Numero 13 del 2019
Titolo: Non padri ma maschi alfa
Autore: Gaia Giorgetti
Articolo:
(da «F» n. 25 del 2019)
Padri che massacrano i figli solo perché disturbano il sonno, madri che partecipano a questa atroce brutalità o che rimangono chiuse in un silenzio complice. Fino a che punto, tra le mura domestiche, si nasconde una violenza cieca, tanto che i bimbi diventano un impiccio da togliere di mezzo?
Perché una brava ragazza di 19 anni come Deborah Sciacquatori ha dovuto affrontare il padre per difendere se stessa, la madre e la nonna dalle aggressioni dell'uomo che duravano da anni? La cronaca degli ultimi giorni è piena zeppa di situazioni terribili, indicibili, davanti alla quale ognuno di noi si chiede cosa stia succedendo, se il livello della crudeltà umana si sia alzato e fino a che punto. Sembra impossibile che i mostri della mitologia si siano incarnati in ragazzetti con il gel nei capelli, che sui profili social mostrano foto mentre baciano i loro bambini, gli stessi contro cui poi si abbatterà la loro furia disumana. Crono divora i suoi figli, Medea li sacrifica per vendetta. Questi padri, invece, uccidono per insofferenza. «Non riuscivo ad addormentarmi, mi sono alzato e l'ho picchiato», è la giustificazione pronunciata dal padre 25enne di Mehmed, 2 anni, ammazzato a Milano perché disturbava il sonno del genitore. È accaduto anche a Leonardo, 20 mesi, il piccolo di Novara calpestato dal patrigno, con la mamma incinta che probabilmente assisteva al più terribile dei delitti annunciati. Ma quale può essere la spiegazione di comportamenti così crudeli, che azzerano l'amore e la tenerezza, persino verso un bambino innocente? È l'anestesia dei sentimenti che si sta impossessando delle nostre menti sempre più indifferenti e alza il livello di violenza fino ad annullare la ragione? Ne parliamo con Luigi Zoja, psicoanalista, che si è occupato di violenza e di padri nei suoi libri «Il gesto di Ettore» e «Centauri» (entrambi pubblicati da Bollati Boringhieri).
D. Professore, com'è possibile che un padre perda la pietà persino nei confronti del proprio figlio? Come legge i gesti efferati di questi uomini compiuti per motivi futili? Le nostre famiglie stanno diventando più violente?
R. Non le famiglie, questo fenomeno coinvolge tutti. Vedere che non c'è rispetto neppure per un neonato ci colpisce molto, ma la tendenza a non saper elaborare i sentimenti non riguarda i padri più che le madri, non coinvolge solo le reazioni rispetto ai figli o ai bambini, ma ha a che fare con il nostro rapporto con il tempo: la pazienza si è modificata, tutti siamo sempre più abituati a rispondere agli stimoli in tempi brevissimi, non abbiamo tempo per le scelte coscienti e lasciamo prevalere l'istinto, come un cane che si gira di scatto e azzanna il suo padrone. Per compiere un gesto morale, buono, ragionato, invece, serve una minima elaborazione del cervello. È un fenomeno molto preoccupante, ha messo radici nelle nuove generazioni, ma c'è da aspettarsi che si svilupperà anche nelle prossime.
D. L'uccisione del tempo ci rende più cattivi?
R. Sì, perché riduce la nostra capacità di essere sereni e nutre l'impazienza. La compressione del tempo, iniziata con il digitale, si è accentuata nell'ultimo decennio con i social, un canale che diffonde l'odio più facilmente, perché i messaggi molto brevi favoriscono la cattiveria, a scapito della generosità e della comprensione, per le quali serve l'elaborazione del pensiero.
D. L'odio quindi è figlio dell'impazienza?
R. Anche. Per essere generosi, empatici e comprensivi occorre tempo. La consapevolezza e la coscienza morale richiedono, infatti, elaborazione: studi americani autorevoli hanno dimostrato che da quando usiamo le chat, perciò ancora prima dell'era dei social, ci siamo abituati a rispondere ai messaggi nel giro di un secondo, mentre per una riflessione che tenga conto anche di un solo elemento morale servono almeno 8-10 secondi. Reagire agli stimoli all'istante ci preclude la capacità di ragionare, portandoci a seguire la nostra pancia.
D. Un uomo massacra il figlio piccolo perché gli rovina il sonno: ha agito d'istinto senza il tempo di riflettere?
R. In gran parte questi delitti nascono da quella che anni fa fu chiamata la «sindrome del cacciavite»: un automobilista al semaforo si è arrabbiato, è sceso dalla macchina, ha afferrato il cacciavite e ha ucciso l'uomo che gli aveva causato tanta rabbia. Senza pazienza, vince l'istinto.
D. Questi padri sono spesso sotto effetto di sostanze stupefacenti o comunque consumatori più o meno abituali. La droga circola sempre più facilmente, è un acceleratore della violenza cieca?
R. Non mi piace semplificare, ma certamente l'uso delle droghe fa perdere la responsabilità. Capita forse più spesso agli uomini, perché le donne conservano un briciolo in più di legame biologico, ma ormai è un dato di fatto che anche molte madri dipendenti dalla droga sono indifferenti alla sofferenza dei loro figli. Il problema è che, con le nuove sostanze a bassissimo prezzo, la tossicodipendenza sta aumentando, è un fenomeno con il quale siamo destinati a convivere. E tutto si collega: tossicodipendenza e dipendenza dai social aggravano gli istinti umani e la crudeltà che è sempre esistita è destinata statisticamente ad aumentare.
D. I figli arrivano a darci fastidio. I genitori stanno diventando intolleranti?
R. Tutti reggiamo di meno le responsabilità, perché non sappiamo stare nel tempo, nella continuità e nella coscienza.
D. Lei vede il rischio di un aumento della ferocia maschile?
R. Sì, malgrado un secolo di femminismo, l'immaginario collettivo dei giovani è condizionato dallo stereotipo del «maschio a cui non si può dire di no», promosso dal consumismo e dalla pornografia. Al patriarcato non si sono sostituiti valori più femminili, ma quelli dell'uomo competitivo. E quei padri assassini non sono veramente padri, sono maschi alfa.
D. Nel suo libro «Il gesto di Ettore», sulla figura del padre, scrive che siamo tornati alla società «maschio-centrica», quella dominata dai centauri.
R. Caduto il patriarcato, è stata eliminata la tradizionale autorità paterna incarnata da Ettore. Ora il predominio maschile non passa più attraverso la categoria del genitore che sente il senso di responsabilità verso i figli, ma da quella del «maschio alfa», ovvero il centauro che comanda con la forza. Anche in politica, oggi, emergono figure di questo tipo.
D. Parliamo delle madri. Come hanno potuto assistere al massacro dei loro figli?
R. In un mondo dove prevale l'elemento arcaico, così come s'impone il maschio alfa rispetto al padre, nella donna prevale l'archetipo della compagna del centauro, talmente fiera di esserlo e sottomessa, che arriva a fare la bulla come lui e a diventare sua complice.
Gaia Giorgetti