Numero 7 del 2019
Titolo: Marie-Madeleine d'Aubray. La marchesa dei veleni
Autore: Tamara Ferrari
Articolo:
(da «F» n. 12 del 2019)
Quando il padre le vieta di frequentare l'amante si trasforma in una spietata assassina: lo uccide, fa fuori i fratelli, tenta di avvelenare il marito. Imprigionata e torturata, confessa, chiede perdono. E il giorno dell'esecuzione, la folla, non vede in lei un mostro, ma una piccola donna indifesa. Abbiamo ripescato dalle cronache del Seicento la storia della prima serial killer
«Riconosco che, malvagiamente e per vendetta, ho avvelenato mio padre e i miei fratelli, e tentato l'avvelenamento di mia sorella, per avere i loro beni. Di questo chiedo perdono a Dio e agli uomini». È il 17 luglio del 1676 e a Parigi, nella piazza de Grève, l'odierna place de l'Hótel-de-Ville affollata di gente, una donna minuta dai capelli castani e gli occhi di fuoco sale sul patibolo. Si chiama Marie-Madeleine d'Aubray, marchesa di Brinvilliers. Ha 46 anni, è una delle prime serial killer donna mai vissute. Piccola di statura ma carina, il volto tondo e gli occhi vivaci, la marchesa è la figlia primogenita di Antoine Dreux d'Aubray, consigliere di Stato e luogotenente civile di Parigi.
I rampolli dell'aristocrazia se la contendono, ma il padre sogna per lei un matrimonio prestigioso. L'occasione arriva quando Marie ha ventun anni. Il marchese Goblin Brinvilliers, figlio unico del presidente della Camera dei Conti, padrone in campo del reggimento in Normandia ed erede di una fortuna di 30 mila franchi, la vede e perde la testa. Lei ricambia, si sposano.
Marie s'innamora di un altro
Il primo anno è da favola: viaggi, regali, feste. Ma al marchese piacciono troppo le donne e presto l'atmosfera si raffredda. Lui la tradisce, la trascura, sperpera il patrimonio. Marie, per vendetta, si concede ad altri uomini. Finché, un giorno, suo marito non porta a casa un amico, un cavaliere, Godin de Sainte-Croix. Marie s'innamora. La marchesa lascia il marito, vuole vivere la sua passione alla luce del sole. Ma la gente chiacchiera e suo padre, temendo uno scandalo, l'affronta. «Tronca questa relazione», le intima. Lei rifiuta. L'uomo fa arrestare il cavaliere, Marie s'infuria: «Giuro che mi vendicherò», sussurra.
Versa il veleno nel brodo del padre
Nella sua cella alla Bastiglia, Godin de Sainte-Croix conosce un detenuto. Si chiama Exili, è di origini italiane ed è esperto di veleni. Lo istruisce nella sua malefica arte e quando, un anno dopo, il cavaliere torna a casa, mette su un laboratorio. Marie lo aiuta e presto si fa dare una boccetta di arsenico. Si offre di accompagnare suo padre in vacanza nella sua villa in campagna. Si mostra pentita, servizievole, ma la sera gli versa il veleno nel brodo. Il pover'uomo muore dopo giorni di atroci sofferenze, ma è anziano e nessuno sospetta niente. Felice, la marchesa torna dall'amante. Ora sì che potrà vivere liberamente la sua passione. Ma ha fatto male i conti: suo marito ha sperperato tutto e i suoi due fratelli, che non approvano la sua condotta, minacciano di diseredarla. Bisogna correre ai ripari, urge altro veleno. Per essere certa di non commettere errori, la marchesa si reca in ospedale, porta in dono ai malati biscotti avvelenati, li usa a loro insaputa come cavie. Molti si aggravano, alcuni muoiono. I medici non si accorgono di nulla. Ora la marchesa sa come dosare il veleno: e infatti non passa molto tempo che anche i suoi fratelli muoiono.
Anche l'amante teme di essere ucciso
Marie si è fatta prendere la mano. O forse ha preso gusto a commettere omicidi. Fatto sta che ora vuole uccidere sua sorella, e anche suo marito, il marchese Goblin Brinvilliers. Ci prova, ma non ci riesce. Entrambi sopravvivono al veleno: suo marito viene salvato dall'amante della marchesa, il cavaliere de Sainte-Croix. Che poi le dice: «Sei cambiata». Adesso la teme: pensa che Marie possa uccidere anche lui. Ne è così preoccupato che lo scrive in una lettera. Forse non ha tutti i torti: pochi giorni dopo, un incendio misterioso scoppia nel suo laboratorio e il cavaliere muore. Ma il suo scritto finisce in mano agli investigatori. La marchesa ha paura di essere arrestata. Scappa in Inghilterra, poi in Belgio, si rifugia in un convento a Liegi. Per gli investigatori è uno scacco: tra le mura di un luogo sacro non possono arrestarla. «È furba», borbottano. Il luogotenente Desgrais inventa un sotterfugio. Travestito da abate, si reca a farle visita. La insidia, la seduce, la convince a incontrarsi nottetempo in un boschetto. Marie cede, lo raggiunge. Il luogo dell'incontro, però, è fuori dal convento: gli agenti l'arrestano.
La verità è nel suo diario
Interrogata, la marchesa nega tutto. Nella sua stanza, però, viene trovato il suo diario. C'è scritto: «Mi accuso di aver causato un incendio. Ho concepito desideri peccaminosi su mio fratello. Mi accuso di aver avuto commercio sessuale con un cugino di secondo grado, duecento volte. Da lui ho avuto un figlio. Ho avuto commercio con un primo cugino di mio marito, trecento volte. Era sposato. Mi accuso di aver avvelenato mio padre con le mie proprie mani. Ho avuto desiderio di avvelenare mia sorella perché mi rimproverava della mia condotta, che era orribile. Mi accusò che un giovanotto mi stuprò quando avevo sette anni». Quanto basta per uno scandalo, ma soprattutto per una condanna a morte.
Lei è sul patibolo. E la folla prega
In carcere, la marchesa si converte. Chiede perdono a Dio per le sue colpe. Sotto tortura, confessa. Passa il suo tempo pregando. Ora vuole essere giustiziata, vuole espiare su questa terra le sue colpe. Il giorno dell'esecuzione, tutta Parigi si riversa in strada. La folla feroce si avvia in massa verso place de Grève, convinta di veder salire sul patibolo un mostro. Invece, si ritrova davanti una donnina piccola e apparentemente indifesa, che mostra i segni delle torture, ha in mano una croce e sulla bocca mille preghiere. Dignitosamente, Marie s'inginocchia davanti al boia. La folla trattiene il respiro. Poi succede qualcosa: cominciano a pregare insieme a lei. «È come Giovanna d'Arco», sussurrano.
La mano della giustizia non si ferma
«È finita», scriverà il giorno dopo Madame de Sévigné, una nobildonna presente all'esecuzione, «la Brinvilliers è nell'aria; il suo povero corpicino, dopo la decapitazione, è stato gettato in un gran fuoco, e le ceneri sparse al vento. Montò sola a piedi nudi sulla scala e sul patibolo, in un quarto d'ora fu rasata, girata e rigirata dal carnefice: vi fu un grande mormorio per questa crudeltà. L'indomani si cercavano le sue ossa: il popolo la credeva una santa».
Tamara Ferrari