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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Kaleîdos

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Numero 14 del 2019

Titolo: Quando l'amore finisce

Autore: Benedetta Sangirardi


Articolo:
(da «F» n. 22 del 2019)
Capitano sempre più spesso gli addii brutali. Ma non è vero che «andava tutto bene»: i segnali della crisi c'erano, venivano ignorati per «comodità relazionale». Lo spiega lo psichiatra Paolo Crepet: «Le relazioni immature sono sempre destinate a chiudersi. Per ripartire senza ripetere gli stessi errori, occorre assumersi le proprie responsabilità, farsi mille domande e capirsi»
Paola rientra a casa e la trova vuota: suo marito ha portato via tutto. Tommaso si dispera perché l'infedelissima Francesca l'ha mollato. La matura e colta Domitilla si trasforma in una bambina pestifera e vendicativa quando il suo amante torna dalla moglie. Sono alcune storie di amori finiti senza appiglio, storie che ti scaraventano nel baratro da un giorno all'altro, tutte vere e raccolte dalla giornalista Alessandra Arachi, una in un bar, un'altra in un piccolo hotel, su segnalazione e incoraggiamento degli amici. Una forma di terapia, la sua, per alzare la testa dopo un addio subito dolorosamente. «A 52 anni l'uomo che amavo mi ha lasciato in modo brutale e senza spiegazione», confessa Arachi. «Ero davvero giù e nessuno riusciva ad aiutarmi». Così, forte del suo mestiere, ha raccolto queste storie nel libro «Perché finisce un amore», commentate dallo psichiatra Paolo Crepet. Ne abbiamo scelte due e gli abbiamo chiesto di spiegarci le dinamiche che nascondono. Perché, come dice Arachi: «Le storie degli altri servono per elaborare, per capire, farsi domande e ripartire».
Paola e la doppia vita di suo marito
Una sera come tante, Paola apre la porta del suo appartamento. È vuoto. Né un quadro, né un tappeto, non c'è neppure lo zerbino, sradicato il battiscopa. Suo marito Pietro ha portato via tutto, dopo che per 15 anni ha avuto una doppia vita. Le ha fatto credere di essere un docente di Biologia all'Università di Firenze. In realtà lavora a Roma, a pochi metri da casa, ma ha un'esistenza parallela e un'amante. E così all'improvviso «dottor Jekyll e mister Hyde» chiede alla moglie di andare da quell'ottimo macellaio dall'altra parte di Roma per comprare la carne e preparare squisite polpette. Ma quando lei torna a casa, trova solo sette parole scritte su un foglio, pesanti come un macigno: «Ai figli penserò io. Non cercarmi più».
D. Professore, che cosa prova Paola?
R. Smarrimento, prima di tutto. Il castello è crollato, non ha più nulla in cui credere, o meglio non può più credere alle bugie che si è raccontata per anni. Non riesce a capacitarsi di un aspetto evidentissimo: la storia che lei pensava vera non esisteva più da 15 anni. Spesso voler credere in maniera ostinata a una storia d'amore tra «estranei», perché questo sono Paola e Pietro, porta a conseguenze disastrose. Accade molto più spesso di quanto si pensi.
D. Nel libro lei parla di analfabetismo sentimentale? Che cosa è?
R. È l'incapacità di maturare un approccio emotivo diverso da quello delle generazioni che ci hanno preceduto, in cui si stava insieme soprattutto per far figli, e non sempre perché ci si voleva bene davvero. È incredibile come riusciamo a evolvere in tutto, ma non nell'amore. L'aspetto comune che caratterizza tantissime vicende amorose è proprio questo: l'incapacità di crescere, come accade a Pietro, di accogliere le responsabilità familiari.
D. È possibile davvero che Paola non si sia accorta di nulla?
R. Non scherziamo. Ha voluto sottovalutare i segnali, anche chiari. Quante volte succede: scopro una piccola menzogna, e mi racconto che è solo un incidente, mica credo di essere di fronte a un bugiardo patentato. Ma poi le falsità crescono e la pentola si riempie fino a scoperchiarsi.
D. Perché succede?
R. Perché non c'è alcun tornaconto ad accorgersi della verità se si vuol illudersi che tutto vada bene perché la storia d'amore non finisca. In realtà finisce eccome e pure nel peggiore dei modi. Si chiama «comodità relazionale»: intuisco che le cose non vanno per il verso giusto, ma preferisco nascondere, andare a cena con gli amici fingendo una coppia felice, fino a pensare davvero che sia tutto a posto. È una strategia involontaria. Diceva Giorgio Gaber: «Far finta di essere sani».
D. Perfino l'amore può essere un fake?
R. Lo è adesso molto più che in passato. L'era dei social è anche la saga della falsità dell'amore. Un tempo, per trovare l'amante, dovevi uscire, ora, tutti hanno un quarto d'ora per chiudersi in bagno e stare su WhatsApp.
D. Che cosa dice ai suoi pazienti, quando arrivano disperati per le pene d'amore?
R. Chiedo quanto spesso facciano ai loro partner la domanda più banale di tutte: come stai? Di solito ribattono che si tratta di una questione scontata e forse fin troppo implicita all'interno di una coppia. Ma quella domanda dà senso alla complicità, dimostra la vicinanza e la volontà di non dare nulla per scontato.
La vendetta di Domitilla
Docente di Fisica all'università, spesso single e felice di esserlo: vive così Domitilla finché non incontra Giulio. Un colpo di fulmine per entrambi, 52 anni lei, 61 lui. Giulio è sposato, Domitilla lo sa, ma è libero di viaggiare. Vacanze, momenti magici, un sogno per entrambi. Finché lui decide di chiudere. E lei di vendicarsi. È pronta a spedire foto e mail che testimoniano il tradimento alla moglie di Giulio. Ma poi ci ripensa e «si limita» ad alleggerirgli la carta di credito.
D. La vendetta, un metodo ancora utilizzato per «liquidare» una vicenda d'amore?
R. Pratica antica e contraddittoria, è molto, molto diffusa. Domitilla non tollera che Giulio sia uscito «dalla sua giurisdizione». C'è una caratteristica che identifica questo atteggiamento: più la relazione d'amore si è svolta in modo immaturo, più è forte la volontà di vendicarsi.
D. Ma in che modo una relazione sentimentale si trasforma in odio?
R. Succede quando gli amanti si comportano come due ragazzini. È l'occhio per occhio dente per dente. Alzi la mano chi si dà delle colpe quando finisce una storia d'amore. Molto più frequente è evitare domande fondamentali. Per esempio: «Che cosa ho fatto io perché le cose non andassero bene?». «Che ruolo ho nella fine della storia d'amore?». Mai in amore fuggire alle domande. Perché non farsele vuol dire covare odio attribuendo tutte le responsabilità all'altro. E il disprezzo, il rancore può arrivare così in alto da avere conseguenze tragiche: donne picchiate, aggredite, uccise.
D. Una donna, anche se di cultura, può trasformarsi in bambina che sfida per non cadere nel dirupo amoroso?
R. La cultura amorosa è ben altra cosa rispetto ai titoli accumulati all'università. Domitilla ha vissuto la storia con Giulio in maniera esclusiva, senza mezze misure, adolescenziale, e non potrà mai pretendere di crescere. Ma non è colpa sua: alla base c'è l'educazione amorosa che ha ricevuto. È dai nostri genitori che dipende il modo in cui viviamo l'amore.
D. Quanto incide il possesso nel processo vendicativo?
R. Parecchio, perché molti, soprattutto gli uomini, sanno amare soltanto in modo primitivo: possedendo l'oggetto dei propri sentimenti. Una maniera medievale che riporta l'amore alla dimensione di una cosa, una terra, una casa, un animale, non certo un'anima. Una proprietà che si prolunga anche oltre la chiusura, con un evento efferato o con la vendetta, proprio perché l'odio non è il contrario dell'amore, ma la sua perversa conseguenza.
D. Lezione di coraggio per alzare lo sguardo e cercare la luce quando la storia è finita?
R. Primo: ammettete le vostre responsabilità, nel fallimento di una relazione vale sempre la regola del 50 e 50. Secondo: smettete di progettare controffensive, vendicarsi non porta a nulla. Terzo: fatevi mille domande, cercate di capirvi o rischiate di innamorarvi di persone simili alle precedenti, e finirà di nuovo. Quarto: sdrammatizzate. So che è difficile in un momento doloroso, ma ridimensionare la tragedia amorosa è un'ottima arma per riprendervi.
Benedetta Sangirardi



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