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Kaleîdos

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Numero 4 del 2019

Titolo: Noi guadagniamo più di lui. E a casa nostra siamo tutti contenti

Autore: Daniela Giammusso


Articolo:
(da «F» n. 4-2019)
Le chiamano «breadwinner», ovvero donne con uno stipendio più alto del proprio marito o compagno. E sono sempre di più, anche in Italia: oltre 6 milioni. A Roma, ne abbiamo incontrate quattro per farci raccontare cosa vuol dire assumere questo ruolo. Tra pregiudizi da smontare e grandi soddisfazioni
Lei in ufficio, lui a casa a occuparsi dei figli. La moglie con una carriera che ha preso il volo, il marito nella giungla dei contratti precari o, peggio, disoccupato. Alzi la mano chi non conosce almeno una coppia in questa situazione.
Negli Stati Uniti le chiamano «breadwinner», ovvero donne che guadagnano la pagnotta per l'intera famiglia. Ora il rapporto Auditel-Censis studia il fenomeno anche in Italia: le capofamiglia sono 6 milioni e 300 mila, vale a dire che una famiglia su quattro conta principalmente sulle entrate economiche delle donne. «Siamo di fronte a una bellissima evoluzione, partita circa vent'anni fa. Le donne si sono dimostrate bravissime nell'assumere ruoli un tempo prettamente maschili», spiega Francesco Aquilar, presidente dell'Associazione italiana di psicoterapia cognitiva e sociale (Aipcos). Ma cosa accade all'interno della coppia se è lei a portare lo stipendio a casa o a fare carriera? «Se il partner è intelligente non cambia nulla: chi ha l'opportunità di fare una cosa, semplicemente la fa. È il nuovo modello di relazione: in questa società in continua evoluzione, tra ruoli che cambiano e difficoltà economiche, le coppie o si attrezzano o si rompono. Ma attenzione: è importante che sia sempre garantita la dignità dell'altro, altrimenti possono nascere invidie, ripicche, persino tradimenti per vendetta. E che gli uomini non si sentano messi da parte a causa del lavoro. Se ci pensate, lo stesso identico rimprovero era mosso dalle donne degli Anni 50 ai loro mariti». Insomma, le famiglie diventano sempre più una squadra: il risultato arriva se tutti giocano per raggiungere lo stesso obiettivo, a prescindere dal ruolo. Quattro donne di Roma, che per diversi motivi si sono ritrovate capofamiglia, ci raccontano la loro storia.
Sara Verdecchia, 38 anni, Clinical Research Manager. Vive a Roma con il compagno Lorenzo e la loro bimba, Giulia, 4 anni.
Da quando il mio compagno fa il part time è tornato il sereno (ma per un anno non lo abbiamo detto a nessuno).
«Io nel lavoro ci ho investito. Ho iniziato come biotecnologa in laboratorio, oggi sono manager in un'azienda farmaceutica. Gestisco i protocolli clinici per farmaci ancora in sperimentazione, prima che entrino in commercio. Mi sono impegnata molto per fare il salto di carriera e riuscirci è stata una soddisfazione: il farmaco può essere venduto e salvare vite».
D. Come sono divisi i ruoli a casa tua?
R. Il mio compagno Lorenzo è impiegato nella segreteria di una scuola di illustrazioni. Fino a un paio di anni fa, lavoravamo entrambi otto ore al giorno e nostra figlia Giulia, a due anni, andava all'asilo nido dalle sette e mezza di mattina fino alle sei di sera. Rientrare a casa era devastante, tra la stanchezza, le faccende ancora da sbrigare e la bambina sempre nervosa, quasi arrabbiata. Io e Lorenzo abbiamo capito che non potevamo andare avanti così. Nel mio settore, però, il part time non è ipotizzabile, da Lorenzo invece era possibile. Così lui l'ha chiesto e ottenuto: ora prende Giulia dall'asilo dopo pranzo e passano insieme il pomeriggio. Quando torno dall'ufficio, sembra la casa dei sogni: tutto in ordine, cena pronta, loro contenti.
D. Come hai gestito il cambiamento?
R. Essere più concentrata, avere accanto una persona che mi supporta, mi ha sicuramente aiutato a crescere e fare carriera. Con un buono stipendio, poi, è una scelta che abbiamo potuto compiere con serenità. Per un anno però non lo abbiamo detto a nessuno.
D. Perché?
R. Non volevamo interferenze e non sopportiamo i pregiudizi, che sono ancora molto diffusi sia tra gli uomini, sia tra le donne. Ora, invece, non mi interessa cosa pensano gli altri: se non capiscono è un problema loro. I nuovi modelli di famiglia non hanno nulla a che vedere con quelli di un tempo. Non si tratta della donna che fa l'uomo o viceversa. È tutto condiviso.
D. Ti sei mai sentita minacciata nel tuo ruolo di madre per la tua scelta?
R. A volte dico che sono diventata come mio padre: per crescere noi tre figlie faceva due lavori. È vero, mi perdo alcune cose, ma vedere Giulia così serena conferma che abbiamo fatto la cosa giusta. Se poi un giorno capitasse la grande occasione a Lorenzo, scambierei i ruoli senza problemi.
D. Cosa insegni a tua figlia?
R. A non aderire per forza agli stereotipi.
Serena Gioia Vitullo, 44 anni, parrucchiera, è una mamma single. Con lei il figlio Alessio, 12. Vivono a Roma.
Io e mio figlio: sono orgogliosa della nostra famiglia a due.
«Ho cresciuto mio figlio Alessio da sola: il mio ex compagno non era adatto al ruolo di padre. Ammetto che non è stato facile, i primi tempi non riuscivo nemmeno a trovare il tempo per fare una doccia. Per non parlare dello svago: sono sempre stata io l'unico punto di riferimento per la «nostra famiglia a due». Alessio era sempre con me ed è cresciuto nei vari negozi di parrucchiera dove ho lavorato in questi anni, giocando con spazzole e bigodini. Da piccolo mi chiedeva: «Mamma, dovrò fare il parrucchiere?». Credeva che il lavoro si ereditasse!».
D. Ti ha mai spaventato essere sola?
R. No, anche se aiuti per le ragazze madri non ce ne sono. I miei genitori, i miei fratelli e le mamme dei compagni di scuola mi aiutavano nella gestione quotidiana quando potevano, ma in pratica ho sempre dovuto provvedere io a tutto. In cambio, però, ho guadagnato la libertà di poter scegliere per mio figlio. Sono molto orgogliosa di lui, e del «lavoro» che ho fatto: oggi ha 12 anni ed è un ragazzino felice, educato, gentile. Ci sono stata poco, forse, perché dovevo lavorare per due, ma nel modo giusto.
D. Mai pensato di allargare la famiglia?
R. No, anche quando qualche anno dopo ho conosciuto il mio attuale compagno, non ho voluto andare a convivere. Lui vuole molto bene ad Alessio, ma io non saprei come gestire una vita diversa da quella che ho.
D. Cosa insegni ad Alessio sui ruoli in casa?
R. Ancora non ne abbiamo parlato apertamente. Ma credo che si impari prima di tutto dagli esempi. Io sono cresciuta osservando mia mamma, una donna indipendente che ha sempre lavorato pur avendo ben quattro figli. Alessio, che sembra già un piccolo ragioniere con la sua paghetta, mi ha sempre vista caricarmi di tutte le nostre esigenze e dice che da grande vorrà provvedere lui alla sua famiglia: al momento, però, come molti coetanei sogna di fare lo youtuber!
Federica Di Blasi, 34 anni, convive con Francesco a Roma. Hanno due bimbi, Andrea e Luca, di 4 anni e 8 mesi.
Mi sono rimboccata le maniche per permettere a lui di studiare. Per tre anni il mio è stato l'unico stipendio.
«Nel 2012, dopo aver vissuto nove anni a Londra, torno in Italia e incontro Francesco. In verità ci conoscevamo già dalle scuole medie, ma ci eravamo persi di vista: io all'estero per laurearmi in Lingue, lui giocatore di basket professionista. Questa volta ci innamoriamo e, in meno di un anno, andiamo a vivere insieme. Francesco ha un sogno nel cassetto: laurearsi e prendere il master in Management dello sport per entrare al Coni e al Comitato olimpico europeo. Non ci ho pensato un attimo e mi sono rimboccata le maniche: lui ha qualcosa da parte, io comincio a lavorare e per tre anni il mio è stato l'unico stipendio in casa. «In qualche modo faremo», ci ripetiamo anche quando nascono i nostri due figli, Andrea e Luca».
D. Qual è la tua professione?
R. Lavoro per una casa di automobili. Sono entrata come stagista, oggi sono «Facility and purchasing specialist», ovvero mi occupo dell'acquisto di beni e servizi per l'azienda e della manutenzione delle sue cinque sedi, dal rifacimento degli uffici alle aree verdi.
D. Come hai gestito il ruolo di capofamiglia?
R. Non tutti hanno capito la nostra situazione, qualcuno ha persino criticato il fatto che Francesco si concentrasse solo sullo studio senza trovare un lavoro per contribuire al bilancio familiare. Per me è stata una responsabilità, ma non un peso. Mi sono sentita capofamiglia a livello economico, non nella coppia o nella vita quotidiana.
D. La fatica più grande?
R. Tornare al lavoro subito dopo la prima maternità, quando Andrea aveva solo quattro mesi: non ero ancora assunta in modo stabile, non avevo altra scelta.
D. I sacrifici stanno dando buoni frutti?
R. Sì, Francesco ha finito di studiare, comincia a firmare i primi contratti e sta lavorando con il comitato del Festival olimpico della gioventù europea, un evento sportivo che si terrà a febbraio a Sarajevo, in Bosnia ed Erzegovina, e a luglio a Baku, in Azerbaigian. Anche nella gestione dei bambini è più presente. Credo che la nostra famiglia rispecchi l'anima delle nuove generazioni: la moglie ha un peso diverso nelle entrate economiche e il marito assume più compiti nel ménage quotidiano. Insomma si lavora in due, fuori e dentro casa.
Marina Capretti, 42 anni, lavora per il canale televisivo La7. Vive a Roma con il marito Omar e le loro bimbe, Sofia di 6 anni e Olivia che ne ha quasi 2.
Il mio posto fisso è il nostro punto fermo.
«Per il canale televisivo La7 mi occupo di trovare e acquisire documentari, avviando la contrattazione economica e tenendo d'occhio mercato e concorrenza. Un ruolo che mi piace moltissimo, soprattutto quando vado ai meeting all'estero, dove si incontrano fornitori di tutto il mondo».
D. Come ti sei ritrovata capofamiglia?
Il mio lavoro sicuro è stato più volte il punto fermo della famiglia. È accaduto nel 2012, quando l'azienda per cui lavorava mio marito Omar ha chiuso e lui è rimasto fermo alcuni mesi. Quando con la liquidazione ha aperto un negozio di accessori per animali e, come in tutte le attività, ogni mese era una scommessa. E ancora, quando nel 2015 abbiamo deciso di chiudere l'attività e tentare nuove strade. Quella volta per mesi abbiamo potuto contare davvero solo sul mio stipendio: avevamo appena comprato casa e la nostra secondogenita, Olivia, era in arrivo. Ma, come mi ha insegnato una saggia zia: «È quando si crea un problema che trovi la soluzione». Oggi finalmente siamo di nuovo in due a sostenere la famiglia, anche se Omar ha solo contratti a tempo: a ogni scadenza incrociamo le dita per il rinnovo.
D. Come hai gestito il ruolo di capofamiglia?
R. A casa nostra non esiste «mio» o «tuo»: è tutto della famiglia. Il fatto che fossi io a portare lo stipendio a casa non mi ha mai fatto sentire diversa, né credo che mio marito abbia percepito cambiamenti negli equilibri di coppia. Certo, l'incertezza economica davanti a un mutuo appena acceso, le bambine ancora piccole, la scuola da pagare hanno pesato, ma la situazione sarebbe stata identica se fosse stato lui a guadagnare di più. Ci sono uomini che soffrono le differenze di salario. Non è il nostro caso.
D. Cosa insegni alle tue figlie?
R. Offro il nostro esempio: una mamma che riesce a conciliare tutto ed è un punto di riferimento e un papà che cucina ogni giorno ed è bravo anche in ruoli socialmente non considerati maschili. La famiglia è una squadra: tutti possono fare tutto, l'importante è essere soddisfatti.
Daniela Giammusso



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