Numero 3 del 2019
Titolo: RUBRICHE- Una finestra sul sociale
Autore: a cura di Elena Fiorani
Articolo:
Educare alle differenze per promuovere diritti
La mamma stira e cucina, il papà legge e lavora: l'esercizio sui verbi nel libro di seconda elementare propone una visione della mamma a casa che svolge le faccende domestiche mentre il papà lavora e porta a casa lo stipendio o legge e ovviamente scatena polemiche. Anche se la casa editrice si è subito detta "dispiaciuta per il disguido" e ha aggiunto che ha già provveduto a modificare l'esercizio nell'edizione in commercio nel nuovo anno scolastico, l'incidente riapre questioni mai risolte nel nostro paese. Dove, anzi, negli ultimi anni si allarga una visione conservatrice e tradizionalista che vorrebbe negare diritti acquisiti e promuove un sentire sempre più patriarcale, omofobo e misogino. Questo sentimento si riflette nel mondo sportivo che da sempre è uno specchio fedele della nostra società: infatti, nonostante la crescita, rispetto al passato, di campagne contro l'omofobia e dei coming out, l'ambiente sportivo è ancora fortemente limitante rispetto alla possibilità di esprimere liberamente il proprio orientamento sessuale, in particolare per alcuni sport e soprattutto nel mondo maschile. Per Paolo Valerio, del Centro di Ateneo SInAPSi dell'Università degli Studi di Napoli Federico II, la soluzione è culturale: scuola e sport devono educare alle differenze.
"Qualcosa sta cambiando - dice Valerio - certamente viviamo un momento politico e storico molto difficile, e non possiamo abbassare la guardia. Nel mondo dello sport un atleta o un calciatore famoso può permettersi di dire che è gay? Temo che tuttora ci siano una serie di stereotipi e pregiudizi. Dovrebbero essere la scuola e le palestre a diffondere una cultura delle differenze, perché sono questi i contesti in cui i giovani crescono e talvolta crescono intossicati da stereotipi. Di questo parleremo il 7 maggio a Napoli in un convegno organizzato con Uisp, Arcigay e l'Università Federico II, che si svolgerà proprio alla facoltà di scienze motorie. Parteciperanno anche degli atleti e rifletteremo su quanto l'omofobia può far soffrire le persone e allontanare dallo sport, che invece è il primo contesto in cui i giovani possono imparare a rispettarsi gli uni con gli altri".
Mentre una donna che pratica sport, soprattutto a livello agonistico, tende ad essere considerata come in possesso di qualità di norma attribuite all'uomo portando a definire le atlete mascoline, poco femminili, quindi lesbiche. A questo si aggiunge la privazione di diritti scontati per gli sportivi professionisti uomini. Anche se i calciatori iscritti al corso di studi triennale in scienze motorie ad indirizzo calcio dell'Università telematica San Raffaele da quest'anno avranno anche un esame sul calcio femminile, tenuto da Katia Serra, ex calciatrice azzurra e responsabile donne dell'Assocalciatori.
"La mia materia si chiama Modelli di gestione del calcio femminile - spiega Serra - è stato pensato per dare un'ampia informazione e una panoramica su questo sport. Il fatto che sia tra le materie obbligatorie del percorso di studi è fondamentale: l'idea è far conoscere nuovi mondi calcistici e il calcio femminile è questo, un calcio in crescita che ha grandi potenzialità. La scelta di proporlo all'università è stata fatta nell'ottica di trasmettere una nuova cultura sportiva e quindi un'apertura maggiore, tra l'altro è l'unico presente nel mercato universitario e può essere un esempio per altri atenei".
Dalla teoria alla pratica, a che punto siamo con i diritti per le donne che praticano sport a livello professionistico? "In seguito a conquiste degli anni precedenti, oggi le calciatrici di Serie A e B possono usufruire del bonus maternità approvato nella finanziaria 2017, al momento lo stanno utilizzando in due - prosegue Katia Serra - abbiamo toccato con mano che il lavoro fatto con altre associazioni sindacali funziona. Le calciatrici possono firmare accordi economici pluriennali e in caso di fallimento societario accedere ad un fondo per recuperare i rimborsi spese. Uso questi termini perché le calciatrici in Italia sono ancora dilettanti, come tutte le atlete, quindi, nonostante i miglioramenti degli ultimi due anni c'è ancora molto da fare. La carenza principale è quella della previdenza che non è prevista, e anche sotto il profilo assicurativo in caso di infortunio ci sono polizze e coperture carenti e gli stessi club professionistici che si occupano della salute delle ragazze non sono obbligate a farlo. Con la riforma del Coni c'è un discorso aperto con il Governo nella direzione del semiprofessionismo, perché si teme che il professionismo non sia sostenibile dal punto di vista economico. È un cantiere aperto in cui le idee sono chiare ma la realizzazione difficile: bisogna far coincidere gli aspetti fiscali con la sostenibilità economica. C'è anche un problema di rappresentanza: oggi non esiste il presidente del calcio femminile, quindi manca un interlocutore di forza che possa parlare col Governo di questi aspetti".
Possiamo rallegrarci che finalmente sia iniziato il percorso per giungere ad una piena parità di genere nel mondo sportivo… anche se di strada ce n'è ancora molta da fare!