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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Corriere dei Ciechi

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Numero 1 del 2017

Titolo: ITALIA- A tu per tu con Gianfranco Berardi

Autore: Carmen Morrone


Articolo:
Un talento emergente del teatro contemporaneo italiano si racconta
Attraverso giochi di parole sovverte i luoghi comuni, svela le ipocrisie, inchioda alle proprie responsabilità. Scardina ossimori, monta metafore a partire dalla realtà, a cominciare da quella che gli appartiene: la cecità. Gianfranco Berardi, 39 anni, commediografo e attore, non vedente dall'età di 18 anni, è definito dalla stampa talento emergente del teatro contemporaneo italiano. I suoi testi sono al di là di qualsiasi buonismo, al di là della disabilità. La cecità è una metafora - la prima metafora - che è autentica nelle parole e nei gesti del teatro di Berardi. Gianfranco Berardi non è al passo con i tempi, è avanti. Nel senso che dà l'idea di un artista che corra veloce in avanti per scrollarsi di dosso quello che ha visto (sì) e sentito andando in giro per l'Italia. Gianfranco assorbe dalla quotidianità vissuta in mezzo alla gente le parole e le emozioni che recita sui palcoscenici italiani e internazionali. A un certo momento, però, il girovagare si fa corsa quando l'ambiente che gli sta attorno è sentito affollato, non più soltanto popolato, quando il mare si trasforma in fogna, quando il silenzio è un vuoto, quando il fondo sta negli occhi. È il momento di uscire dal quadro. E osservare. Osservare nel significato autentico del termine. Ob-servare - dalla lingua latina- che può tradursi: nella direzione di salvare. Come dire: verso la salvezza. Impegnativo. Eppure Gianfranco lo fa. Indaga quello che si muove dentro le persone. Analisi e riflessioni che continuano a essere attuali e i suoi testi continuano ad avere lo stesso slancio. Indagini di cui ti accorgi solo quando ti presenta il conto. Perché Gianfranco ha il dono della leggerezza. Che come diceva Italo Calvino, è l'operazione che sottrae peso, non valore.
Gianfranco Berardi insieme a Gabriella Casolari attrice, autrice e regista, ha fondato quasi vent'anni fa, la compagnia Berardi-Casolari. Dal 14 al 19 febbraio, la Compagnia sarà in scena a Milano, al Teatro dell'Elfo-Puccini, con lo spettacolo "La prima, la migliore". "Il Corriere dei Ciechi" ha incontrato Gianfranco Berardi a dicembre, al Teatro Arena del Sole di Bologna, dove ha messo in scena, per la giornata mondiale della disabilità, lo spettacolo conclusivo del laboratorio teatrale "I figli della frettolosa" promosso dalla compagnia Berardi-Casolari, in collaborazione con l'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti di Bologna. Una chiacchierata che ripercorre gli esordi, che passa attraverso la poetica e che approda ai nuovi progetti.

D. Com'è nata la compagnia teatrale Berardi-Casolari?
R. Ho incontrato Gabriella Casolari mentre lavoravo nella produzione "Viaggio di Pulcinella alla ricerca di Giuseppe Verdi" di e con Marco Manchisi. A lei ho parlato di un testo che avevo scritto e che volevo mettere in scena ma non sapevo come fare. Lei ha deciso di darmi una mano. Abbiamo lavorato due anni su quel testo e il 3 maggio 2003 ha debuttato a Gattatico (Reggio Emilia) lo spettacolo Briganti che è stato il nostro cavallo di battaglia.

D. Di cosa tratta Briganti?
R. Erano i primi anni 2000 e si parlava di guerra preventiva. Era la guerra preventiva che gli USA portavano all'Iraq. Volevo trattare questo tema, non sapendo però da cosa cominciare, decidemmo di farlo attraverso qualcosa di vicino alle nostre radici. E pensammo alla conquista del Sud Italia da parte del Nord Italia in epoca risorgimentale.

D. Briganti è un testo corale, recitato da una sola persona. Ci può spiegare?
R. Accendo una piccola torcia e illumino il lato destro del viso quando recito Ciro, il lato sinistro quando sono Rocco e frontalmente quando sono Ciccio Savino, il protagonista. Anche le scene di guerra sono rappresentate da me che mi muovo sul palcoscenico e uso una sedia come metafora di oggetti e persone. In questo testo i giochi di parole sono piuttosto incontri-scontri fra lingue-dialetti diversi, quello del Sud e quello del Nord. Da cui nascono fulminanti incomprensioni con esiti letali.

D. Qual è la vostra poetica?
R. Le nostre sono "tragicommedie" in cui la miseria del vivere diventa spunto comico e la leggerezza veicolo per la riflessione. Non ci piace dividere il popolare dal colto, il contemporaneo dal tradizionale, il divertimento dalla riflessione. Non facciamo teatro sociale. Ci piace parlare dell'essere umano, dei cortocircuiti che ci sono nella società. Per non essere retorici occorre essere precisi quando si parla. Ecco perché presto, prestiamo molta attenzione alla scelta delle parole. La lingua italiana è ricca di espressioni, una miniera inesauribile.

D. Nel 2010 mettete in scena Land Lover?
R. Il testo è nato dall'esperienza di viaggiatore, diretta o indiretta. Girando a caccia di una guarigione mi sono ritrovato in situazioni in cui la ricerca spasmodica del benessere portava me e le persone come me accecate dalla necessità, verso una condizione di cecità appunto nella quale l'ansia del miracolo escludeva ogni possibilità di ascolto, incontro e confronto. E poi il viaggiatore approdava nelle "Terre dell'amore", come Cuba o la Thailandia, dove tutto era possibile senza sforzo. A un certo punto mi sono reso conto che queste dinamiche non erano confinate allo scenario dei viaggi, venivano messe in scena nella vita di tutti i giorni.

D. Che cosa accade in Land Lover?
R. Land Lover è la terra dell'amore, un'isola dei sogni, dove tre personaggi stravaganti (una donna new age, un imprenditore ed un transessuale) si recano al cospetto di un santone. Tutti i giorni fanno la fila per andare al suo cospetto ed è lì che accadono i loro incontri-scontri. Uno scenario in cui comicità e tragedia si confondono. Un epilogo in cui ciascuno di loro sarà messo davanti alla paura, il più grande nemico dell'uomo.

D. Avete vinto diversi premi, uno degli spettacoli che ha ricevuto più riconoscimenti è "Io provo a volare - omaggio a Domenico Modugno".
R. In questo caso al gioco di parole si aggiunge un gioco di specchi. "Io provo a volare" è quello che i giovani dicono e fanno quando iniziano un loro percorso per realizzare un'idea, un sogno. Quando cercano di fare la professione che amano. È così che molti ragazzi del Sud lasciano il proprio paese ed emigrano al Nord, all'estero. Come ha fatto Domenico Modugno, persona in cui tanti si vedono riflessi, in cui si identificano. Che ce l'abbiano fatta o meno. Modugno come mito, come leggenda, le cui canzoni punteggiano la storia del protagonista del monologo. A volte la sottolineano per contrasto, altre per solidarietà. È un lavoro sulla speranza che non va alimentata, va proprio costruita.

D. Senza speranza invece, sembrano essere Tiresia e Italia, i protagonisti di "In fondo agli occhi"…
R. Questo lavoro nasce dall'esperienza personale mia e di Gabriella sempre in giro per l'Italia, soprattutto in quell'Italia della provincia dove ci capita di sederci a un bar in cui possiamo ascoltare e vedere la quotidianità. Il testo raccoglie tutto questo. Italia è una barista di mezz'età, single dopo essere stata lasciata dal marito che ha preferito una ragazza dell'Est; Italia adesso sta con Tiresia, suo socio, che accudisce come un bambino. Un bambino nell'anima, negli occhi che sa ancora cogliere i paradossi. Questo spettacolo è diretto dal regista Cesar Brie che ha accettato di lavorare su questi temi. Senza speranza? Mi chiede… Continuiamo a sederci in quei bar che continuano a restituirci una visione del Paese ben diversa da quella che i mass media si sforzano di dare.

D. Immaginavate di portare in scena per così tanti anni il lavoro "La prima, la migliore"?
R. Purtroppo è un testo che continua a essere attuale. È una riscrittura del romanzo "Niente di nuovo sul fronte occidentale" di Erich Maria Remarque. Il titolo "La Prima, la migliore" è spiegato subito all'inizio dello spettacolo quando due politici-imbonitori per convincere i giovani a diventare soldati definiscono la prima guerra mondiale "La Prima, la migliore" nell'ambito di un discorso che pare uscito dall'ufficio marketing. Un'oratoria di ieri che è uguale a quella di oggi. Consiglio la lettura del romanzo di Remarque. È un testo lontano nel tempo, ma non per questo ce lo possiamo dimenticare. Quando una cosa non si vede, è come se non esistesse - detto da me!. Ecco quando la storia si fa remota, diventa inesistente. Oggi, ad esempio, abbiamo spostato il fronte di guerra 100 km più a sud e la guerra non la vediamo, ma non per questo non siamo in guerra.

D. Il 4 dicembre a Bologna, in occasione della Giornata mondiale della disabilità, è stato portato in scena lo spettacolo esito del laboratorio "I figli della frettolosa".
R. "I figli della frettolosa" è un progetto di formazione teatrale rivolto ad attori ed aspiranti tali, di qualunque provenienza ed età, con una particolare attenzione a persone con disabilità visive, interessate all'arte scenica intesa come scrittura, recitazione e regia. Il lavoro si sviluppa in forma di laboratorio teatrale, di circa dieci giorni di lavoro, finalizzato alla messinscena di un evento in cui i partecipanti, non vedenti, ipovedenti e normodotati, affrontano il tema della diversità, della crisi e della perdita, sia come racconto autobiografico, sia come metafora di una condizione esistenziale cieca. Lo spettacolo di Bologna è il risultato di un lavoro svolto con sei persone non vedenti in collaborazione con l'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti di Bologna. hanno elaborato e raccontato le loro vicende personali all'interno di un testo che ha spaziato sui luoghi comuni, sulle superficialità, sulle cattive prassi.

D. Come è nata l'idea di questo laboratorio?
R. Nell'ottobre 2015 abbiamo intrapreso un primo esperimento all'interno di un programma di lettura digitalizzata per non vedenti in collaborazione con la Fondazione LIA-Libri Italiani Accessibili dove un laboratorio di creazione e messinscena ha prodotto un evento finale che ha visto la partecipazione di tre attori non vedenti, un ipovedente e altri due attori. L'esperienza ha avuto un buon successo e si è pensato di fare un progetto di laboratorio teatrale che ha avuto la sua conclusione con lo spettacolo messo in scena a Bologna.

D. Lo spettacolo e i suoi temi hanno avuto successo di pubblico e di critica. Diventerà il vostro prossimo lavoro?
R. Magari. La creazione di un nuovo spettacolo richiede tempo e risorse finanziarie. Il tempo da dedicare al nuovo progetto dipende solo da noi. I denari invece… cerchiamo finanziatori.



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