Numero 15 del 2019
Titolo: Perché non riusciamo a fermare gli stalker
Autore: Flora Casalinuovo
Articolo:
(da «Donna moderna» n. 32 del 2019)
Una legge contro il reato c'è. Un nuovo Codice rosso e un Piano nazionale a difesa delle vittime pure. Ma 8 donne su 10 ancora oggi non denunciano il persecutore. E anche quando lo fanno, non sono tutelate a sufficienza. Come accaduto a Deborah
Sei colpi di pistola mentre cantava sulla spiaggia di Savona. Così Deborah Ballesio è stata uccisa dall'ex marito il 13 luglio scorso: lo aveva denunciato 19 volte, dopo che lui aveva dato fuoco al suo locale. Storie come questa sono, purtroppo, una costante. Nel 2018, le denunce per stalking hanno toccato quota 6.437, a cui bisogna aggiungere il sommerso di chi tace: per l'Istat una donna su 5 è stata perseguitata nella vita. In questi giorni, intanto, il Parlamento ha approvato il Codice rosso con nuove misure contro la violenza di genere, tra cui lo stalking. E il Dipartimento per le Pari opportunità ha allargato il finanziamento del «Piano nazionale sulla violenza degli uomini contro le donne», stanziando 37 milioni di euro. Saranno misure sufficienti per arginare il fenomeno? Gli esperti rispondono.
Cosa si intende per stalking?
«Come dice l'articolo 612 bis del Codice penale, è un comportamento persecutorio che causa paura e ansia nella vittima e costringe a cambiare abitudini, da spostamenti a orari, a hobby» spiega Massimo Lattanzi, coordinatore dell'Associazione italiana di psicologia e criminologia e fondatore dell'Osservatorio nazionale stalking (www.offender.eu). «È un reato meno eclatante della violenza domestica, ma non meno pericoloso. Secondo le nostre ricerche, nel 70% dei casi le vittime sono donne e nel 55% degli episodi il colpevole è un ex fidanzato o marito, mentre tra i persecutori aumentano vicini o colleghi. In un episodio su 3, il reato è l'anticamera del femminicidio. Non si diventa stalker all'improvviso. Alla base c'è un uomo con sentimenti patologici che, per esempio, ha subito un abbandono infantile e cerca quindi un rapporto esclusivo e morboso: al primo diniego rivive quel trauma passato. Alle vittime diciamo di non colpevolizzarsi se all'inizio hanno ceduto alle lusinghe, ma di allarmarsi quando telefonate e regali diventano troppi, quando 50 sms al giorno tolgono il fiato o lui appare ovunque. Se si ha un dubbio, meglio parlarne con qualcuno di fidato e chiedere aiuto».
In 2 anni le denunce sono dimezzate: da 13.177 a 6.437 nel 2018. Come interpretare questo dato?
«Sappiamo che c'è troppo sommerso per giudicare positivamente questi numeri» nota Francesca Garisto, avvocata penalista e vicepresidente della onlus milanese Casa delle donne maltrattate. «L'aspetto importante è che, dopo anni di vuoto normativo, dall'articolo 612 bis del Codice penale introdotto nel 2009 in poi le donne sanno di avere uno strumento per chiedere protezione». In alternativa alla denuncia, la legge già nel 2009 aveva previsto un percorso più veloce: l'ammonimento, ovvero la possibilità di rivolgersi direttamente al questore che, ascoltata la vittima tramite le forze di polizia, avvia i riscontri di quanto dichiarato. Entro 15 giorni può scattare il provvedimento che impone allo stalker il divieto di avvicinarsi. «I problemi? L'applicazione e i tempi» dice l'avvocata. «Se a valutare il disagio ci sono persone prive di adeguata formazione sulla violenza di genere, tendono a minimizzare. Per i tempi, basta dire che la sentenza di primo grado arriva in media dopo 2 anni».
Perché la maggioranza delle vittime, secondo l'Istat, non si rivolge alle forze dell'ordine?
«Perché spesso lo stalker è una persona conosciuta a cui non si vuole rovinare la reputazione» dice lo psicologo Lattanzi. «Inconsciamente, quando lui è un ex, non si ammette quello che sta succedendo perché lo si vive come un fallimento personale, se ne prova vergogna. Con la denuncia una donna teme di rendere il persecutore ancora più aggressivo. Quando si rivolge alla nostra associazione, pensiamo prima alla sua incolumità, e poi valutiamo le azioni legali. Oltre alla pena, bisognerebbe anche puntare sulla rieducazione dello stalker, che senza un supporto psicologico torna a colpire: il 40% è recidivo».
La metà degli indagati non va a processo e solo 1 su 10 viene condannato. Come mai?
«Purtroppo, la valutazione del reato ha una forte componente soggettiva. Si parla di ansia e paura, che sono difficili da dimostrare e non c'è, per intenderci, un ematoma a testimoniare il reato» precisa l'avvocata Francesca Garisto. Anche se è utile tenere sempre prova dei messaggi, mail, sms persecutori, che possono dare più forza al racconto. «Se lo stalker è incensurato, capita spesso che il suo difensore cerchi un accordo con la controparte che prevede, per esempio, un risarcimento della vittima a fronte del ritiro della querela. Così il reato resta impunito. Nel nostro ordinamento penale viene salvaguardata prima di tutto la libertà individuale e i giudici sono molto cauti prima di emettere un provvedimento restrittivo».
Il nuovo Codice rosso tutelerà le vittime?
«È positivo avere introdotto una corsia preferenziale, altrimenti le denunce rimangono 15 giorni sulle scrivanie delle forze dell'ordine prima di arrivare ai pm, che devono svolgere le indagini e valutare il rischio a cui è esposta la vittima» dice l'avvocata Garisto. «Ma se la maggior parte delle stalkerizzate non denuncia, che senso ha insistere sulle pene? Difendo le donne contro questi reati da anni e nessuna ha mai chiesto una punizione esemplare. Tutte vogliono essere credute».
Flora Casalinuovo