Numero 11 del 2019
Titolo: Il momento in cui scegli di diventare madre
Autore: Gaia Manzini
Articolo:
(da «Donna moderna» n. 23 del 2019)
Lo voglio davvero, un bambino? Sarò all'altezza? E se poi perdessi la mia autonomia? Sono i dubbi che assalgono la protagonista di un nuovo, emozionante libro: «Maternità». La scrittrice Gaia Manzini lo ha letto per noi. E qui spiega perché ogni risposta è giusta: decidere di avere un figlio, ma anche sentirsi libera di non averne
«Se voglio figli o meno è un segreto che nascondo a me stessa: è il più grande segreto che nascondo a me stessa» scrive Sheila Heti in «Maternità», una lunga e potente confessione da poco uscita per Sellerio. Ogni volta che penso alla maternità, a quel vortice di emozioni, mi rendo conto di avere in mente una donna, ancor prima di un bambino. Sì, perché quando nasce il primo figlio nasce anche una madre. Lo sappiamo da sempre. E poi non vogliamo ammetterlo, non lo confideremmo a nessuno, ma spesso l'istinto ci dice che non siamo pronte: a nascere. Io non sono stata pronta fino a 35 anni. Vivevo in un tempo sonnambulo, ripetitivo ed eterno. Mi sentivo circoscritta, compatta: mi piaceva. Poi a un certo punto ho cominciato a desiderare tante cose, non solo la famiglia. Sono diventata mamma così, senza pensarci, come tuffandomi da uno scoglio, come un atto di totale irresponsabilità. Ed è stato bellissimo.
Ogni volta che penso alla maternità, mi tornano in mente le parole di Elsa Morante. «Uno e multiplo»: così è il corpo di una donna. Luogo della nostra femminilità, ma anche doppio di quello di nostra madre, che ci ha generate, e naturalmente pronto a sdoppiarsi a sua volta. Perché ogni donna è una madre potenziale che si proietta verso il futuro. Però quando ascolto le mie amiche, i loro dubbi, le loro speranze, so che sono diverse dalle madri che le hanno precedute. Nelle nostre proiezioni non c'è solo l'ipotesi di un figlio: in primo piano ci siamo noi. È una rivoluzione culturale, la nostra nuova battaglia: quella tra istinto riproduttivo e preservazione di noi stesse. Scriveva Anne Enright, madre e brava scrittrice irlandese: «Ciò che mi interessa non è il dramma di essere un bambino, bensì quello di essere una madre». L'Italia si sta trasformando in un Paese senza madri e senza bambini. Complici i fattori economici e sociali, il 20% delle donne tra i 40 e i 44 anni non ha figli, mentre il primo figlio si fa oltre i 30 anni, in netto ritardo sul resto d'Europa.
«E se invece scegliassi di diventare una donna cattiva e non mi riproducessi, se scegliessi il fallimento biologico?». «Maternità» di Sheila Heti è un libro pieno di bellezza e di malinconia. È un diario che suona come la lunga, intensa, anatomia di un dubbio. Quello se avere o non avere un figlio a 37 anni. La protagonista lancia le monete come chi consulta l'I Ching: affida molte risposte sulla sua vita a una forma di divinazione. Il dubbio è una parentesi dove fluttuare, un modo per non decidere. Ma nello scarto del dubbio c'è l'intensità della vita. Quello che mi commuove è proprio l'insicurezza di questa voce che si confessa. In quell'insicurezza ci sono io, ci sono le mie coetanee e le ragazze di oggi. La protagonista è una donna che vorrebbe esprimere l'amore per il proprio uomo dandogli un figlio. Ma è anche una scrittrice che vuole il successo. Concepire entrambe le possibilità sembra un azzardo. Perché noi tutte vogliamo la stessa cosa da sempre, ma non osiamo pretenderla: vogliamo essere legittimate.
Ci aggrovigliamo nel senso di colpa, ci auto sabotiamo. È impossibile. Nessuno ci aiuterà. Chi si occuperà dei nostri figli? Nessuno ci concederà troppo facilmente di dedicarci alla nostra ambizione. Per la protagonista di «Maternità» nessuna parola si trasforma in una spinta decisiva. Avere il coraggio o non averlo: ma per cosa? Preservare la propria libertà: ma quale esattamente? Continuare a negare un figlio, che poi significa creare la figura di quello stesso figlio da amare nella sua impalpabilità. Tutte le sfumature, tutte possibilità che ci fanno palpitare pagina dopo pagina.
La maternità è un processo molto meno naturale di quanto ci sia stato imposto dalla cultura. Parlarne è un atto politico, oltre che privato. Ma c'è un aspetto che precede tutti gli altri: e non è tanto la decisione personale, ma la moltiplicazione dei percorsi. Il poter scegliere consapevolmente, ma anche sentirci legittimate nella nostra scelta. Sì, non esiste nulla di così particolare e nello stesso tempo universale della maternità. Ma è per questo che abbiamo tutte ragione. Chi decide di avere figli e chi esercita il diritto di non averne.
Gaia Manzini