Numero 1m del 2001
Titolo: I ciechi e la cultura ieri e oggi in Italia
Autore: Antonino Cucinotta
Articolo:
Siamo tutti consapevoli e convinti che l'istruzione dei ciechi è stata ed è ancora la condizione sine qua non del loro riscatto morale, intellettuale e sociale. La possibilità di istruirsi non può non portarci con il pensiero alla straordinaria rivoluzione operata nei primi decenni dell'Ottocento da Louis Braille che, con la sua invenzione, ha dato ai ciechi la capacità di leggere e scrivere speditamente e di uscire dalle tenebre mentali e intellettuali in cui, per secoli, sono stati avvolti. "Voglio", come egli dice, "che la mia scrittura sia leggibile dai ciechi. Cerco un mezzo, quale che sia, per consentire ai ciechi di fare cultura con gli strumenti più efficaci".
Il Braille si diffuse subito in Francia e poi negli altri stati, sostituendo dappertutto sistemi di lettura e scrittura complessi e complicati che presentavano notevoli difficoltà sia a leggere che a scrivere. Si potè così cominciare ad avviare lo svolgimento di normali corsi di studio negli istituti già esistenti per volontà di filantropi e di benefattori. Si trattò ovviamente di una cultura ancora incipiente che però servì certamente di base e di stimolo per allargare e approfondire il sapere. La segnografia della musica in Braille consentì a molti ciechi che ne erano inclini, di avviarsi a questi studi, conseguendo notevoli successi nei vari strumenti studiati, soprattutto nello studio del pianoforte e dell'organo. In questo primo periodo, non si disponeva di insegnanti idonei e i libri disponibili non solo erano pochi, ma spesso anche scritti male a mano da volontari non sempre esperti. La cultura illuminò la via del riscatto che i ciechi hanno seguito conseguendo risultati che hanno cambiato radicalmente la loro condizione, nonostante il perdurare di pregiudizi e prevenzioni. Ma quanta forza di volontà, quanta pazienza, quanti sacrifici e quanta fatica tali realizzazioni hanno comportato!
La strada era ormai segnata e fu illuminata da Augusto Romagnoli che, primo cieco laureato in Italia e primo insegnante di filosofia nei licei statali, diede la prova tangibile di quanto i ciechi potessero fare. Aurelio Nicolodi, cieco di guerra, si rese conto di persona, come egli scrive nei suoi "Discorsi sulla cecità", delle pessime condizioni degli istituti per ciechi e della scarsa fede che animava i direttori e gli amministratori di queste istituzioni. Si rese conto anche che i problemi dei ciechi dovevano essere affrontati e risolti dai ciechi stessi. A questo scopo, nel 1920, fondò l'Unione Italiana dei Ciechi e, coadiuvato da altri commilitoni e da Romagnoli, prese il timone della "nave" e, già nel 1923, con la riforma "Gentile" della scuola, ottenne il riconoscimento del diritto alla rieducazione e all'istruzione dei ragazzi ciechi negli appositi istituti. A supporto, fu creata la stamperia nazionale Braille che provvide a fornire alle scuole speciali testi scolastici, testi di cultura generale e di narrativa. Il materiale librario fornito non era né quantitativamente né qualitativamente sufficiente, ma comunque consentiva ai ragazzi che intendevano proseguire negli studi, di giungere agli esami di ammissione al ginnasio ben preparati come tanti altri coetanei vedenti. La creazione della Biblioteca italiana per ciechi "Regina Margherita" favorì ulteriormente la preparazione culturale dei non vedenti.
Questo patrimonio librario, arricchito anche dalle biblioteche degli istituti e integrato da ore di lettura messe a disposizione degli studenti, tutto sommato, poteva soddisfare le esigenze di studio delle scuole medie superiori; ma la situazione cambiava quando si arrivava all'università dove vi sono le dispense dei professori, lo studio di opere specifiche e la necessità di prendere appunti.
Ancora più problematica era la possibilità di partecipare ben preparati ai concorsi a cattedra. I testi in Braille erano scarsi e non aggiornati. Bisognava ricorrere a lettori spesso occasionali, che a volte con voce monotona conciliavano il sonno ascoltando, per esempio un dialogo di Platone o altra impegnativa opera di filosofia. Questa condizione non era certamente positiva e non posso non riconoscere ai colleghi vedenti molti vantaggi di studio e, quindi, di preparazione. Nondimeno, credo di poter dire che molti ciechi hanno partecipato ai concorsi a cattedra con buone affermazioni alla pari di tanti altri colleghi vedenti. Ma anche qui quanta forza di volontà, quanti sacrifici, quanta fatica, quanto spirito di adattamento a scrivere il tema in Braille e dettarlo poi ad un trascrittore messo a disposizione dal provveditorato agli studi.
Intanto, a cominciare dagli anni Cinquanta, si ha un rapido sviluppo della tecnica e della scienza che ha migliorato notevolmente le condizioni di studio dei non vedenti con l'utilizzazione dei registratori, delle registrazioni su cassetta, e degli strumenti informatici. Quanta differenza fra oggi e ieri quando si era costretti ad usar