Numero 4 del 2016
Titolo: RITRATTI- I bambini di Napoli
Autore: Ida Palisi
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Tutto fermo nell'assistenza, mentre nella ricerca e nella cura delle patologie visive si fanno passi da gigante. Napoli, come sempre, è la città delle contraddizioni. Sconta i tagli di risorse al welfare e, allo stesso tempo, può contare su centri all'avanguardia per la prevenzione e la cura delle malattie della vista. "Alla Clinica Oculistica della Seconda Università di Napoli - spiega il direttore, la professoressa Francesca Simonelli - hanno sede il Centro di ipovisione e riabilitazione visiva della Regione Campania e il Centro Studi Retinopatie Ereditarie. In questi centri il paziente è preso in carico in un regime di day hospital ed effettua in giornata tutti gli esami clinici oculistici necessari alla diagnosi. Laddove si tratti di malattie genetiche, perché molte cecità infantili sono di questa natura, si provvede all'esecuzione del test genetico per il riconoscimento della causa della malattia. Allo stato attuale per molte malattie che portano all'ipovisione e alla cecità non esistono terapie efficaci ma solo la possibilità di rallentare il decorso della patologia con integratori e vitamine ad hoc. Soprattutto per i piccoli pazienti è molto importante l'aspetto della riabilitazione visiva. In assenza di una terapia specifica, il piccolo paziente è preso in carico al centro riabilitazione visiva composto da un'équipe che include una psicologa, con il compito di effettuare una mediazione con la famiglia, con le insegnanti di sostegno della scuola, cercando di definire meglio le problematiche visive del bambino. Un'altra figura importante del Centro di Riabilitazione è l'operatore di mobilità che insegna al bambino a muoversi in autonomia, con l'ausilio del bastone e di esercizi che consentano di usare gli altri sensi al posto della vista. Le figure poi dell'oculista e dell'ortottista servono a indicare gli ausili ottici adatti laddove sia possibile per cercare di potenziare al massimo il residuo visivo del piccolo paziente, come video-ingranditori, lenti telescopiche, etc.". Sono tra i trecento e i quattrocento i bambini che vengono seguiti dai centri della Seconda Università di Napoli, su circa duemila persone ipovedenti e non vedenti inserite nel Registro delle Malattie Rare della Regione Campania e dell'Istituto Superiore della Sanità, che si rivolgono alle strutture della clinica per le terapie. Circa il 40-45 per cento di loro provengono da altre regioni. Il team della professoressa Simonelli ha partecipato alla prima sperimentazione al mondo di terapia genica conclusasi con successo per la cura della Amaurosi Congenita di Leber, insieme al Children Hospital di Philadelphia. "Presso il Centro studi retinopatie ereditarie - conclude Francesca Simonelli - sono in corso una serie di trial clinici, di sperimentazioni a carattere nazionale ed internazionale che ci si augura possano portare nei prossimi anni alla cura di alcune forme di cecità congenita".
Ma se sul fronte sanitario si fanno passi da gigante, lo stesso non si può dire di quello sociale. Secondo l'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti di Napoli, sono una sessantina i bambini e ragazzi non vedenti e ipovedenti che hanno difficoltà per l'assistenza scolastica, soprattutto dopo i ritardi nell'erogazione delle prestazioni dovuti alla trasformazione dell'ente Provincia in Città Metropolitana (cui fa capo l'assistenza per i disabili sensoriali).
"Nel passaggio tra Provincia e Città Metropolitana - spiega il presidente dell'Unione di Napoli, Mario Mirabile - ci sono stati un po' di problemi per capire come gestire l'assistenza. Per il 2014-2015 siamo riusciti ad avere un piccolo finanziamento per l'assistenza da metà aprile a fine anno scolastico, una cosa abbastanza ridicola. Luigi de Magistris come sindaco metropolitano ci disse che si sarebbero attrezzati subito, in modo che da settembre, massimo ottobre, potesse essere attivata l'assistenza per i bambini e che sarebbe partito anche il servizio di trasporto scolastico soprattutto per i due istituti cittadini, il Colosimo e il Martuscelli che nel frattempo - da luglio - è stato commissariato, con la conseguente perdita dell'assistenza per 22 ragazzi. Il 10 agosto fummo convocati dal sindaco che ci rassicurò, ma da allora nulla di fatto". Lo storico istituto "Domenico Martuscelli" rischia addirittura la chiusura per un disavanzo nei conti di 6 milioni di euro. "Ci sono dei bambini che da Melito, Casalnuovo e Pomigliano - racconta ancora Mirabile - devono venire a Napoli perché sono iscritti a scuola qui. Il Martuscelli garantiva il trasporto, li seguiva, dava il sostegno pomeridiano. Chiudendo l'istituto i bambini si sono trovati iscritti nelle scuole della zona senza avere alcuna tipologia di servizio, neanche il trasporto, e non c'era possibilità di cambiare scuola ad anno scolastico iniziato". Irrisoria la cifra prevista per il pacchetto di servizi post scolastici: lo scorso dicembre la Città metropolitana ha stanziato 20 mila euro, il che significa appena 27 ore di assistenza per ogni alunno non vedente. "La Regione ha avocato a sé il problema - dice ancora Mirabile - ma nel contempo non ha soldi, e i 70 milioni stanziati dal Governo per la disabilità non sono arrivati. Ad oggi per i nostri alunni non c'è assistenza né trasporto. Non abbiamo idea di ciò che succederà. Purtroppo la Regione molto spesso stanzia i soldi poi delega agli enti territoriali il compito di fornire i servizi. Così per ognuno dei 60 alunni non vedenti e ipovedenti di Napoli e provincia, dobbiamo cercare una progettualità in cui inserirlo, del comune o dell'ambito territoriale di appartenenza, che hanno ore a disposizione diverse: a Ottaviano dieci ore per un bambino, ad esempio, a Portici sette… E poi c'è un'altra questione che riguarda l'assistenza: i bambini non vedenti hanno bisogno di operatori altamente specializzati, non dell'assistenza domiciliare che gli ambiti invece possono affidare alle cooperative. Occorre una formazione specifica e purtroppo i corsi polivalenti non danno una formazione specifica agli insegnati di sostegno su disabilità sensoriale". Per questo l'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti di Napoli sta mettendo in atto un'ampia strategia per l'inserimento scolastico, interagendo con i consigli di classe delle scuole in cui sono iscritti alunni non vedenti, "che sono disponibili - secondo Mirabile - nel 70 per cento dei casi, a recepire semplici consigli sugli ausili, gli insegnanti di sostegno e quant'altro occorre, anche per formare gli insegnanti di base nell'apprendimento del metodo braille e delle tecnologie assistite. Lo facciamo però con le nostre sole forze. Le scuole dovrebbero fare progetti personalizzati per insegnare a questi ragazzini l'autonomia, anche con attività all'esterno". Una situazione disomogenea è quella che evidenzia anche Silvana Piscopo, responsabile dell'Istruzione per l'Unione di Napoli. "L'inserimento scolastico - spiega - è maggiore se si va in contesti dove sia la scuola che le famiglie hanno strumenti culturali e competenze più alti e attivano altri strumenti di sostegno, come il supporto degli psicologi. Quando il bambino che ha problemi di vista non è motivato dalla scuola e non è molto sostenuto dalla famiglia che non gli dà opportunità anche per problemi economici e carenze culturali, accumula insicurezze e viene emarginato. Quando invece a scuola va bene, si sente più forte, fa più amicizie ed è più autonomo. Inoltre quando la scuola fa il suo dovere e la famiglia è attenta, viene da noi all'Unione per capire quali strumenti adottare per affrontare al meglio le diverse situazioni". Diversa la situazione territoriale a Napoli, con quartieri centrali come il Vomero dove ci sono ludoteche e parrocchie che accolgono anche i bambini non vedenti e altri appena un po' periferici come i Camaldoli, dove non c'è quasi niente. La signora Piscopo spiega anche che un ruolo fondamentale lo giocano le famiglie, spesso troppo protettive. "Il non vedente paradossalmente deve essere lasciato libero più di un vedente, quando non ha la libertà di sperimentare con i sensi residui cresce male. C'è una necessità di formazione delle famiglie ma è molto dura". Lo conferma anche Silvana Paragliola, coordinatrice del comitato genitori dell'Uici di Napoli e madre di due gemelli sedicenni ipovedenti, Francesco e Salvatore, che fa nuoto a livello agonistico. "Il maggiore impedimento dei ragazzi - dice Paragliola - a volte sono i genitori e le famiglie che li frenano, senza rendersi conto che, crescendo, si troveranno in difficoltà. È vero che le prime barriere che incontriamo sono inerenti alla scuola ma molte volte le istituzioni sono un po' prevenute perché i genitori hanno i loro difetti, tendono a proteggere al massimo i figli e a non far vivere loro esperienze che dovrebbero invece fare". Tuttavia anche quando i genitori superano i loro limiti, si trovano di fronte alle carenze del sistema scolastico. "Ci segnalano principalmente l'impreparazione degli insegnanti di sostegno, di quelli di base e dei dirigenti: spesso noi genitori ci troviamo dei muri davanti quando racconti cosa serve a tuo figlio, è come se stessi chiedendo la luna. Un insegnante di sostegno deve essere una persona preparata, sia dal punto di vista professionale che psicologico: quando affianca un cieco non è la stessa cosa di un disabile motorio. Si deve aggiornare, informarsi. E quando un genitore si rivolge alla scuola scelta per fare studiare il proprio figlio, da quel momento in poi si dovrebbe attivare un processo in cui il dirigente si aggiorna e capisce come porsi di fronte a una situazione del genere, avere una sensibilità maggiore, scegliere la classe a cui sarà affidato il ragazzino e le insegnanti in base a caratteristiche specifiche. Purtroppo è anche la legge che è sbagliata, sugli insegnanti di sostegno che spesso considerano il loro ruolo solo come un modo per avere il posto nella scuola".