Numero 5 del 2019
Titolo: ATTUALITÀ- Il diritto al lavoro dei ciechi e ipovedenti
Autore: Annamaria Furlan
Articolo:
Annamaria Furlan
Segretario generale CISL
La ricorrenza del decennale della legge n. 18 del 3 marzo 2009, che ha ratificato in Italia la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, offre lo spunto per riflettere, ancora una volta insieme agli amici dell’UICI, sui suoi principi basilari e sulla sua reale attuazione nel nostro Paese.
La Convenzione, come ormai ben sappiamo, ci propone un importante cambio di paradigma: non si guarda più all’handicap, alla menomazione, a ciò che non si è (più) in grado di fare, ma ci invita ad applicare una concezione dinamica, in cui la disabilità sia vista come il frutto dell’interazione tra la persona e l’ambiente circostante. In questa ottica, è fondamentale prendere in esame gli elementi facilitanti la piena ed effettiva partecipazione e impegnarsi a rimuovere le barriere che si frappongono ad essa.
Non esiste in assoluto nessuna persona "disabile", ma persone con menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali che, a causa di un contesto sfavorevole, vivono delle limitazioni.
Se andiamo a scorrere il preambolo e i fondamentali primi articoli della normativa, all’articolo 27, "Lavoro e occupazione", ci accorgiamo che la Convenzione non si fa remore a definire il lavoro un vero e proprio "diritto" delle persone con disabilità, su base di eguaglianza con gli altri. Riprendendo, peraltro, quanto già definito in Italia sin dal 1999, con la nostra legge n. 68. Questo diritto, lungi dall’essere isolato, comporta una visione a tutto tondo della persona che lavora e di conseguenza chiama in causa il diritto a mantenere la possibilità di scegliere liberamente quella di lavorare in un ambiente lavorativo aperto, azioni volte all’inclusione e - altro fondamentale concetto introdotto con la Convenzione - all’accessibilità.
Il testo delle Nazioni Unite si sofferma a precisare che le tutele definite vanno applicate anche alle persone divenute disabili durante l’attività professionale e, proseguendo il ragionamento con coerenza, chiede agli Stati Membri di proteggere il diritto a condizioni di lavoro sicure e salubri. Nel 2018, 641 mila persone hanno subito un incidente sul lavoro. E di queste 1.133 hanno perso la vita. È inaccettabile che ancora oggi si possa perdere la vista, un arto, l’autonomia nei movimenti o nella parola a causa della mancata applicazione delle leggi che definiscono la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro. Lo stiamo ripetendo da anni, lo abbiamo ribadito con forza anche a Bologna il 1° Maggio: questo tema deve diventare una questione nazionale, tutte le forze politiche e sociali si devono misurare sulla sua piena attenzione. Anche alla luce degli obblighi imposti dalla Convenzione.
Il testo si sofferma poi su numerosi temi che hanno a che fare con la vita delle lavoratrici e dei lavoratori con disabilità. Vieta la discriminazione non solo nel reclutamento, ma anche nella continuità dell’impiego e nell’avanzamento di carriera; impone l’uguaglianza di remunerazione per un lavoro di pari valore e condizioni lavorative eque e favorevoli; chiede di proteggere da molestie e di garantire la possibilità di esercitare i propri diritti, anche sindacali, su base di uguaglianza con gli altri; verifica che si possa avere effettivo accesso ai programmi di orientamento tecnico e professionale e alla formazione professionale e continua.
Sono tutti temi cari alla Cisl, in cui si può agevolmente declinare ciò che quotidianamente ci impegniamo a fare nelle aziende in cui esercitiamo la nostra rappresentanza. È quello che, con un termine anglosassone, possiamo definire "il management delle disabilità": cioè un governo delle complessità che la lavoratrice o il lavoratore disabile porta con sé, che non può certo essere demandato, isolatamente, ad altri.
Sentiamo come una nostra primaria sfida quella di attuare ogni giorno la Convenzione ONU nei luoghi di lavoro. Previsioni di tutela contrattuale rivolte al periodo di comporto, alle flessibilità orarie e organizzative, al welfare contrattuale, a permessi a motivo della cura si vanno a sommare all’azione sindacale e di relazioni industriali che quotidianamente portiamo avanti.
Attendiamo ancora con interesse l’emanazione del decreto, attuativo del 151, che potrà finalmente completare il recepimento della Convenzione "compiutamente e correttamente", andando a definire come si delineano negli ambienti di lavoro gli "accomodamenti ragionevoli", che già oggi i datori di lavoro sono tenuti ad applicare. Tale incertezza non aiuta a far sì che i diritti abbiano la cogenza che meritano e crea una zona grigia in cui solo la giurisprudenza può dare indicazioni.
Sono interessanti gli orientamenti sia della Corte di Giustizia Europea che della giurisprudenza italiana in senso estensivo, volti a tutelare anche forme di disabilità non amministrativamente o normativamente riconosciute e a considerare la legittimità di licenziamenti e valutazioni di idoneità/inidoneità, anche sulla base degli accomodamenti ragionevoli attuati dal datore di lavoro.
La Direttiva definisce gli ambiti in cui gli accomodamenti ragionevoli possono trovare applicazione e fa riferimento all’adattamento di locali e attrezzature, alla modifica di ritmi di lavoro, alla ripartizione di compiti, alla formazione e addirittura all’inquadramento. L’obbligo del datore è limitato esclusivamente dal vincolo che gli oneri finanziari non siano sproporzionati.
In questo senso, la contrattazione collettiva e i luoghi da essa definiti allo scopo possono svolgere un ruolo fondamentale, consentendo alle parti di cooperare all’adempimento, tenendo adeguatamente in considerazione le posizioni in essere e non relegando il tema a una mera contrattazione individuale tra lavoratore/lavoratrice con disabilità e datore di lavoro, o a una responsabilità interamente in capo al datore.
Lo stesso decreto attuativo del 151 potrà dare anche indirizzi di soft law per la costruzione di una rete di servizi a supporto dell’inserimento, alla valutazione delle potenzialità attraverso il sistema ICF promosso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, al monitoraggio di buone pratiche di interesse.
Insieme ad esso, sarà importante vedere finalmente la nascita della Banca dati del collocamento mirato che, coordinando l’insieme delle informazioni relative a stock e flussi delle assunzioni all’interno del più ampio sistema del collocamento, potrà restituirci informazioni preziose per valutare gli andamenti, proporre correzioni del sistema, intervenire per rendere sempre più efficaci gli inserimenti e maggiormente attuato il diritto.
Oggi, purtroppo, siamo ancora nell’incredibile situazione di non poter conoscere quante persone disabili siano occupate o disoccupate nel nostro Paese. Conoscere i dati, invece, consente di avere informazioni essenziali per orientare le politiche e aiuta ad avere piena consapevolezza delle evoluzioni in corso. In questo momento, ad esempio, da più parti ci viene segnalata l’incapienza del Fondo Nazionale per il quale nella Legge di Bilancio erano già stati stanziati 10 milioni aggiuntivi ai 22 stabilizzati.
È dunque fondamentale che insieme, come già abbiamo fatto sin qui e da lungo tempo dentro e fuori i luoghi di lavoro, continuiamo a cooperare per fare in modo che le azioni in attuazione della Convenzione non siano solamente utili, ma arrivino a rimuovere qualsiasi svantaggio e che il diritto al lavoro possa realmente trovare applicazione davvero per tutti.