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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Kaleîdos

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Numero 10 del 2019

Titolo: Invisibili donne senza fissa dimora

Autore: Rosa Baldocci


Articolo:
(da «F» n. 16 del 2019)
Vivono in strada, ma non sono folli né alcolizzate. Hanno perso tutto, ma non la dignità. E aumentano notte dopo notte. Ce ne parla una giornalista che le ha conosciute da vicino chiedendosi: «Se un giorno capitasse a me?». E ha ispirato un film campione d'incassi
Che magnifiche facce hanno le protagoniste del film «Le invisibili»! Hanno un'intensità che raramente mi è capitato di vedere al cinema. Perché sono volti veri. Sguardi senza difesa dai quali tracima tutta l'intensità di un sentire che non ha filtri. Orgoglio, paura, rabbia, senso di esclusione, bisogno, forza che fa andare avanti, allegria infantile e improvvisa, buona volontà, pudore, attesa, pazienza, resa.
C'è tanto nei loro sguardi perché le donne di questo film lottano tutte. Contro il peso del vuoto, del silenzio, della povertà. Lottano per salvare o per salvarsi.
Le assistenti sociali combattono contro le regole di un sistema che a volte predilige le regole al buon senso e per mantenere alto il senso di un lavoro che spesso le sfianca. Le donne senza fissa dimora, chiamate con l'abbreviazione impersonale Sdf, si battono contro la deriva che le ha ghermite, contro il disfacimento di loro stesse, sole, invisibili come recita il titolo del film, rassegnate, ma pronte a riacchiappare la vita anche con un semplice sorriso o un gesto qualsiasi. Il film, girato dal 35enne Louis-Julien Petit e interpretato da attrici professioniste e clochard, in Francia è stato campione di incassi. Si ispira al libro e al documentario «Sur la route des invisibles: femmes dans la rue», scritto e diretto da Claire Lajeunie, giornalista, attivista impegnata dalla parte dei più deboli. L'abbiamo intervistata, conquistate dalla forza e dalla dedizione del suo lavoro.
D. Come è nata l'idea di questo libro oggi diventato un film così coinvolgente?
R. Una mattina a Parigi sono ferma a un semaforo e una donna attraversa la strada. In qualche modo mi assomiglia, potrebbe avere la mia età, potrebbe essere una mia amica, mia sorella. Indossa pantaloni larghi e un pullover scuro, è senza trucco. Nasconde i capelli sotto un berretto. Un dettaglio attira la mia attenzione: si tira dietro un carrellino, ma non è pieno di spesa, si intravede il lembo di una coperta, la federa di un cuscino. Il semaforo diventa verde. Ma io rimango ferma. Realizzo in quel preciso istante che è una donna senza fissa dimora, tuttavia non ha l'aria di essere una barbona. In quell'attimo mi sono detta: e se un giorno capitasse a me di essere questa donna su questa strada?
D. Le donne senza fissa dimora in una città come Parigi sono tante.
R. Quando ho cercato di indagare sulle cifre del fenomeno ho avuto uno shock. Circa 143 mila persone non hanno fissa dimora e le donne non fanno eccezione. Più di 3.000 nella sola Parigi, ogni sera, chiamano il 115, la linea del soccorso sociale. E il loro numero è in aumento, ma nessuno le vede. Sono invisibili. Sanno rendersi trasparenti. Nascondono la loro femminilità per non attirare sguardi, per evitare di diventare prede. Passano le notti a errare per la città senza sapere veramente dove andare. Quindi mi sono buttata.
D. Quanto tempo ha trascorso con loro?
R. Per cinque mesi mi sono inabissata in questo viaggio lunare lungo le strade di Parigi. Fuori dal tempo. Senza punti di riferimento. Le ho filmate, ho condiviso giorni e notti. So dove trovano un angolo per dormire, dove si lavano e come riescono a mangiare. Conosco le loro angosce, i loro bisogni e i loro piccoli piaceri. Ho avuto voglia di trovare quelle che erano alla deriva. Con un'ossessione: abbattere un'idea condivisa da tanti ovvero che si tratti di alcolizzate o folli. A volte è così, ma si può essere totalmente normali e vivere sulla strada con estrema dignità, coraggio, condividendo ciò che si ha.
D. Deve essere stato difficile riuscire ad avvicinarle.
R. Presidiando per lunghi mesi le strade di Parigi, mi sono infiltrata tra di loro trascorrendo intere giornate nei luoghi dove si riposano, nei parcheggi sotterranei, nelle stazioni, nelle case abbandonate in periferia. Ho dovuto guadagnarmi la loro confidenza a poco a poco e quell'inverno faceva proprio un gran freddo.
D. Come arrivano a essere senza dimora?
R. Tutte hanno conosciuto un fallimento, una profonda crisi professionale, famigliare o sentimentale. Alcune hanno 20 anni, altre si avvicinano alla sessantina. E la maggior parte di loro ha avuto una vita normale prima: un lavoro, una casa, un marito, dei figli. Ma un abbandono che non si riesce ad accettare e la depressione che ne scaturisce, la mancanza di un lavoro e di denaro, il carcere, l'improvvisa vergogna di trovarsi in una simile condizione e di non volersi mostrare così fragili a chi si ama, tutto ciò fa sì che andarsene sia per loro la soluzione più semplice.
D. A volte la letteratura le ha anche rappresentate come persone incapaci di accettare e condividere un modello di vita imposto dalla società.
R. Non credo proprio. La letteratura è una cosa, la realtà un'altra. Queste sono persone che hanno superato ostacoli come montagne, non certo eroine romantiche in cerca di una vita non sottoposta alle regole del vivere civile. Donne che continuano a lottare e a sopravvivere con enorme fatica.
D. Che cosa l'ha colpita di più?
R. Trovo insopportabile che siano costrette a dormire sdraiate per terra ovunque riescano a trovare un angolo più protetto. Ma la cosa che mi ha disturbato di più è la mancanza di un luogo dove potersi lavare tra donne, per preservare il pudore femminile che appartiene così profondamente alla nostra natura. Essere pulite, conservare la voglia di non avere cattivo odore, permette loro di restare in contatto con la società.
D. Molte di loro hanno lavorato anche nel film.
R. Si sono fidate del regista e hanno messo la loro verità al servizio della pellicola. Adolpha van Meerhaeghe, che interpreta Chantal, era uscita di prigione dopo aver ucciso il marito da cui aveva subito anni di violenze e di botte. Qui racconta la sua storia con tutta la schiettezza e la dignità di una persona che ha pagato per ciò che ha fatto, ma che vuole anche far sapere di quali soprusi è stata vittima.
D. Il film è animato da una grande forza, quella di voler rendere visibili i più fragili della società. Pensa che il suo libro, il documentario e ora questo film possano davvero incidere in qualche modo?
R. Giornalisti, registi, scrittori... Siamo tutti un po' i portavoce di chi non ha voce, e abbiamo tutti lo stesso desiderio: raccontare i diseredati per risvegliare le coscienze e illuminare gli invisibili. Tre anni fa nessuno parlava delle donne senza fissa dimora. Da qualche mese le cose hanno cominciato a muoversi un po'. Il pubblico reagisce e si permette di guardare queste persone con un altro sguardo. Le iniziative si moltiplicano. A Parigi sono stati aperti due spazi solo per donne, dei luoghi dove si sentano al riparo. Di giorno e di notte. Dove possano posare le loro valigie, incontrare dei medici, riposarsi, lavarsi per ritrovare dolcemente il senso di se stesse e per poter nuovamente trovare un modo di esprimersi. Oso sperare che il mio lavoro in qualche modo le abbia aiutate.
Rosa Baldocci



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