande
Un giorno Alice andò nella camera da letto della nonna di nascosto. Quando era a casa della nonna, si giocava sempre in sala o in cucina. Nonna preferiva avere Alice sempre vicino e le diceva: stai qui con me, mentre io cucino o lavoro a maglia. La camera da letto della nonna, però, aveva qualcosa di magico. Era tutta colorata di rosa e marrone e aveva un profumo diverso da quella della camera da letto della mamma. Aveva una collana di perle sulla parete e tante fotografie sulla cassettiera e scatole e scatoline di ogni genere. Alice le aprì tutte e in una scatolina, la più piccola, trovò una caramellina rosa. Aveva un buon profumo. Alice la mise in bocca e la mangiò. Era un confetto magico: una caramella per diventare grande!
Alice si trasformò: crebbe, crebbe e crebbe fino a diventare altissima. La sua testa arrivava al soffitto della camera! Che strano essere così grandi! Alice si guardò le mani e le gambe; voltò la testa, a destra, a sinistra, in basso: come sembravano piccoli ora gli oggetti!
La bimba allora cominciò a camminare. Subito inciampò e si fece male a un piede: era il letto della nonna! Come si poteva camminare in quella stanza, ora che Alice era così grande?
Nel frattempo, la nonna la stava chiamando:
«Alice, Alice, dove sei?»
«Sono qui, nonna, sono in camera da letto!», disse Alice, ma la sua voce da bambina grande era diversa: era diventata un vocione che la nonna non riconosceva.
«Tu non sei Alice, questa non è la tua voce! Sei la maga delle caramelle? Dove hai nascosto la mia nipotina?».
«Nonna, sono io! Vieni a vedere, sono in camera!».
La nonna corse in camera da letto e vide Alice, che era diventata altissima.
«Alice, che cosa hai fatto?», disse la nonna.
«Ho mangiato la caramella rosa della scatolina», disse la bimba, imbarazzata... «Non sapevo che era una caramella per diventare grande! Non così grande!».
«Bimba mia, quello è uno zuccherino incantato che mi ha dato una maga. L'avevo conservata per te, ma era ancora presto per dartela».
«Come facciamo ora, nonna?».
«Prendi questa», disse la nonna, porgendo ad Alice un confettino azzurro.
Alice lo mangiò e si trasformò di nuovo. Qualcosa però, andò storto di nuovo perché diventò piccola piccola, quasi come una formica.
«Alice, dove sei?», chiese la nonna. «Non ti vedo!».
Alice piccolissima era molto spaventata. Un'ombra gigante stava sopra di lei e non le faceva vedere il soffitto. Era il letto! Alice era piccola piccola ora: vedeva i granelli di polvere sotto al letto, i moscerini che volavano e la stanza le sembrava una città enorme. Sentì la nonna e rispose:
«Sono qui nonna!», ma la sua voce era debole debole e la nonna non la sentiva. Alice si mise a piangere. Il pianto dei bimbi è molto forte: la nonna, questa volta, la sentì.
«Piccola mia», disse la nonna. «Forse ho sbagliato confetto. Ora devo darti un'altra caramella per diventare grande, ma della misura giusta».
Nonna rovistò tra le sue scatole e trovò un'altra caramella magica. Più grande del confetto azzurro, più piccola della caramella rosa. La diede ad Alice e la bambina la mangiò.
Piano piano... la bambina tornò delle dimensioni iniziali.
La camera da letto della nonna, il letto, le fotografie e tutto il resto ritornò come prima.
«Nonna», gridò Alice e la nonna l'abbracciò.
«La prossima volta, chiedi a me, quando vuoi mangiare qualcosa di davvero buono», disse la nonna. «Per crescere, i bambini non hanno bisogno di caramelle, ma di pastasciutta!» e andarono tutti in cucina per pranzo.
La vite tagliata
C'era una volta un uomo, piccolo, magro, dispettoso come una scimmia, che possedeva un bellissimo orto, e, meraviglia di tutto il paese, una magnifica vite che a settembre maturava certi grappoli d'uva che erano una bellezza.
L'omino magro l'aveva avuta in cambio di una grossa somma di denaro, da un mercante di passaggio. Immaginate come restò quando seppe che il suo vicino aveva piantato anche lui una vite che si arrampicava sul muro che divideva i due orti. L'omino maligno, dalla rabbia, non poteva dormire la notte, e quando gli riusciva di appisolarsi un po', sognava che la vite del vicino cresceva, cresceva, fino a soffocare la sua.
Un bel giorno, decise di andare a trovare il suo rivale. Il vicino lo accolse con grande cortesia, ma quando seppe il motivo della visita scrollò il capo.
«No, caro vicino, la vite non la vendo. Ho una bambina che gusta quei grappoli come se fossero di miele. Posso toglierle questa gioia? L'avete voi, la vite; posso averla anch'io».
L'omino maligno, visto che non la spuntava con le buone, decise di ottenere il suo scopo con le cattive. Una sera, era d'inverno e la notte era buia, aspettò che tutti fossero andati a letto, poi uscì pian piano dalla sua casa, e nelle mani aveva un grosso paio di forbici da giardiniere. Scavalcò il muro e penetrò nell'orto del vicino come un ladro. Eccola, la pianta tanto invidiata! Era spoglia, tutta rami secchi e viticci spezzati. L'omino le si accostò pian piano e giù, grandi colpi di forbici, di diritto, di traverso, e i bei rami troncati caddero con un fruscio lieve come un sospiro. Della povera pianta non rimase che il tronco.
Compiuta la sua cattiva azione, il malvagio omino scavalcò di nuovo il muro e se ne ritornò, tutto contento, a casa.
L'indomani mattina, quando il vicino vide quello scempio, restò male e la sua bambina pianse, pensando che in autunno non avrebbe più mangiato quei bei grappoli succosi che le piacevano tanto, ma poiché a tutto ci si rassegna, anche loro si rassegnarono alla loro bella pianta perduta e non dissero neppure niente al cattivo vicino per non guastarsi il sangue.
Invece la vite, a primavera, germogliò. E così mutilata e priva di rami, mise tutto il suo vigore nei nuovi germogli che crebbero con maggior forza e, quando fu autunno, maturò certi grappoli succosi e grossi come non se n'erano mai visti.
La vite dell'omino cattivo, invece, mise una gran quantità di foglie larghe come ombrelli, ma di grappoli nemmeno uno per cavarsi la voglia.
Così l'omino invidioso fu punito e gli uomini, da quella volta, potarono sempre la vite.
M. Menicucci