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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Kaleîdos

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Numero 4 del 2019

Titolo: Gettata all'inferno da uno stalker. Ma ne sono uscita

Autore: Francesca Galeazzi


Articolo:
(da «F» n. 4-2019)
Tre denunce, un'intimazione del tribunale, l'intervento della famiglia e dei carabinieri non tengono lontano quel ragazzo che la molesta giorno e notte per tre anni. Silvia cade in depressione. Oggi, di nuovo serena e al sicuro, si batte contro la violenza sulle donne
«Te la faccio pagare», mi urla al telefono per l'ennesima volta. «Quando mi trova mi ammazza di botte», penso sconvolta da quelle parole e dal suo tono di voce. Ormai ho il terrore di uscire, di andare a scuola, persino rimanere sola in casa mi fa paura. Lo specchio mi rimanda un volto scavato su cui non vi è più traccia della mia abituale solarità. Sempre in tensione, sono divorata dall'ansia. Ma non permetterò mai al mio stalker di prendersi la mia vita.
Ho 15 anni e siamo amici su Facebook
Abitiamo nella stessa città, lo conosco di vista. Dopo esserci scambiati messaggi per mesi, mi invita a uscire: ha qualche anno più di me e mi lusinga che un ragazzo più grande si interessi a me. Ci vediamo poche volte: con la fine della scuola parto per le vacanze. Al mio rientro, visto il mio scarso interesse per lui, quando ci vediamo lo liquido con gentilezza. Inizia a gridare e se ne va infuriato. «Dobbiamo parlare», mi incalza in telefonate continue, tempestandomi di sms. Ribadisco i miei rifiuti e per mesi sopporto chiamate, anche in piena notte, con decine di messaggi quotidiani: non rispondo mai, non voglio cedere. Ma una sera crollo con mio padre: «Mi sono cacciata in un guaio», gli confesso in lacrime. Lo chiamiamo insieme e lui diventa accondiscendente. Ma tempo due giorni, cominciano ad arrivare sue lettere scritte a mano e firmate, in cui alterna dichiarazioni d'amore a intimidazioni.
«So dove abiti, quale corriera prendi»
La mattina salgo sull'autobus per il liceo con il batticuore, in ogni tratto di strada mi guardo intorno impaurita. Sento i suoi occhi addosso, ovunque. Lo squillo continuo del cellulare diventa un sottofondo estenuante, giorno e notte: non serve cambiare numero, mi ritrova sempre. Inizio a soffrire d'insonnia, il mio rendimento scolastico cala. Un giorno lo vedo sotto casa: non si avvicina, ma tremo finché entro nel mio appartamento: «Papà aiutami», lo scongiuro. Prendiamo tutte le lettere e il cellulare, corriamo dai carabinieri. Presento una denuncia per stalking, ma le forze dell'ordine dovranno aspettare la notifica al giudice per qualsiasi provvedimento: devo continuare a incassare impotente insulti e minacce.
Appostamenti sempre più frequenti
Non solo sotto casa: lo vedo fissarmi in parrocchia dove sono animatrice dei più piccoli. Mi assale il timore di mettere a rischio l'incolumità di chi mi circonda. Avverto subito il parroco in confessionale: i carabinieri si sono raccomandati di non parlarne con nessuno perché il mio stalker potrebbe denunciarmi per diffamazione. Chi mi è vicino non capisce perché io sia così cambiata nell'ultimo anno: ha ucciso la mia spensieratezza, la voglia di uscire, ora persino la capacità di sorridere con i miei bambini in chiesa. Su Facebook mi descrive come una puttana a letto, nonostante non abbiamo mai condiviso un'intimità sessuale. Mi rivolgo alla polizia postale, riesco a far bloccare il suo profilo, ma ne crea altri, dove non perde occasione di offendermi pubblicamente. «Aspettate che mi ammazzi per intervenire?», chiedo esasperata ai carabinieri dopo aver presentato altre due denunce. Ma non possono fare nulla prima che le querele siano notificate.
Sotto «scorta» di amici e parenti
Ormai c'è sempre qualcuno con me, famigliari o amici a proteggermi. Non dormo, non mangio più. Esco solo accompagnata. È riuscito a privarmi della mia libertà. Della voglia di vivere. Una sera lo scorgo vicino a casa mia spogliato della sua solita aria spavalda, sta piangendo: quando più tardi il telefono squilla, gli rispondo dopo quasi due anni di mio silenzio, impietosita dalle sue lacrime. «Ho bisogno di parlarti. Un'ultima volta», mi implora. Sono in partenza per una gita con la scuola, ma continua a tormentarmi con chiamate incessanti finché gli ribadisco che non tornerò mai con lui. «Quando rientri te la faccio pagare», mi minaccia apertamente. Sono al limite delle forze psicologiche: lo stalking non uccide, ma non lascia vivere. Poche settimane dopo i carabinieri mi avvertono che le denunce sono state notificate: l'avvocato mi spiega che se andremo a processo prenderà al massimo un paio di mesi di carcere. Decido piuttosto di accettare una sua ammissione di colpevolezza controfirmata dai suoi genitori che si assumeranno la responsabilità di controllarlo, e una misura cautelare per cui dovrà rimanere per un anno sotto la vigilanza dei carabinieri, oltre a intraprendere un percorso psicologico. La sua fedina penale rimarrà pulita, ma ottengo l'impossibilità che rivesta ruoli pubblici che prevedano l'uso di armi. E qualsiasi mossa falsa compirà, finirà a processo. Deve restare segnalato a vita come stalker, per proteggere altre donne.
Non mi sento più al sicuro
Dopo la maturità presento domanda per andare negli Stati Uniti, ma mi rendo conto che sarebbe una fuga, e non voglio dargliela vinta. Anche se non mi chiama più, la sua ombra mi tormenta. Decido di iscrivermi all'università di Bologna, starò a casa dei miei nonni per recuperare serenità. Inizio, però, a soffrire di attacchi di panico e trascorro le giornate piangendo. Tre anni di angoscia stanno esplodendo ora. Mi rivolgo a una psicologa e mi confido con un ragazzo che conquista la mia fiducia e il mio cuore. E quando, due anni dopo, comincio a lavorare alla tesi, sento il bisogno di rielaborare le emozioni negative provocate dallo stalking: analizzo una campagna di comunicazione con poster affissi in cui delle immagini di ragazze sono accostate a frasi da completare. Puntualmente, i manifesti vengono imbrattati per strada da battute volgari e commenti sessisti. È questa mentalità maschilista a portare a prevaricazioni e degenerazioni con violenze e stalking, come la mia storia dimostra. Il giorno della laurea ricevo i complimenti e per me è una catarsi: parlare pubblicamente di ciò che mi è accaduto mi restituisce la voglia di reagire. Ora mi riprendo la mia vita.
Torno a vivere nella mia città
Da mesi sono impegnata in incontri di informazione sullo stalking e finalizzati alla rieducazione dei giovani alla parità di genere. Fin da adolescenti noi donne dobbiamo imparare a distinguere un brutto carattere da un comportamento morboso, e capire che c'è un limite oltre il quale non è più amore, ma un sentimento malato, un'ossessione che ti ruba la vita. A me ha portato via tre anni, ma non è riuscito a privarmi della mia forza. Oggi racconto la mia storia, ed è come se potessi gridargli: «Non ho più paura di te».
Francesca Galeazzi



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