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Corriere dei Ciechi

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Numero 3 del 2019

Titolo: SOSTEGNO PSICOLOGICO- Relazione genitori-figlio

Autore: Arianna Dell’Orto


Articolo:
Spunti per incuriosirsi sul proprio modo di essere genitore

La disabilità del figlio è una condizione che talvolta, nel cuore dei genitori, segna un confine fra il diverso e la normalità. Ci si sente spaesati e non si hanno più certezze, solo tante domande dolorose: è stata colpa mia? Non ero preparato a questo, ce la farò? Perché è successo a me/noi? L'impegno a livello di emozioni, pensieri e organizzazione della quotidianità è enorme.
La famiglia è chiamata ad accogliere il cambiamento. L'unicità del processo di adattamento rende impossibile per chi sta al di fuori della relazione genitore-figlio pronunciarsi in merito. Ciascuno scopre a partire da sé come stare in relazione con l'altro e questo vale in tutte le famiglie e in tutte le relazioni, a prescindere dalle disabilità e dalle fragilità, dai talenti e dalle capacità.
Dal punto di vista psicologico, la famiglia è l'ambiente in cui il bambino impara un modo di stare in relazione, pensare, amare e comportarsi, in cui trova modelli su cui costruire l'identità personale. Per questo la famiglia è uno dei contesti evolutivi più importanti. Ogni famiglia ha modalità affettive ed educative specifiche.
Talvolta, queste possono rivelarsi svantaggiose in certi contesti o controproducenti se utilizzate in modo rigido e frequente, rischiando di favorire insicurezze nel figlio. Gettare uno sguardo su alcune di queste modalità può essere un'opportunità per incuriosirsi su ciò che si prova, aprirsi a nuovi modi di stare in relazione col figlio o riconoscere che serve una mano che aiuti e accompagni.

Quando la famiglia è troppo protettiva
Mettere al mondo un figlio è un'esperienza che segna un prima e dopo. Si acquisisce un altro sguardo sull'esistenza fatto di responsabilità, consapevolezza del limite della vita, percezione del peso delle proprie scelte. È forse per questo che quando il figlio ha delle fragilità, gli equilibri possono traballare e i genitori diventare ansiosi e preoccupati. Dentro all'insicurezza del genitore c'è il desiderio genuino di proteggere il figlio da ulteriori sofferenze, fisiche o emotive.
Ma se questa si fa eccessiva, il figlio potrebbe iniziare a percepire di non farcela e a ritenere il mondo pericoloso, chiudendosi così alle esperienze che a questo punto appariranno veramente impossibili. Per diventare individui sicuri e fiduciosi delle proprie capacità bisogna invece mettersi alla prova, affrontare gli ostacoli e misurarsi con le difficoltà.

Quando la famiglia desidera il massimo
Quando una condizione viene percepita come una privazione o un difetto, è umano provare sentimenti di riparazione o rivalsa. Questo può portare a fare richieste al figlio che sembrano negare i limiti reali oppure ad aspettarsi risultati impeccabili in tutto ciò che non riguarda la disabilità visiva, non tollerando fallimenti, errori e manifestazioni di disagio.
Desiderare il massimo dal proprio figlio lo incoraggia e lo aiuta a non arrendersi. Tuttavia, se non si accolgono anche la fatica, il limite e il fallimento, espressioni altrettanto umane dell'esistenza, si mette un carico pesante sulle sue spalle del figlio, fatto di ricerca della perfezione, sensazione di non essere mai abbastanza, ansia e paura di sbagliare.

Quando la famiglia si ritira dal contatto emotivo
Quando la ferita emotiva è acuta e non lascia spazio per la confidenza nelle relazioni famigliari, ciascuno si difende come può e talvolta trova sollievo nell'evitare il contatto emotivo con l'altro.
Depositario del proprio dolore, l'altro è allontanato o ci si allontana (emotivamente e/o fisicamente) nel tentativo di non vedere la propria sofferenza. Non si parla della disabilità, si sposta l'attenzione sulle cose concrete, manca una condivisione più profonda. L'assenza di contatto a lungo andare può creare separazione e il figlio potrebbe sentire che c'è qualcosa di sbagliato in lui, che una parte di sé va tenuta nascosta.
È invece utile riallacciare i fili delle proprie emozioni e trovare un ponte tra sé e l'altro, perché quando i genitori “tengono nella mente” il figlio in tutti i suoi aspetti lo aiutano a essere un individuo consapevole di sé.
Spunti per sostenere il processo di crescita
Le modalità educative non vengono dalla razionalità da ciò che pensiamo di dover fare bensì dal sentire profondo, dagli automatismi, dalla nostra storia.
Incuriosirsi circa il proprio modo di stare in relazione con l'altro (partner, genitore, figlio ecc.) può essere un'occasione di crescita per entrambi. Per questo può essere utile: soffermarsi su ciò che accade e stare un po' in quello che si prova, anche se spiacevole; avere fiducia nel proprio essere buoni genitori, ossia genitori che sbagliano e imparano dagli errori; avere fiducia nel processo di crescita proprio e dei figli, fatto di prove ed errori, tentativi ed esperienze; osservare sé e l'altro senza giudizio, cioè senza appiccicare etichette che bloccano la possibilità di conoscere e di cambiare; farsi adulti, responsabili del proprio percorso e delle proprie scelte; accettare l'incertezza della vita e mantenere una posizione di sicurezza nell'insicurezza, sapendo che il futuro non si conosce ma è sempre possibile rivedere le idee e i percorsi.

I signori R.
I signori R. arrivano in colloquio per capire come sostenere la crescita del figlio, ipovedente dalla nascita. Il figlio, Paolo, da sempre espansivo e intraprendente, ora a scuola rifiuta gli ausili e si sente diverso dagli altri. I genitori attribuiscono la colpa alla patologia visiva, non sanno cosa fare e vengono in colloquio chiedendo se sia giusto imporsi o sia meglio assecondarlo.
Non c'è una ricetta identica che valga per tutti i figli e per tutti i genitori. Chi ha più di un figlio si sarà accorto infatti che la relazione con uno non è la stessa che si crea con un altro. I signori R. hanno quindi iniziato a mettersi in ascolto di sé stessi e ad interrogarsi su cosa provano quando il figlio rifiuta gli ausili, che aspettative hanno nei suoi confronti e che timori vivono nel pensare al suo futuro e a chiedersi il senso dei comportamenti e delle emozioni del figlio. Hanno così potuto allargare il campo, arrivando a mettere a fuoco un elemento più generale della vita di Paolo che non avevano considerato, attribuendo invece tutto all'ipovisione: Paolo, pre-adolescente, inizia a vivere il confronto coi compagni.
Per i ragazzi il confronto si gioca su elementi di sé che non piacciono e che possono provocare sentimenti di rifiuto e vergogna o portare a una ricerca di accettazione nel gruppo: non mi piace il mio naso, sono dislessico, mi vergogno del mio corpo, ecc. Allo stesso modo, Paolo si focalizza sul dato che gli pone più difficoltà nel confronto coi compagni, ma in realtà la sfida che affronta non è diversa. Si tratta di dare forma alla propria identità e trovare il proprio posto nel mondo, così per come si è, integrando gli aspetti positivi e quelli meno piacevoli, accogliendo i limiti come parte di sé e non ostacolo a una piena realizzazione. I signori R. hanno quindi iniziato a cercare la loro specifica soluzione, decidendo di guidare la crescita e le scelte del figlio senza imporsi o irrigidirsi su un'idea, ma restando in continuo ascolto dei suoi bisogni emotivi e sostenendo il suo percorso di crescita.
Il progetto "Stessa strada per crescere insieme" promuove proprio questo tipo di approccio alla genitorialità: scoprire (ri-scoprire) le risorse dei genitori utili ad accompagnare i figli nelle diverse fasi di crescita.
Arianna Dell'Orto
Psicologa appartenente alla rete di "Stessa strada per crescere insieme"



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