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Kaleîdos

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Numero 11 del 2019

Titolo: Tristezza? Scopri come farne buon uso

Autore: Carlotta Vissani


Articolo:
(da «F» n. 21 del 2019)
È un'emozione ruvida e fuori moda in una società che incentiva la corsa alla felicità. Ma serve a riconnetterci con noi stesse e a illuminarci su cosa vogliamo davvero. Riconoscerla non è scontato come sembra. Se indaghi sulle sue vere cause, puoi ripartire con nuovo slancio
C'è un vuoto dentro di te, lo avverti nella pancia, nel cuore. Sei a terra, senza entusiasmo, demotivata. Vorresti rannicchiarti sul divano e avvolgerti in una coperta, lontana da tutto e tutti. Sei triste e nulla sembra poter alleviare il tuo stato d'animo. «Riconoscere di essere tristi, esserne consapevoli, è un primo importante passo verso la rinascita», spiega lo psicologo e psicoterapeuta Francesco Aquilar. È infatti possibile confondere la tristezza con altri sentimenti (per esempio insoddisfazione, delusione, nostalgia, malinconia) oppure «coprire» quest'emozione con la noia o la rabbia e quindi non rendersi conto di essere tristi o di esserlo eccessivamente, ma se è vera tristezza porterà certamente a una (ri)soluzione».
Fact checking, verifica i fatti
Bisogna però che il motivo scatenante della tua tristezza sia chiaro e avere l'onestà di ammettere se stai esagerando: se hai le doppie punte, tre chili di troppo o il cappotto che avevi adocchiato è sold out, fattene una ragione: non hai diritto di essere triste per davvero! O la motivazione reale è un'altra (e quindi indaga meglio), oppure ti stai crogiolando in una qualche forma di vittimismo. Al contrario, la fine di una storia d'amore, un'amica che ha tradito la tua fiducia, l'abbandono della tua casa natale, un trasferimento improvviso, lo smarrimento di un oggetto a cui tenevi, lo sgambetto di un collega, un progetto che curavi da tempo andato in fumo «sono situazioni in cui è necessario, fisiologico e salutare sentirsi tristi, anche se viviamo in una società in cui la corsa alla felicità, spesso fasulla, è di gran moda e proclamarsi tristi fa sentire inadeguate». Per non dire sfigate!
Sapevi che nell'800 era di moda?
Sentirsi sbagliate perché tristi è proprio il contrario di quello che accadeva nell'800, quando la malinconia e lo struggimento interiore erano abitudine (lussuosa) delle donne che non avevano altro di cui preoccuparsi! Ma che cos'è la tristezza? E perché, tra tutte le emozioni, è quella che spaventa di più? «La tristezza», prosegue Aquilar, «nasce quando subiamo la perdita di qualcosa-qualcuno che per noi era importante, spesso anche di parti amate di noi stessi. Così smarriamo armonia e sicurezza e ci sentiamo vulnerabili, esposti, soli, anche se va ricordato che la tristezza nasce proprio con uno scopo protettivo, di difesa da chi o cosa l'ha causata, privandoci di stabilità». Essere tristi deriva etimologicamente da termini latini o sanscriti che rimandano ai significati di ruvido, torbido, scuro, a rappresentare una situazione sgradevole, scomoda, nebulosa, difficile da sbrogliare e superare.
Impara a perdonarti
Qualunque sia il motivo per cui sei triste non devi vedere tutto nero. Ammetti di esserlo, poi affrontala, attraversala come fosse un fiume e tenta di raggiungere la sponda opposta, più forte di prima. «La tristezza, al pari di tutte le altre emozioni, anche quelle negative e socialmente poco accettate come rabbia, disgusto e paura - ne è un manifesto il cartone animato «Inside out» - ti aiuta a riconnetterti con te stessa, a guidarti a capire che cosa vuoi, chi sei e a rispondere in modo efficace a ciò che ti succede oltre a saper affrontare gli alti e bassi della vita, puntando sempre a un nuovo inizio».
Solo guardandola in faccia potrai trovare una soluzione per ripristinare l'armonia e l'equilibrio smarriti o per rassegnarti alla perdita, metabolizzarla e ripartire. Se non hai più autostima o la fiducia in te stessa - magari perché hai fatto un torto a qualcuno o hai fallito in un'impresa - la tristezza ti tende la mano per ricostituirti e perdonarti per l'errore commesso. Recenti esperimenti scientifici hanno dimostrato i benefici del malumore, che spesso agisce come segnale di allarme inconscio portandoti a essere più attenta e concentrata in situazioni spinose.
Non trasformarla in rabbia
La tristezza può avere molti volti e sfumature, può anche accompagnarsi alla nostalgia, al desiderio di qualcosa che c'era e ora non c'e più o alla malinconia, che è una strana forma di preoccupazione per un benessere perduto. Può anche mutare in rabbia: sei triste, ma non vorresti esserlo, potresti arrabbiarti con te stessa o con l'oggetto della tristezza. In ogni caso sappi che se ti senti vuota e apatica, hai il terrore di non riuscire a risollevarti, perdi la motivazione e ti viene voglia di lasciarti andare allo sconforto, è tutto normale. Nessuno pretende che tu sorrida se hai appena perso un'occasione di lavoro, se il tuo partner ti ha cornificata quando credevi foste indistruttibili, se hai scoperto che la tua migliore amica sparla di te col resto della compagnia.
Datti un tempo ragionevole
«Quello che conta è volerne uscire. Affinché la tristezza non si trasformi in depressione, e quindi in una condizione patologica, bisogna trattarla come una situazione passeggera che ha in sé il seme della trasformazione e del rinnovamento. La tristezza, come tutte le emozioni, deve infatti durare un tempo limitato e portarci a incrementare la voglia di agire per liberarcene». Quindi: se sei stata mollata in tronco piangi pure per un weekend (anche due), stai in pigiama sul divano a guardare commedie strappalacrime, non lavarti, ingozzati di cioccolato, chiama un'amica e sfogati. Servirà a spurgare. Poi però abbandona i cuscini, lavati, vestiti, vai dal parrucchiere, fai una passeggiata, progetta il tuo prossimo fine settimana: insomma riconnettiti, a piccoli passi, col mondo e te stessa. Anche se sei ancora triste!
Valuta se chiedere aiuto
Può capitare che il motivo della tua tristezza sia pesante, come per esempio un lutto. A quel punto la tristezza, unita a dolore e strazio, durerà più a lungo e avrai bisogno di tutte le tue energie e di forza di volontà per uscirne. Tuttavia anche in questi casi lo scopo è ascoltare la tristezza, accoglierla, farsi attraversare, per poi, quando sarai pronta, congedarla. Per far sì che non ti schiacci prova a parlarne con una persona di cui ti fidi, senza vergogna, aprendoti. Se ti rendi conto che nemmeno cercare-trovare supporto nelle persone care funziona, valuta di rivolgerti a uno psicoterapeuta, a maggior ragione se la situazione sembra peggiorare e insorgono sintomi come disturbi del sonno (insonnia o letargia), attacchi d'ansia, eccesso di ritiro sociale, mancanza di cura personale, perché a quel punto è probabile si stiano aprendo le porte della depressione. Prova a pensare a un famoso aforisma di Gibran, «per arrivare all'alba non c'è altra via che la notte», preparati ad affrontare il buio e non dimenticare che prima o poi tornerà la luce.
Carlotta Vissani



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