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Kaleîdos

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Numero 14 del 2019

Titolo: Guida alla salute delle donne

Autore: Redazionale


Articolo:
Alzheimer: le nuove frontiere
(da «Intimità» n. 25 del 2019)
Uno studio italiano suggerisce un'innovativa terapia contro i fattori scatenanti di questa patologia
La malattia di Alzheimer è neurodegenerativa e debilitante. Espone alla perdita di memoria, determina lo smarrimento della coscienza di sé e quindi l'incapacità di interagire con gli altri e con i propri cari.
Ciò che accade nel cervello venne scoperto nel 1906 dal neurologo Alois Alzheimer, che identificò dei «grovigli» di proteine che si accumulavano fuori dalle cellule (placche amiloidi) e degli ammassi di fibrille (ammassi neurofibrillari) all'interno delle cellule neuronali. E di recente è stato reso noto, attraverso uno studio apparso sulla rivista Nature Communications, pubblicato da Viviane Labrie e collaboratori, che la formazione di tali grovigli è dovuta alla perdita di alcune modificazioni del Dna (chiamate epigenetiche) che determinerebbe l'aumento dei geni che favoriscono la produzione delle placche amiloidi.
«In base alle strutture definite dal neurologo tedesco, ricercatori e farmacologi hanno pensato che curare l'Alzheimer volesse dire sciogliere questi grovigli e ammassi presenti nel cervello», spiega Maria Luisa Malosio dell'Istituto di Neuroscienze del Cnr di Milano e Humanitas di Rozzano (Mi). «Purtroppo, tutti i tentativi di ricerca da vent'anni a oggi, focalizzati sullo smontare questi grovigli, non hanno prodotto una cura efficace. In questi ultimi anni sono emersi però altri importanti fattori nel determinare la malattia di Alzheimer, come l'infiammazione, e si è scoperto che i responsabili della tossicità sono i pezzettini più piccoli dei grovigli (gli oligomeri), insieme ad altri fattori, come i radicali liberi e l'ossido nitrico. Con le ricercatrici Silvia Coco, Università Milano Bicocca, e Chiara Elia, di Humanitas e Cnr abbiamo ricercato una nuova possibile proposta terapeutica e abbiamo formulato un'ipotesi che è stata pubblicata sulla rivista scientifica BioEssays. Ci siamo concentrate sulle cellule staminali mesenchimali, Mscs, che originano dal midollo osseo e possono differenziare in osso, grasso e cartilagine: le Mscs sono in grado di spostarsi nell'organismo in risposta a un danno e di modulare l'infiammazione. Sono già state usate con successo per curare patologie cardiovascolari e renali. Siamo partite dalla considerazione che la terapia con le cellule staminali è sempre un po' problematica per via del rischio di rigetto o di riproduzione cellulare che potrebbe evolvere in tumore».
Vescicole che curano
«Le cellule staminali mesenchimali sono in grado di rilasciare delle vescicole extracellulari (Evs) che hanno le stesse proprietà delle cellule da cui derivano, cioè di modulare l'infiammazione, di smontare i grovigli di amiloide e di agire contro lo stress ossidativo. Nel modello animale di malattia di Alzheimer, la somministrazione di tali vescicole fa guarire. Quindi proponiamo che si studi la possibilità di usare queste vescicole anche nell'uomo, mettendo a punto un trattamento che non rischia il rigetto, e le vescicole potrebbero essere facilmente somministrate. Agirebbero contro l'infiammazione, sui grovigli di amiloide e contro lo stress ossidativo. È una strada nuova che potrebbero percorrere ricercatori e aziende farmaceutiche per far partire sperimentazioni e fare evolvere tali vescicole in una cura vera e propria».
Valeria Cudini



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