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Corriere dei Ciechi

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Numero 6 del 2017

Titolo: SINDACATO- Valorizziamo le persone con disabilità

Autore: Silvana Roseto


Articolo:
Silvana Roseto, Segretaria confederale UIL, interviene nel dibattito sul lavoro

É opinione comune e giusta associare il sindacato al mondo del lavoro, agli scioperi, alla contrattazione nazionale e aziendale, ma oggi il sindacato è un qualcosa di più, c'è un quid pluris che va oltre il luogo di lavoro e il conflitto sulla distribuzione della retribuzione, per allargarsi alla protezione di valori e di situazioni che sebbene intrecciandosi con il mondo del lavoro sono a più ampio raggio.
È quello che accade con la disabilità. Il sindacato è impegnato non solo a preservare il disabile in quanto lavoratore e a garantire la corretta applicazione delle leggi in tema di collocamento lavorativo, ma il suo intervento si estende alla protezione del disabile in quanto persona, e questo lo si capisce dalla presenza del sindacato in organi e tavoli istituzionali dove al centro è posta la tutela del disabile in quanto tale e sotto vari contesti, non solo come lavoratore o potenziale tale. Porre al centro la persona affetta da disabilità non significa considerarlo solo come oggetto/destinatario dell'insieme di prestazioni e di risposte che la legge riconosce, ma anche e soprattutto soggetto che collabora, partecipa e sceglie il suo percorso di vita verso una sua piena inclusione sociale, rispettando il principio alla vita indipendente (art. 19 CRPD).
Ricordiamo che il nostro Paese ha una legge quadro importantissima riguardante il sistema integrato di interventi e servizi sociali, che però, purtroppo, non ha avuto vita facile: ci riferiamo alla L. 328/2000, dove ha trovato attuazione, e il sindacato si è visto riconoscere un ruolo dalla legge medesima come attore coinvolto nella programmazione dei Piani di Zona. Proprio consapevoli dell'importanza e dell'attualità di questa legge, abbiamo organizzato convegni per ribadire ed incentivare i territori ad avvalersi di questo importante strumento normativo.
Purtroppo sappiamo che nei confronti della disabilità sia necessario un cambiamento culturale, a 8 anni dalla ratifica della Convenzione Onu sui disabili (L. 18/2009), l'Italia è ancora in affanno nell'adattarsi ad accogliere i principi in essa enunciati. Come sindacato siamo chiamati a partecipare alla diffusione di una sensibilizzazione verso la condizione di chi è affetto da disabilità, la più grande barriera da dover superare è proprio quella culturale pertanto, attraverso convegni, seminari e corsi di formazione cerchiamo di contribuire alla creazione e diffusione di comportamenti e valori che garantiscano che la disabilità sia percepita solo e semplicemente come una variabile della condizione umana e come tale accettata e rispettata.
Solo così l'uguaglianza, ribadita più e più volte in una continua proliferazione di documenti internazionali e nazionali, non rimarrà una semplice dichiarazione di intenti. Il garantire a tutti le pari opportunità di affrontare la vita, rispettando e rimuovendo gli ostacoli che si frappongono al pieno raggiungimento di questo obiettivo è un impegno comune, che riguarda in primis i Governi (ricordiamo il nostro articolo 3 comma 2 della Costituzione) ma che deve riguardare l'intera comunità. Con le stesse condizioni di partenza la persona affetta da disabilità può operare nel mondo senza essere oggetto di discriminazioni: l'accesso all'istruzione, la mobilità, lo svolgimento di attività lavorativa, l'accesso ai servizi ecc., si tratta di aspetti della realtà quotidiana che se venissero garantiti allo stesso modo (ovviamente con i giusti adattamenti) permetterebbero a queste persone di vivere a pieno titolo il loro diritto ad essere cittadini come chiunque e vivere pienamente la loro inclusione nella società.
Contrastare ogni forma di discriminazione e di disuguaglianza è un impegno di qualsiasi società civile che voglia definirsi tale, ecco che allora occorre abbattere tutti quegli ostacoli che possono creare situazioni sfavorevoli in tale senso. L'abbattimento de quo richiede che si debba agire concretamente sull'educazione, sulla povertà, sull'accesso alla sanità ecc., per questo abbiamo deciso come Uil di partecipare ai gruppi di lavoro dell'ASVIS nell'applicazione dell'Agenza 2030 dell'ONU, fornendo il nostro contributo nel gruppo di lavoro incentrato proprio sul contrasto alle disuguaglianze che possono generare anche dalla condizione di disabilità.
Ritornando nei confini nazionali abbiamo contestato la novità introdotta dal D.lgs. 151/2015 che è intervenuto portando modifiche alla Legge 68/99 in tema di collocamento mirato. A nostro avviso si è venuta a materializzare una discriminazione in quella previsione che, modificando la disciplina antecedente, ha introdotto un vero e proprio diritto per il datore di scegliersi il disabile su misura: il riconoscimento del ricorso alla sola chiamata nominativa (e non più di quella numerica) per noi ha legittimato una disuguaglianza tra lavoratori affetti da disabilità.
Sempre nel ribadire l'uguaglianza e la non discriminazione ci stiamo battendo per riconoscere finalmente i livelli essenziali delle prestazioni. È inammissibile che ancora oggi abbiamo cittadini disabili di serie A e di serie B: in tema di disabilità ai 3.875 euro che il Piemonte spende pro capite annualmente si contrappongono i soli 469 euro della Calabria. Queste differenze territoriali non sono accettabili. Ovviamente il problema di ciò nasce anche dalla mancanza che si è avuta negli scorsi anni di fondi dotati di risorse strutturali, pertanto è stato sempre rimandato il momento di definire questi livelli essenziali delle prestazioni sociali (LEPS); ma i livelli essenziali (stessa cosa che accade con i LEA sanitari) altro non sono che diritti soggettivi e come tali esigibili da tutti alle medesime condizioni su tutto il territorio nazionale, con il loro riconoscimento si verrebbe ad ovviare il problema della disuguaglianza nell'accesso ai servizi.
Altre discriminazioni possono emergere anche nell'accesso alle informazioni nonché alle normative applicabili che come sappiamo nel nostro ordinamento sono numerose e spesso in contrasto le une con le altre. In questa "giungla" normativa, fatta di una pluralità di definizioni, soggetti coinvolti, lungaggini burocratiche, si possono di fatto creare delle difficoltà di accesso a dei benefici ai quali si avrebbe diritto, ecco che quindi in tal senso il sindacato, nello specifico attraverso i nostri Uffici H, sopperisce e interviene per ovviare a questi fastidiosi inconvenienti, fornendo un servizio di prima assistenza informativa rivolto appunto a tutti i cittadini con disabilità e alle loro famiglie, dove si possono avere informazioni sui diritti e su come farli rispettare.
Il lavoro è un valore fondamentale per ogni persona, ma a maggior ragione per le persone con disabilità esso rappresenta non solo una fonte di sostegno economico, ma anche e soprattutto uno strumento identitario, un veicolo per la piena inclusione e la condizione essenziale per la garanzia della pari dignità sociale. Nel confronto con il datore il sindacato è chiamato a farsi garante del collocamento mirato, adoperandosi per la concreta applicazione della Legge 68/99, sostenendo e promuovendo le capacità dei lavoratori disabili anche attraverso tirocini personalizzati.
Il sindacato si batte per far sì che vengano previsti sempre più incentivi affinché il datore assuma il lavoratore disabile, ma in realtà accade che i datori siano più propensi a pagare una multa dovuta alla mancata assunzione del lavoratore disabile, anziché provvedervi con tutta la serie di eventuali adattamenti richiesti.
La Uil sostiene il collocamento mirato accogliendo lo spirito della Legge 68/99: "la persona giusta nel posto giusto", intendendosi per collocamento mirato il processo che adatta le mansioni alle potenzialità del lavoratore disabile, ritenendo che il problema dell'occupazione delle persone disabili deve diventare un problema di "tutti" e come tale contestualizzato nelle politiche generali in termini di occupazione di tutte le persone.
Sempre nel rispetto del diritto al lavoro, il sindacato sostiene e incentiva il ricorso al telelavoro o al nuovo "smart working" se utilizzati come opportunità affinché la persona disabile possa inserirsi nel contesto produttivo quando, per ragioni legate sia alla patologia sia alla difficoltà del datore di procedere a rendere adattabile il posto di lavoro in azienda, ciò diventa non attuabile.
Nei luoghi di lavoro, inoltre, non manca l'impegno del sindacato in tema di salute e sicurezza (D.lgs. 81/2008), con specifico riguardo appunto alle persone con disabilità. I nostri RLST devono operare ed essere adeguatamente formati anche nella tutela delle persone con disabilità, ricordando quanto in tal senso è sancito all'art. 63: "i luoghi di lavoro devono essere strutturati tenendo conto, se del caso, dei lavoratori disabili". Riteniamo che ciò non debba essere interpretato solo nel senso di accessibilità, barriere architettoniche, utilizzo di ausili ed assistenza in caso di evacuazione, ma anche nel senso dell'organizzazione del lavoro.
Sempre all'interno dei luoghi di lavoro sta iniziando a diffondersi, sebbene siamo solo alle primissime sperimentazioni, un organismo nato dall'attività che come sindacato abbiamo svolto con gli altri membri che fanno parte dell'Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità. Si tratta dell'Osservatorio aziendale e del disability manager, due organi che avranno il compito di promuovere l'inclusione lavorativa dei lavoratori con disabilità nei luoghi di lavoro, a partire dal momento delicato dell'inserimento, valorizzando, per tutto il percorso lavorativo, la loro autonomia e professionalità e conciliando le specifiche esigenze di vita, cura e lavoro.
Nonostante abbiamo una legge all'avanguardia come la 68/99 purtroppo manca la sua esigibilità, ossia i cittadini disabili non riescono a veder riconosciuti e attuati i diritti in essa sanciti. Secondo recenti dati Istat in Italia meno di una persona disabile su 5 lavora ed inevitabilmente ciò incide negativamente sulla realizzazione personale e sul mancato guadagno. Non è certamente un caso che la disabilità sia uno dei primi determinanti dell'impoverimento. Purtroppo la disabilità porta verso l'emarginazione, andando a consumare giorno dopo giorno le risorse delle persone disabili e delle loro famiglie. Il welfare, i servizi di assistenza pubblica dovrebbero contribuire a colmare il gap che si viene inevitabilmente a creare tra non disabili e disabili, dovendo affrontare questi ultimi spese maggiori legate alla situazione particolare, ma generalmente è la famiglia la principale, se non l'unica risorsa sulla quale i disabili possono contare.
Il 70% delle famiglie non fruisce di alcun servizio assistenziale domiciliare né pubblico né privato o per motivi economici o per motivi legati a mancate concessioni a livello pubblico: motivo per il quale nel Tavolo interministeriale per la non autosufficienza, assieme agli altri sindacati e alle associazioni di categoria abbiamo iniziato un confronto in merito alla gestione del c.d. Fondo per la Non Autosufficienza che andrà a finanziare proprio l'assistenza domiciliare a discapito, finalmente, della istituzionalizzazione. Ovviamente la dotazione attuale (450 milioni strutturali + 50 milioni per il solo 2017) non è minimamente sufficiente, ma come inizio di un percorso per adesso abbiamo manifestato apprezzamento. Nonostante ciò non abbiamo esitato a partecipare come UIL al presidio dello scorso novembre, sostenendo le associazioni dei disabili gravissimi nella loro battaglia contro un possibile taglio (sembra di recente scongiurato) al Fondo in questione.
Come detto poc'anzi la stragrande maggioranza, se non la totalità, della gestione della persona disabile è affidata alle famiglie che non solo investono risorse affrontando spese out of pocket, ma anche tempo e vita, rinunciando anche al lavoro: questo fenomeno riguarda principalmente le donne alle quali, per tradizione e dedizione, è delegato il lavoro di cura. Riconosciamo la delicatezza e la difficoltà di questo compito, pertanto stiamo monitorando i ddl che affrontano il riconoscimento giuridico della figura del care giver familiare, purtroppo ancora assente in Italia.
E quando non c'è la possibilità che un familiare si occupi totalmente della persona disabile, le famiglie si rivolgono a delle figure non sempre specializzate: parliamo del c.d. "badantato" che noi contrastiamo sotto diversi punti di vista: sia per ciò che attiene la tutela della persona disabile, che ha diritto a ricevere delle cure da chi è in grado di offrirle con professionalità, sia per la tutela di chi presta questo lavoro il più delle volte in "nero" e sia la tutela di chi, invece, decide di formarsi e prepararsi per esercitare questa attività con la giusta competenza.



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