Numero 6 del 2015
Titolo: Salute- Una ricetta per salvare il cervello
Autore: Amelia Beltramini
Articolo:
(da «Focus» n. 272-2015)
È la malattia del secolo, degrada irreversibilmente le funzioni cerebrali, porta alla demenza e alla morte. Non ha cure, finora. Eppure, gli ultimi studi, a sorpresa, stanno lanciando uno sprazzo di speranza: per diminuire il rischio di ammalarsi di Alzheimer (o per rallentarne il decorso) bastano una dieta come quella mediterranea e una buona dose di attività fisica. Quando due anni fa Scott Turner, direttore del Memory Disorders Program della Georgetown University di Washington, arruolò un gruppo di 125 malati di Alzheimer non grave, prevedeva di sottoporli a una batteria di esami per diagnosticare il diabete o la sindrome metabolica considerata pre-diabete. Turner si aspettava che i malati con queste caratteristiche fossero pochi, e invece la prevalenza di diabete e di sindrome metabolica sommate era del 43%: cioè circa metà dei pazienti di Alzheimer avevano alterazioni diabetiche o prediabetiche, molte non diagnosticate. Che fra le due malattie ci sia un collegamento?, si chiese Turner. E, se sono collegate, la dieta e uno stile di vita sano, che rallentano la progressione della sindrome metabolica nel diabete, sarebbero in grado di ritardare o prevenire anche l'Alzheimer?
Sangue dolce
Turner non è stato il primo a individuare questa associazione con il diabete. Nel 2005 Suzanne de la Monte, neuropatologa dell'ospedale di Rhode Island, aveva scoperto che nel cervello dei malati di Alzheimer le quantità di insulina e di Igf-1, un fattore di crescita simile all'insulina, erano molto inferiori rispetto al cervello dei sani. Poiché le disfunzioni dell'insulina sono implicate in un modo o nell'altro sia nel diabete giovanile (tipo-1), sia in quello adulto da consumo (tipo-2), de la Monte chiamò l'Alzheimer diabete tipo-3. Oggi sappiamo che i diabetici hanno un rischio doppio se non triplo di ammalarsi di Alzheimer (e anche chi soffre di sindrome metabolica o è obeso aumenta le proprie probabilità). La forma di Alzheimer più comune insorge in età avanzata, dopo i 60 anni. Può esserci una maggiore predisposizione legata ad alcuni geni, ma la diagnosi certa si ha soltanto dopo la morte del paziente, con l'autopsia che registra la presenza di placche (di beta amiloide) e fibrille (di proteina tau). Nell'Alzheimer in età avanzata, tuttavia, non c'è una stretta correlazione tra le placche e le manifestazioni di demenza, in particolare la perdita di memoria e il disorientamento.
Terapie modeste
Dagli studi di diagnostica per immagini del cervello, infatti, si stima che circa il 30% degli anziani sani, senza segni di demenza ai test neuropsicologici, hanno in realtà dosi massicce di placche e fibrille.
Quello che chiamiamo insomma Alzheimer tardivo, soprattutto dopo i 75 anni, sembra essere fatto di molti sottotipi di demenza mista, di Alzheimer e demenza vascolare: circa metà delle persone che muoiono per Alzheimer portano nel cervello le tracce di un ictus. Sono importanti fattori di rischio il diabete, l'obesità, i danni al sistema cardio e cerebrovascolare, l'ipertensione: la demenza, in altre parole, è un processo che dura tutta l'esistenza, legato all'invecchiamento, ma anche a traumi al capo e allo stile di vita, e cioè alimentazione, attività fisica e fumo. Sul fronte delle terapie invece le armi sono ancora rudimentali. «Oggi manca una cura», dice Robert Sweet, psichiatra e neurologo della University of Pittsburgh. «Ci sono farmaci, forse in alcuni casi rallentano il declino cognitivo, ma il loro effetto è a dir poco modesto». Ma se ha una componente legata allo stile di vita, allora l'Alzheimer può essere prevenuto. E in effetti molti studi dimostrano ormai che una dieta sana riduce il rischio di soffrirne.
Mind o Dash?
Nikolas Scarmeas, della Columbia University, per esempio, seguendo 2.258 newyorkesi non dementi per quattro anni ha scoperto che chi aderiva alla dieta mediterranea aveva un rischio dal 39 al 40% inferiore di sviluppare l'Alzheimer. Se poi alla dieta mediterranea associava l'attività fisica, la riduzione del rischio era del 60%. E chi, nonostante la dieta, si era ammalato aveva un decorso più lento e viveva in media 4 anni più degli altri. A marzo di quest'anno uno studio pubblicato su Alzheimer's & Dementia ha confermato che l'alimentazione ha un effetto preventivo: tra il 2004 e il 2013 Martha Clare Morris, epidemiologa della nutrizione della Rush University di Chicago, ha arruolato al suo studio 923 adulti dai 58 ai 98 anni. Risultato? Chi seguiva una dieta mediterranea aveva un rischio minore del 54% di contrarre l'Alzheimer; chi aderiva alla dieta Dash (Dietary approaces to stop hypertension) per il controllo dell'ipertensione riduceva il rischio del 39% e chi aderiva alla dieta Mind, un ibrido fra la mediterranea e la Dash messo a punto da Morris, aveva una riduzione del rischio del 53%. Tutte e tre le diete sono ad alto consumo di frutta, verdura e pesce. Nella Mind sono compresi 10 gruppi di alimenti favorevoli per il cervello: vegetali a foglia verde, verdure in genere, frutta secca in guscio, frutti di bosco, legumi, cereali in chicco, pesce, pollo, olio d'oliva e vino con moderazione. E 5 gruppi di cibi considerati insalubri: carne, burro e margarina solida, formaggio, dolci e pasticcini, fritti e fast food. «I fattori di rischio per l'Alzheimer sono molti», conclude Morris. «Ci sono componenti comportamentali, ambientali e genetiche. Ma la dieta sembra avere una grande efficacia. E se è vero che prima si comincia meglio è, lo è anche che non è mai troppo tardi per cominciare».