Numero 4 del 2019
Titolo: Mamme geniali
Autore: Benedetta Sangirardi
Articolo:
(da «F» n. 3-2019)
Avere un figlio ci rende più creative?
La scrittrice J. K. Rowling si è inventata il maghetto Harry Potter e ha scritto il suo primo libro nei bar di Edimburgo, ottimizzando il tempo tra una poppata e l'altra della sua bimba allora di pochi mesi. Ma è solo un esempio.
La svedese Camilla Läckberg, mamma di quattro figli, ha lavorato al romanzo «La strega» durante il primo anno di vita della sua bimba più piccola, Polly. «Quasi settecento pagine ricche di riferimenti storici quando sua figlia era appena neonata. Un periodo che persino le neomamme letterate definiscono di analfabetismo totale, assorbito esclusivamente da poppate, bagnetti e cambi di pannolini è invece la massima espressione della creatività per la donna», assicura la filosofa Francesca Rigotti. È lei, nel saggio «Età e tempo della creatività», raccolto nel libro «Rompere le regole. Creatività e cambiamento» (Utet), a smontare ogni tradizione filosofica, ma anche letteraria e scientifica, che attribuisce intelletto e creatività diversi a uomini e donne: ai primi, detti il sesso forte, la creatività più alta, quella mentale; alle donne la creatività di basso livello, quella fisica.
D. In che modo una donna che diventa madre può rompere le regole?
R. È semplice: non adeguandosi agli schemi che la vorrebbero devota al cento per cento alla sua missione, appunto, di madre. Con la testa piena esclusivamente di poppate, pannolini e simili. Chiusa e beata nel suo intimo privato e per il resto analfabeta e disinteressata al mondo esterno, pubblico.
D. Nel saggio fa riferimento alla scrittrice Camilla Läckberg. Che cosa ci dimostra?
R. Proprio questo. Che si può essere mamme e qualcos'altro. Certo, non c'è bisogno di scrivere grandi romanzi gialli come lei. Ma non va nemmeno bene mettere il cervello in naftalina.
D. Lei parla di un vero e proprio furto alle donne. In che senso?
R. Filosofia, letteratura, mitologia hanno da sempre attribuito la creatività mentale agli uomini. Alle donne spetterebbe solo quella fisica, legata alla procreazione. Ma non è così. Ecco allora il «furto», l'appropriazione da parte del maschile del linguaggio della creatività femminile, come quando l'autore dichiara di aver messo al mondo un'idea. Non potendo mettere al mondo figli di carne, immagina di mettere al mondo figli di carta o di pixel.
D. Partorire idee, dunque, non è solo una metafora.
R. Diciamo così: è una metafora dal momento che paragona la produzione mentale di idee al parto fisico di figli. Ma non è neutrale. Incorpora invece un giudizio: partorire idee e concetti e opere della creatività e dell'ingegno è una prestazione maschile. A noi resta il partorire figli, che è comunque una cosa meravigliosa, io ne ho avuti quattro.
D. Come ha conciliato la vita familiare con il suo impegno di studiosa?
R. Non è stata una passeggiata, tenendo presente anche che ho avuto un maschio, una femmina, più due gemelli maschi nel giro di cinque anni. Ma ho potuto contare su un compagno e padre non italiano, che non si è mai tirato indietro dallo svolgere mansioni «donnesche». Poi, vivendo all'estero, con la presenza di ragazze alla pari italiane (perché sanno che cosa vuol dire cucinare e mangiare) e infine lavorando tantissimo e riposando poco.
D. La storia, dicevamo, ci dice che intelletto e maternità non sono un binomio. Come possiamo ribaltare questa zavorra?
R. Dimostrandolo con le nostre opere e le nostre attività. Producendo a nostra volta idee e progetti interessanti. Sa, è l'unico modo. Lamentarsi non serve, anzi è controproducente. Il problema sarà che i nostri lavori non verranno valorizzati perché fatti da donna, ma non perdiamoci d'animo e continuiamo a far bene i nostri compiti. Qualcuno, forse, prima o poi se ne accorgerà.
D. Ma in che modo il diventare madri è una potente esperienza creativa?
R. Trovo straordinario l'avere in quanto donne la potenzialità di mettere al mondo qualcosa di veramente nuovo, ogni volta un individuo umano diverso, unico, singolare. Altro che l'innovazione di cui tanto si parla nel mondo della produzione!
D. Non solo poppate e pappine. Lei crede che la maternità sia conciliabile con il lavoro intellettuale. In che modo?
R. Con una grandissima fatica, lo dico subito. E una serie di rinunce e sacrifici, inutile farsi illusioni. Ma se si osservano bene i piccoli, e le loro esigenze e il loro mondo, gli spunti intellettuali che se ne ricavano sono infiniti. E poi lo stato di madre aguzza l'ingegno perché ti tiene sempre all'erta sui possibili pericoli.
D. Pensa che diventare madri significhi, anche, maggiore capacità di risoluzione dei problemi?
R. Ma certo! Le donne non hanno la testa piena di vento, come si dice di loro (alcune sì, ma pazienza). Ce l'hanno piena di questioni organizzative che neanche il manager di più alto livello se le sogna. E le risolvono, ogni giorno.
D. Quali qualità intellettuali e quali competenze, nello specifico, sviluppano le madri?
R. L'esercizio di buon senso, umorismo, pazienza e perspicacia. Non è abbastanza?
D. Aiuta anche nel lavoro?
R. Ogni giorno, in ogni mansione. Bisogna portare di là quel che si acquisisce di qua. Trasportare sul lavoro le competenze conquistate facendo la mamma e viceversa. Il risultato è sorprendente, lo garantisco.
D. La società è ancora parecchio legata al culto della maternità. Eppure aumentano le donne che decidono di non volere figli. Che ne pensa?
R. È possibile che queste donne si sentano, prima o poi, incomplete, ma al tempo stesso lo vedo come una grande scelta di libertà e coraggio. Il non avere figli può essere avvertito come una mancanza dolorosa, magari quando si è in là con gli anni. Ma è anche una decisione audace, sbattuta in faccia a chi ci vorrebbe infilare a tutti i costi nel ruolo materno, e invece tante donne non desiderano far le madri.
D. Quanto siamo lontani dal far valere un figlio come un punto a favore della donna?
R. Uh, temo ne siamo abbastanza lontani, in Italia più che altrove. I Paesi di religione cattolica tendono al culto della maternità, ma molto meno al rispetto delle donne. I Paesi protestanti sono più aperti perché non hanno il culto della Madonna la cui caratteristica principale è essere madre di un Dio.
D. C'è un modo per restituire dignità alla maternità?
R. Sì, ma le donne devono agire con l'esempio. Lavorare per mantenersi, in primo luogo, e fare figli, e esigere asili nido e scuole a tempo pieno. E non farsi ingannare da alcuni moderni predicatori che ti dicono di figliare a 19 anni. A quell'età bisogna provvedere alla propria formazione, altrimenti si resta ignoranti e non qualificate. Anche se l'unica vera soluzione sarebbe che fossero gli uomini a partorire: allora vedreste che attribuzione di dignità!
Benedetta Sangirardi