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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Corriere dei Ciechi

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Numero 7-8 del 2019

Titolo: IPOVISIONE- Ipovedenti e sintesi vocale

Autore: Antonino Cotroneo


Articolo:
Una relazione complessa - Parte 2

Nell'articolo pubblicato il mese scorso abbiamo visto quanto sia ricco e vario al giorno d'oggi il mondo dell'interazione vocale tra uomo e tecnologie informatiche, parlando di screen reader, di Text-To-Speech (TTS) e di smart speaker. Abbiamo osservato poi come, considerando le persone con ipovisione non di rado venga fuori il tema della "non accettazione" di queste tecnologie, e ci siamo chiesti il perché di questo fenomeno. Ci siamo, infine, impegnati nel tentativo di gettare un po' di luce a riguardo, delineando su base empirica quattro profili di interazione tra persona ipovedente e tecnologie informatiche, che ci aiuteranno a entrare meglio nel problema. Ne riprendo la denominazione, ma rimando all'articolo sul numero precedente della rivista la loro descrizione dettagliata: profilo 1 (ipovisione lieve), profilo 2 (ipovisione media), profilo 3 (ipovisione medio-grave), profilo 4 (cecità parziale).
Orientarsi tra i quattro profili - Quando parliamo di ipovisione, nella pratica, le regole e gli standard non esistono. Ogni persona ha delle caratteristiche visive pressocché uniche, a cui si affiancano le variabili del profilo psicologico, la formazione, l'educazione e il contesto socio-culturale, che per natura sono altrettanto uniche. Approcciarci all'ipovisione con dei modelli preconfezionati, quindi, sembrerebbe un evidente errore in partenza che quasi certamente ci indurrà in strade sbagliate. La prima cosa che dobbiamo far nostra, dunque, è una: questi modelli non sono reali. Dobbiamo considerarli come degli estremi ideali di cui possiamo mescolare le singole caratteristiche. Una persona con ipovisione può sicuramente avere esattamente tutte e sole le caratteristiche di un singolo modello, ma la maggioranza degli ipovedenti riuscirà a descrivere più verosimilmente la sua condizione, provando a combinare tra loro le caratteristiche di due o più di essi, ottenendo ulteriori possibilità di lettura degli scenari di ipovisione verosimili.
Avendo adesso questi quattro modelli ideali come riferimento, forse risulterà più facile provare a capire le cause del rifiuto di cui ho accennato sopra. E soprattutto, provare a gestirlo, possibilmente risolverlo, e successivamente essere nelle condizioni di impostare delle strategie educative e didattiche adeguate e utili alla crescita della persona con ipovisione che abbiamo in carico. Seguiamo questo percorso attraverso due esempi di scenario. Sono inventati, ma ricalcano situazioni reali in cui mi imbatto settimanalmente durante il mio lavoro di tifloinformatico.
Primo scenario - Emma ha un'ipovisione tra il lieve e il medio livello, e per la compagnia assicurativa per cui lavora sta facendo l'analisi di una serie di dati su una griglia in Excel che è composta da 500 righe e 18 colonne. Ad una distanza dal monitor sufficientemente vicina, Emma riesce senza grossi problemi, sia a leggere i dati nelle celle, sia ad attivare tramite mouse i pulsanti dell'interfaccia a lei utili, sia a spostarsi all'interno della griglia per individuare le celle su cui intervenire. Il lavoro non sarà breve, la griglia dovrà essere esplorata in lungo e in largo un numero molto elevato di volte per diverse ore. Seppur Emma possa compiere con le proprie energie visive tutte queste operazioni singolarmente, farlo ripetutamente e per un tempo prolungato come quello lavorativo, la farà stancare molto, la sua efficienza diminuirà, così come il suo benessere, il suo senso di frustrazione aumenterà, e tutto ciò alla lunga può inficiare negativamente sulla sua rendita lavorativa generale. Per prevenire tutto ciò, la nostra Emma potrà imparare ad usare bene lo screen reader come le persone con una ipovisione molto più grave della sua o con cecità, e sfruttarne le caratteristiche per ottimizzare e canalizzare al meglio le sue energie visive. Ad esempio, potrà esplorare la griglia attraverso i tasti di scelta rapida sulla tastiera, saltare di punto in punto sfruttando i valori semantici dei dati intercettati dallo screen reader, leggere il dato della singola cella grazie al feedback vocale, ed intervenire quindi adeguatamente sul dato. In tutto questo processo la vista le sarà di grande aiuto nel monitorare gli spostamenti all'interno del foglio, ma verrà risparmiata dal ricercare i singoli punti da raggiungere in una griglia così vasta. Un importante accorgimento che le restituirà tanta energia e la renderà più efficiente nel suo lavoro e, in generale, molto più rilassata, soprattutto a lungo termine.
Secondo scenario - Tommaso vede pochissimo. Cinque anni fa riusciva a leggere con i suoi occhi, anche se a distanza molto ravvicinata, poi man mano la sua vista è andata via via calando. Adesso si trova in una situazione abbastanza assimilabile al modello di cecità parziale descritto sopra. Deve quindi riaddestrarsi all'utilizzo del computer e trovare nuove strategie. Tommaso potrebbe tranquillamente usare il PC a schermo spento e con il solo screen reader, poiché il suo residuo visivo non carpisce informazioni particolarmente significative dall'interfaccia grafica. Tuttavia, quando egli viene introdotto all'adozione totale del lettore di schermo, chiede di voler continuare ad avvalersi delle funzionalità di ingrandimento. Ciò può sembrare paradossale, ma non lo è. Parlandoci con calma, l'operatore che si occupa della sua riabilitazione capisce che Tommaso ha bisogno di sentire ancora la "presenza" della sua vista, non vuole escluderla. Egli, infatti, con un percorso adeguato, potrà raggiungere il suo equilibrio psicologico e operativo, da una parte apprendendo ad un livello avanzato ad impiegare lo screen reader (esso sarà il suo strumento principale), dall'altra non spegnendo il suo canale visivo consentendogli di "sbirciare" all'occorrenza sullo schermo quando lo vorrà; ciò gli permetterà di poter associare a ciò che sente, anche delle immagini, e questo gli sarà di conforto e forse in qualche caso fungerà anche da debole, ma per lui confortante, stampella di orientamento nello spazio digitale ormai per lui quasi totalmente sonoro.
Per capire meglio il sentimento di rifiuto di cui abbiamo parlato anche nell'articolo precedente, ed effettuare dei tentativi di risoluzione, ci è utile approfondire gli esempi illustrati sopra e capire quali strategie sono state messe in atto e, soprattutto, perché. Ci sono sicuramente delle ragioni molto profonde a livello psicologico, come in certi casi la non completa accettazione della situazione visiva. Oppure una incompleta presa di coscienza di tutti gli aspetti ad essa legati, che sono di solito frutto di un'educazione familiare e di percorsi scolastici non completamente adeguati. L'analisi di tutti questi aspetti nella loro globalità va fatta in maniera oculata dal gruppo di professionisti che seguono la persona nel suo percorso (insegnanti, tiflologo, educatore, mentore, riabilitatore, ecc.). Dobbiamo tenere ben in conto che nelle strategie tifloinformatiche, però, spesso si nasconde il buon successo di un percorso educativo o didattico, o il suo fallimento. Delle buone strategie possono far superare alla persona anche dei blocchi notevoli, e quindi esse meritano la nostra attenzione.
Psiche e strategie - Vediamo quindi come leggere e trarre informazioni utili dagli scenari esposti sopra.
Le persone che si trovano nella situazione di Emma, tendono a non avvertire l'esigenza di farsi supportare da uno screen reader. Poiché le sue capacità visive sembrano bastare a ogni attività, ad una prima analisi non richiederebbero l'integrazione di tale strumento, e proporglielo potrebbe essere da lei percepito come un'invasione ingiustificata della sua sfera funzionale. Svolgendo un lavoro così oneroso appoggiandosi alla sola vista, tuttavia, Emma non riuscirà a spiegarsi la stanchezza, i rallentamenti e il calo di efficienza nel fronteggiare quel tipo di compito a lungo termine. Ciò può generare un senso di inadeguatezza a cui egli non riesce ad associare una causa specifica, che quindi, probabilmente lascerà irrisolto o crescerà. Allargando invece lo sguardo, abbracciando la situazione personale di Emma e i suoi obiettivi lavorativi nello specifico, per le dinamiche viste sopra, un'adozione molto mirata di screen reader e tastiera fungerebbe da antidoto preventivo ai problemi individuati. Probabilmente di solito a Emma non serve un feedback vocale, ma nella gestione di una tabella di dati così imponente potrebbe fare la differenza.
Per i casi come quello di Tommaso, probabilmente, la parola chiave è "confort", nel senso di "agio", ma anche di "conforto". Alcuni psicologi sostengono che affrontare la perdita della vista sia come affrontare un lutto. E in casi come questi è proprio la parola conforto che, in base alla mia esperienza, deve essere assecondata. Anche in questo caso la persona potrebbe vivere un senso di violazione della propria sfera personale, se non gli viene riconosciuto dall'operatore il diritto di poter sfruttare quei bagliori residuali, quelle sensazioni di visione, seppur bassissima, appoggiandosi di tanto in tanto ad un ingrandimento, ad un qualche tipo di visualizzazione. Se per Emma è il vocale a fungere da conferma potenziante di quanto vedono, per Tommaso è, invece, il visivo a fungere da conferma potenziante di quanto egli ascolta.
Le strategie devono porre al centro la persona - Come abbiamo potuto vedere dalla disamina di questi scenari, che, ripeto, sono inventati, ma ispirati da casi reali, l'approccio all'ipovisione non contempla ricette universali. Ogni persona è un caso a sé, che porta caratteristiche visive, psicologiche e di contesto specifiche. Uniche, direi. La relazione con i sistemi di vocalizzazione sollecita queste corde e per questo è molto delicata. L'operatore deve, quindi, innanzitutto prendere piena coscienza di ciò, e successivamente disegnare e proporre assieme al tifloinformatico, strategie e soluzioni adeguate e personalizzate, che l'utente possa sperimentare, toccare con mano, e di cui egli possa anche misurare l'efficacia nel tempo. La partecipazione attiva dell'utente è fondamentale ed è un requisito imprescindibile, perché questi percorsi vanno ad impattare su due variabili cruciali, quali l'autoefficacia e l'autocoscienza. La seconda non risulta sempre ben calibrata tra le persone con ipovisione, e un suo disequilibrio porta all'assenza della prima, che è fondamentale per la sedimentazione nel tempo di strategie sempre più autonome e autoprodotte, e per il miglioramento della percezione di sé. Quando la persona non riconosce, se pure a piccolissimi passi, la bontà dell'intervento, il processo virtuoso di sperimentazione, autopercezione, autoconsapevolezza, e quindi autoefficacia, non parte e ogni proposta rischia di essere vana. Vale la pena, se la persona non è ancora pronta ad abbracciare la strategia proposta, di fermarsi e aspettare che i tempi maturino, evitando forzature tanto inutili, quanto ahimè di frequente adozione. Nella maggior parte di questi casi, la sana virtù della pazienza verrà premiata.



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