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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Corriere dei Ciechi

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Numero 2 del 2019

Titolo: BRAILLE E ACCESSO AI BENI CULTURALI- Braille e autonomia

Autore: Katia Caravello


Articolo:
Ci si potrebbe chiedere quale legame ci sia tra il sistema di letto-scrittura inventato da Louis Braille e l'autonomia e, ancora di più, potrebbe risultare azzardato l'accostamento dei concetti di autonomia nella lettura a quella nella vita, ma è tutto più semplice e naturale di quanto appaia in un primo momento.
Il codice Braille è l'unico metodo attraverso il quale una persona cieca può accedere alla lettura in maniera diretta, senza la mediazione di niente e di nessuno; è l'unico modo che consente di avere il rapporto fisico con la carta e di godere del piacere di maneggiare un libro, di sfogliarne le pagine… esattamente come qualsiasi altro lettore. È in tal senso che il Braille può essere considerato uno strumento di inclusione sociale… ma andiamo per gradi.
Il Braille mette un bambino esattamente sullo stesso piano dei suoi compagni di scuola. Certo, non utilizzerà carta e penna per scrivere e gli occhi per leggere, ma tavoletta e punteruolo (piuttosto che dattilobraille o PC con display braille) e le dita, ma il risultato è lo stesso: scriverà e leggerà, a mente o ad alta voce, in piena autonomia, senza che nessuno lo faccia per lui; senza che sia costretto a mettersi gli auricolari per non disturbare chi ha intorno a sé. Insomma, il Braille è il primo strumento che permette ad uno scolaro cieco di sperimentare la libertà e l'autonomia.
La scuola in tal senso è una palestra. Essa infatti rappresenta quell'ambiente protetto in cui bambini e ragazzi possono mettersi in gioco, mettendo alla prova le proprie abilità e capacità senza incorrere, se ben guidati ed accompagnati, in rischi eccessivi. Se si riesce a far comprendere loro quanto l'essere autonomi li renderà più liberi e padroni della propria vita sin dai banchi di scuola, partendo dallo studio, si favorirà in loro l'acquisizione di una forma mentis che li aiuterà nel corso di tutta la vita. Instillando nei giovani il seme dell'autonomia - come piace definirlo a me - si favorirà lo sviluppo della resilienza, ossia la capacità di affrontare e superare con successo le difficoltà della vita a dispetto della posizione di svantaggio da cui si parte. Quindi si creeranno le condizioni perché diventino degli uomini e delle donne che, pur consapevoli dei propri limiti, non si fermano davanti ai problemi, ma li affrontano cercando una soluzione, e che sanno superare gli insuccessi senza lasciarsi scoraggiare.
Ma i vantaggi dell'essere autonomi non si esauriscono con la maggiore capacità di far fronte alle vicissitudini della vita, ma ha un impatto rilevante anche sulla socializzazione e la costruzione di relazioni interpersonali significative: una persona autonoma, che conosce le proprie potenzialità e i propri limiti, è una persona tendenzialmente sicura di sé e ciò la rende più propensa a muoversi ed intrecciare rapporti con gli altri. Una persona autonoma, riuscirà più facilmente ad intrecciare relazioni basate su una posizione di sostanziale parità, ove nessuno dipende più del dovuto da nessuno: la dipendenza, sia materiale che affettiva, a lungo andare, diventa un peso per tutti e logora la relazione stessa.
Detto tutto ciò, è facile comprendere quanto sia importante insegnare, non solo ai bambini ciechi, ma anche a coloro che vivono una condizione di ipovisione grave (specie se progressiva) il Braille.
Ma se i vantaggi conseguenti all'acquisizione di questa competenza sono di tale entità, perché c'è tanta resistenza ad apprenderlo o a favorirne l'apprendimento da parte dei propri figli? Il motivo è, ahimè, molto semplice: il Braille è un simbolo di cecità - così come il bastone bianco - e per questo fa paura.
Imparare il Braille significa ammettere che si è diversi dagli altri o, nel caso dei genitori, accettare che il proprio figlio o la propria figlia sia diverso/diversa dai suoi compagni… e non è semplice farlo!
Ci si illude che utilizzando il computer - un apparecchio usato da tutti - la diversità scompaia, sia meno visibile, ma, appunto, si tratta di un'illusione. Gli ausili tecnologici, che sicuramente sono di grande aiuto per le persone con disabilità visiva, a volte però possono rappresentare delle vere e proprie barriere: si pensi al fatto che, come accennato prima, con la sintesi vocale per non recare disturbo, è necessario fare uso degli auricolari che, inevitabilmente, isolano dall'ambiente circostante. Non solo, la strumentazione spesso costituisce una vera e propria barriera fisica: computer, stampante ed altri apparecchi simili sul banco creano un muro che separa lo studente dal resto della classe e non fa altro che enfatizzare quella diversità che si vorrebbe cancellare.
Con i ragazzi e le ragazze ipovedenti la situazione è ancora più complessa: essi infatti, facendo degli enormi sforzi e sprecando energie, sono nelle condizioni di evitare il ricorso al computer o al Braille (anche se ciò significa tenere la faccia attaccata al libro o al quaderno) e, fare leva sui vantaggi che trarrebbero dall'utilizzo del PC dotato di tecnologia assistiva, purtroppo, produce pochi risultati. Con questi ragazzi è necessario lavorare molto sull'accettazione della propria condizione, così come è fondamentale farlo con i loro genitori.
In questi casi è di assoluta importanza far comprendere a tutti che la disabilità non va ostentata al fine di ottenere agevolazioni e privilegi, ma non va neanche nascosta e dimenticata. Io quando parlo di questo tema cito sempre il film "Tutta colpa di Freud" che, pur essendo una commedia leggera e divertente, offre dei begli spunti di riflessione: in questa pellicola, il protagonista, uno psicanalista, è alle prese con le difficoltà di una delle tre figlie che sta iniziando una relazione sentimentale con un ragazzo sordo; in una scena, il padre dice alla figlia "Non devi trattarlo da sordo, ma non ti devi dimenticare che lo è".
Questa semplice frase sintetizza secondo me benissimo un concetto cruciale: non si deve far girare tutto intorno alla propria condizione di disabilità, o a quella del proprio figlio, ma non si può neanche far finta che essa non ci sia o, peggio ancora, fare di tutto per nasconderla. La disabilità è una parte della persona che la vive, ma non è la persona che la vive: in questo la locuzione "persona con disabilità", introdotta dalla Convenzione ONU sui Diritti delle persone con disabilità, crea il giusto equilibrio tra l'essere persona e l'essere disabile.
Ma torniamo all'oggetto di questo articolo.
Le paure dei ragazzi e dei genitori, spesso, colludono con la resistenza degli insegnanti di sostegno e degli assistenti alla comunicazione ad insegnare il Braille: tale situazione è conseguente ad una frequente mancata conoscenza di questo sistema di letto-scrittura e si motiva la scelta di non insegnarlo con la finta giustificazione che il Braille è difficile, mentre con la sintesi vocale è tutto più semplice. Ammesso e non concesso che usare la sintesi vocale sia più semplice, cosa sulla quale nutro dei dubbi, essa è una scorciatoia che, se non vi sono dei reali impedimenti di natura cognitiva, si paga molto cara. A parte i vantaggi connessi alla crescita personale e all'inclusione sociale di cui ho parlato in precedenza, utilizzare la sintesi vocale rende più difficoltosa la conoscenza dell'ortografia delle parole e, in generale, l'apprendimento delle lingue straniere... poi, per carità, tutto si fa, ma perché negare a questi ragazzi di farlo con minore dispendio di energie e, soprattutto, con maggiore soddisfazione?
In un certo senso, non insegnare il Braille ad un bambino o ad una bambina cieca è come farlo/farla rimanere analfabeta.
Fino a qui ho parlato solo del Braille legato all'età evolutiva, ma, prima di concludere, vorrei fare una riflessione su quanto insegnare ed apprendere il Braille abbia dei vantaggi anche quando si perde la vista in età adulta o anziana.
Ovviamente, come avviene quando si tratta di imparare a suonare uno strumento musicale o a parlare una lingua straniera, più si è giovani, migliori saranno i risultati e minore la fatica… ma ciò non significa che non convenga imparare questo sistema per leggere e scrivere anche quando non si è più giovani.
Ciò che più fa soffrire coloro che perdono la vista in età adulta, ed ancora di più in età senile, è la perdita di autonomia: non si riesce più a fare da soli le stesse cose che si sono sempre fatte e questo ha delle forti ripercussioni sull'autostima - sulle quali non mi soffermerò in questo contesto - e ogni piccola cosa che consenta di recuperare/mantenere anche solo una piccola parte di questa autonomia ha un enorme effetto sul benessere psicologico della persona. Pensiamo ad esempio alle persone anziane, che già devono fare i conti con le limitazioni imposte dall'invecchiamento fisiologico: soventemente esse devono seguire una terapia farmacologica e, nel momento in cui la loro vista si riduce a tal punto da non essere più in grado di leggere il nome del farmaco sulla scatola, sapere quel poco di Braille sufficiente per leggere la scritta sulla confezione permette loro di poter assumere la terapia senza dover necessariamente ricorrere a qualcuno che gli passi il farmaco corretto... vi posso assicurare che per queste persone, poter fare questo piccolo gesto da soli, significa davvero molto!



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