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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Corriere dei Ciechi

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Numero 6 del 2017

Titolo: STORIE- L'altro Festival

Autore: Ambra Notari


Articolo:
Voci dal Festival internazionale delle abilità differenti

"Per me il tango è come un amico che mi aiuta nei momenti difficili della vita, una passione in cui rifugiarsi". Gabriella Panaro è una ballerina di tango argentino. Nata a Ferrara, cresciuta a Riva del Garda in provincia di Trento, oggi vive a Bologna. È stata una delle protagoniste del Festival delle attività differenti andato in scena a maggio tra Carpi, Correggio, Modena, Maranello, Pavullo e Bologna, vincendo l'Open Festival, concorso dedicato alle compagnie emergenti di teatro, danza e musica e ai cortometraggi. Gabriella è cieca a causa della retinite pigmentosa: sul palco si è esibita con il ballerino e attore Leonardo Ventura. Insieme hanno portato in scena uno spettacolo composto da letture di poesie di Jorge Louis Borges e da momenti di musica e danza. Fil rouge della performance, lo specchio, tema molto caro al poeta argentino, scelta tutt'altro che casuale: "Borges ereditò dal padre la retinite pigmentosa, che nel corso della sua vita lo portò a diventare completamente cieco" spiega la ballerina. "Questo sviluppò in lui una particolare inquietudine nei confronti degli specchi, che riflettevano la sua immagine senza che a lui fosse più concesso vederla".
"Amicizia", "Elogio dell'ombra", "Gli specchi" i componimenti recitati da Ventura, alternati a "Oblivion", un tango lento, "Bahia Blanca", un tango più sostenuto e, infine, un tango vals, più allegro. Uno spettacolo che Gabriella aveva in mente da tempo e che aspettava solo l'occasione di essere realizzato: "Racconta il nostro percorso: si parte dalla conoscenza di una condizione nuova, quella di una persona che sta perdendo la vista, con tutte le domande e le paure che ne conseguono. Si passa alla presa di coscienza di questa nuova realtà e si arriva all'accettazione". Quest'ultimo passaggio sul palcoscenico è stato reso da uno specchio finto che, a un certo punto, viene coperto da un foulard, come a dire: capitolo chiuso, da oggi si volta pagina.
Sin da piccola, Gabriella accusava alcuni problemi: di sera, per esempio, non ci vedeva bene. Se ne accorsero i genitori: "Quando mi vedevano in bicicletta, la sera, con il mio fanalino acceso, che procedevo lentamente, mi domandavano se avessi paura. Ma io non avevo paura, semplicemente non ci vedevo". Alle elementari le venne diagnosticato l'occhio pigro: "Mi fecero indossare gli occhialini con un occhio coperto, quello che ci vedeva meglio. Di fatto, me lo rovinarono, perché non potei più contare nemmeno su di lui". Intorno ai 10 anni, i dottori cominciarono a pensare potesse trattarsi di un tumore, ma tutti gli esami diedero esito negativo. Solo a 18 anni arrivò la diagnosi di retinite pigmentosa: "Non dissi niente a scuola, lo sapeva solo la mia migliore amica, che in gita mi aiutava a destreggiarmi. Non conoscevo nulla di quella malattia, e nessuno fu in grado di spiegarmi esattamente di cosa si trattasse. Se solo avessi avuto qualche informazione in più, avrei fatto scelte diverse: per esempio, all'università non avrei scelto statistica ma una facoltà umanistica. Solo una volta arrivata a Bologna ho capito cosa stava succedendo".
Gabriella, come spesso accade, ha perso prima il campo visivo periferico poi quello centrale. "La retinite è uno stillicidio, non sai mai cosa può cambiare e in che misura. Direi di essere diventata cieca intorno a 25, 28 anni. Non lo so di preciso, perché ci sono molti step da superare: alcune volte vedevo solo ombre, altre nulla. Se c'era poca luce era un problema, ma anche se ce n'era troppa. È un processo lento ma inesorabile. E tu cosa fai nel mentre? Tu ci provi, ti ci aggrappi, ma poi te ne fai una ragione e copri lo specchio, come nello spettacolo. Ma se hai una passione su cui contare, tutto è più facile". Questa passione, per Gabriella è il tango.
È il 2000 quando Gabriella comincia a frequentare, insieme con il marito, le scuole di tango di Bologna. Raccontano di avere scelto proprio il tango per il suo spessore emotivo: non c'è una precisa sequenza di passi, ma una musica che va interpretata, dando vita a un rapporto strettissimo, quasi simbiotico. "Il tango è una comunicazione non verbale" spiega la ballerina. "È una questione fisica, una fusione di due corpi con la musica. Un susseguirsi di istanti ed emozioni, che non potrebbero avere luogo in un altro momento, un altro spazio, su altre note". Gabriella e Matteo, il marito, hanno ballato insieme per molto tempo, esibendosi con le scuole in tanti teatri della regione e anche per strada, quando frequentavano la Streetango. "Ma abbiamo studiato anche in Grecia, Argentina e Uruguay. Il Sudamerica l'abbiamo visitato con il nostro maestro, abbiamo ballato in moltissime milonghe e abbiamo avuto la conferma: il tango è un linguaggio universale. L'unico problema è che avevo qualche problema a farmi invitare a ballare", sorride Gabriella. Il tango, infatti, prevede una serie di accorgimenti sui quali è impossibile transigere: le ballerine stanno sedute ai lati della pista, guardano danzare e sorridono. Il primo approccio è dell'uomo, che inizia a guardare la ballerina che intende invitare finché non incrocia il suo sguardo: si chiama "mirada". Solo a quel punto, l'uomo fa un cenno con il capo ("cabeceo") come a chiedere "balliamo?", e la ballerina accetta con un cenno della testa. L'uomo si alza e va verso la ballerina, fermandosi ad aspettarla nella zona vicina al tavolo. Si incontrano qui. Dinamiche e regole che, se sei una ballerina cieca, difficilmente potrai seguire: "Per sorridere, io sorrido sempre. Ma è chiaro che io non mi accorgo se qualcuno mi invita a ballare: così, un sacco di inviti cadono nel vuoto. Mio marito mi aiuta, magari facendo capire che sono cieca. A quel punto, quando un ballerino si accorge che non vedo, possono capitare due cose: c'è chi fa un passo indietro, spaventato, forse per paura di rompermi o farmi male. Ma c'è anche chi, invece, non si cruccia e mi porta in pista. Una volta che uno sa ballare, cieco o no, diventa come tutti gli altri tangueri".
Matteo è stato partner di ballo di Gabriella per parecchi anni. Poi, dopo una serie di stop legati a motivi personali, Gabriella ha ripreso a ballare con un altro ragazzo, conosciuto in una milonga, proprio Leonardo Ventura, con cui si è esibita al Festival delle abilità differenti: "Mi invitò a ballare, mio marito gli spiegò il mio "problema", e lui non si tirò indietro. Sentimmo subito di avere molto feeling e quando scoprii che era anche un attore, pensai: è fatta. Lo spettacolo che avevo in testa da mesi avrebbe finalmente potuto prendere corpo". Dopo l'esibizione a Correggio, l'obiettivo è riproporre la performance in altri concorsi e kermesse: "Al Festival abbiamo portato una versione ridotta di 15 minuti, ma vorremmo svilupparlo. Chissà che, con un po' di coraggio e tanta forza di volontà, non ci riusciremo davvero".

David e Adrienne, l'anima della band americana "Flame"

David LaGrange nacque a Gloversville, Stato di New York, cieco e con una disabilità mentale. Dopo avere vissuto con i genitori fino ai 3 anni, fu dato in affido ad alcune famiglie della contea di Fulton. A 14 anni entrò nell'Istituto per ciechi di Batavia, dove imparò a suonare la batteria. Decise che avrebbe voluto far parte di una band e incidere un album. I suoi insegnanti, però, scrissero in un report che cullava ambizioni troppo grandi e che, prima o poi, avrebbe dovuto fare i conti con la realtà. Dopo il diploma, tornò a Gloversville, senza smettere di credere nei propri sogni. Lì, insieme ad un'agenzia che sostiene persone con disabilità, nel 2003 fondò la "Flame", una band completamente composta da persone con disabilità, tra sindrome di Down, ritardi cognitivi, autismo, paresi cerebrali e cecità. La "Flame" in questi primi 15 anni di attività ha girato il mondo, dal Partenone di Atene all'Apollo Theater ad Harlem: ha anche cantato al funerale di Eunice Kennedy Shriver, fondatrice di Special Olympics, associazione sportiva internazionale che organizza i Giochi Olimpici Speciali. È stato proprio David a scegliere il nome, "Flame", ispirandosi alla torcia olimpica e ai valori che rappresenta. E proprio la "Flame" ha partecipato, in qualità di ospite internazionale, al Festival delle abilità differenti. "Sono contentissimo quando chi ascolta la nostra musica si sente felice" racconta. "Voglio che la torcia della speranza continui ad ardere. La nostra disabilità non ci fermerà, andremo avanti perché desideriamo che sempre più persone possano vedere quello di cui siamo capaci". Con lui sul palco altri 9 elementi, tra cui Adrienne Phillips, anche lei cieca dalla nascita. A 3 anni cominciò a suonare il piano, e dopo poche lezioni era già in grado di insegnarlo agli altri: a 5 anni la prima esibizione e il desiderio fortissimo di entrare in un gruppo: "Per entrare a fare parte della "Flame" ho fatto un provino stile American Idol" ricorda. "Amo stare sul palco, viaggiare e conoscere nuove persone. Non smetterò mai di condividere il mio amore per la musica".



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