Numero 4 del 2016
Titolo: RUBRICHE- Segnalibro
Autore: a cura di Renato Terrosi
Articolo:
"Novantuno" poesie di Vezio Bonera
Parlare del Bonera poeta non può prescindere dal parlare del Bonera narratore, e questa è una certezza. Le sue liriche risentono inevitabilmente di quanto ha narrato in prosa, e della prosa in versi spesso hanno l'aspetto. La rima non è sempre presente, e quasi del tutto assente è il ricorso ad artifici retorici: un lessico semplice e immediato fa da tramite a immagini precise, piccole istantanee con le quali l'autore imprime nella pagina scene di vita quotidiana, memorie, emozioni e sensazioni che da private si fanno pubbliche. All'acuta osservazione della realtà che caratterizza molte delle liriche di "Novantuno", spesso accompagnata da una più o meno velata critica sociale, si affianca il puro divertissement dell'uomo calato nelle più prosaiche questioni mondane. Due esempi, su tutti: il clochard e la prostituta di Sabato notte ("Sola, a un angolo della piazza, / nel proceder lento dei minuti, / fumando infreddolita, una ragazza / in attesa è un po' nervosamente / che si fermi da lei una vettura.
Così come nei romanzi, in cui, partendo da storie reali, Bonera dà vita a vicende delicate e appassionanti sull'onda dell'invenzione verosimile, anche nelle liriche è forte l'attaccamento a una quotidianità fatta sia di piccoli gesti che di grandi questioni. Con la leggerezza e la pacatezza che lo caratterizzano, infatti, invita il lettore a riflettere su problemi che leggeri invece non sono, o a considerare le cose da un punto di vista (il suo) privilegiato, perché ormai abituato a guardare il mondo con altri occhi, quelli del cuore e della mente. Occhi saggi, i suoi, che anche quando danno consigli non lo fanno mai con saccenza ma con eleganza e gentilezza, le stesse che lo caratterizzano come uomo, prima, e come scrittore, poi. Ché Vezio Bonera, come ho avuto modo di dire anche qualche mese fa in occasione della presentazione del suo ultimo romanzo, è uno Scrittore di quelli con la esse maiuscola, quelli che attraverso le proprie pagine, siano in prosa o in versi, inventate o reali, serie o divertenti, hanno sempre qualcosa da dare, insegnamenti di cui far tesoro, idee da sviluppare. È per questa ragione, credo, che le sue migliori prove da poeta sono quelle in cui, smessi gli abiti del narratore e forte di quell'esperienza che solo l'età può fornire, vuol trasmettere agli altri un pizzico della propria visione del mondo, che poi è semplicemente un saper vivere con misura, bontà e un pizzico d'audacia. Si leggano, ad esempio, l'ultima strofa di Mi piacerebbe ("Amerei che in Italia tutta la gente / sapesse che per far felice il cuore / bastano tre parole solamente: / speranza, amicizia e amore") o la breve Coraggio e paura ("L'uomo ha due diversi sentimenti, / che sono la paura ed il coraggio, / che si alternano in vari momenti. / Disse un uomo ch'era molto saggio / d'aver coraggio paura non avere / e di avere paura abbi sempre coraggio. / Questa è cosa buona da sapere"). Ancora sull'onda dell'invenzione, che poi tale non è mai del tutto perché trae sempre una più o meno evidente ispirazione da fatti concreti, Bonera dà vita a una serie di personaggi che, rappresentati icasticamente nei suoi versi, diventano veri e propri simboli dei vizi e delle virtù dell'uomo di ogni tempo: il sopravvissuto alla guerra che ha visto cadere i propri commilitoni, i cacciatori di allodole, il vecchio professore di violino, il futile che ambisce alla carica di "presidente", il pescatore, il giovane immigrato o la signora gentile che aiuta un anziano in difficoltà. Tutti loro, in un modo o nell'altro, partecipano o hanno partecipato alla quotidianità dell'autore, che li guarda e li racconta con benevolenza, consapevole che: "Siamo uomini e qualche debolezza, / se con moderazione praticata, / anche se è un peccato capitale, / suppor si può con ragionevolezza / che verrà con clemenza condonata".
Bonera riserva, infine, un posto del tutto privilegiato a quella che considera, a ragione, l'essenza di ciò che era e di ciò che è diventato: la sua famiglia. Una famiglia "un po' patriarcale", come egli stesso ammette, che lo sostiene ora come lui l'ha sostenuta in passato. Una famiglia numerosa e accogliente, piena d'orgoglio per quel padre, nonno e bisnonno che mai ha ceduto il passo agli anni o ai colpi del destino ma che, al contrario, da quanto ha vissuto ha costruito un qualcosa di unico e prezioso.
Silvia Beldinanzi
Amicizia e ammirazione
Ho avuto il piacere di presentare quasi tutti i libri di Vezio Bonera. Così sono nate amicizia e ammirazione.
Ma l’ammirazione può essere pericolosa, così questa volta, ho preferito lasciare la "parola" alla bravissima Silvia Beldinanzi, Editor di tutte le opere del carissimo Vezio.
Dopo un ventaglio di avvincenti romanzi, lo scrittore Milanese, ci ha donato poesie, (tra le tante ho scelto, "Coraggio e Paura".
Solo sette versi, ma quanto mai significativi. Sono quasi coetaneo di Vezio (io alcuni anni in più), entrambi abbiamo la vista pressoché latitante, coraggio e paura, non mancano.
Renato Terrosi
Coraggio e paura
L'uomo ha due diversi sentimenti,
che sono la paura ed il coraggio,
che si alternano in vari momenti.
Disse un uomo ch'era molto saggio
d'aver coraggio paura non avere
e di avere paura abbi sempre coraggio.
Questa è cosa buona da sapere.
Vezio Bonera è nato a Milano nel 1924. Laureato alla "Bocconi", ha svolto la sua attività lavorativa in qualità di dirigente amministrativo. A ottantuno anni, ha pubblicato il suo primo romanzo, Scrigno di latta, cui hanno fatto seguito Serenata a un angelo (2010), Tessere di un mosaico (2011), Pentagrammi musicali (2012), Un soffitto lucente di stelle (2013), Quella notte su Facebook (2014) e La nostra forza (2015). Novantuno è la sua prima silloge poetica.
" Novantuno"
Di Vezio Bonera
"Ognuno Potrebbe" di Michele Serra
"Sono nient’altro che me stesso in tutta la mia inerte normalità, in un istante casuale tra i tanti che compongono la mia vita."
Non sono pochi oggi quelli che si accontentano di conoscere gli eventi che li attendono con ansia, ma non li vivono.
Siamo a Capannonia, un luogo, anzi come obbietta Ricky, il compagno di lavoro di Giulio Maria, interprete del libro di Serra - un non luogo.
In ogni caso il non luogo è l'habitat dello sconsolato rimuginare di Giulio. Anche il protagonista sa che a Capannonia "ognuno potrebbe". Testimone di questa opzione è la professoressa Oriani, settantenne ex insegnante al liceo di Giulio, appartenente ad un pensiero irriducibile, di una capacità seriale mediatica alternativa - il libro, la fatica scolastica, l'appartenenza al mondo della cultura - armata di un pensiero stringente agli antipodi dell'egoico quanto vuoto e superficiale motto "a me non la danno a bere" dei compaesani di Capannonia che Serra porta sulla scena. Anche a Giulio capita di perdersi, girando a vuoto alla guida intorno alle "rotonde" tentazioni della modernità, così da perdersi vicino a casa. "Mi sono perso a pochi chilometri da casa lungo le strade che percorro da una vita". E di ritrovarsi al luogo di partenza.
Il filo conduttore che collega questo romanzo, è evidente: la sfrenata ossessione egocentrica che domina l’esistenza degli esseri umani, così concentrati su loro stessi da non riuscire a pensare ad altro.
Michele Serra descrive una carrellata di personaggi, situazioni e non-luoghi dell’odierna società, in un viaggio senza partenza né arrivo.
E gli smartphone diventano egòfoni, l’utilizzo compulsivo e narcisista viene chiamato digitambulo e, se per caso va a sbattere contro un palo o un ciclista mentre è assorbito in questa attività, gli viene diagnosticata la Sindrome da Sguardo Basso.
In un mondo dove tutti cercano di essere qualcuno, ognuno potrebbe essere nessuno, restando pur sempre se stesso. Ma solo Giulio Maria lo fa, con sorprendente naturalezza.
"Ognuno potrebbe"
Michele Serra