Numero 11 del 2024
Titolo: ARTE E CULTURA- La scomparsa dei colori
Autore: Redazionale
Articolo:
Il nuovo libro di Lugi Manconi
La scrittura, le parole, quelle belle, aprono nuovi orizzonti per chi le legge. È quello che accade nelle pagine di "La scomparsa dei colori" (Garzanti), l'ultimo libro di Luigi Manconi.
Un romanzo che racconta una storia di tutti, sia che ci si veda o che si abbia perso la vista, perché i temi che affronta sono universali. Il senso di sé, i limiti che affrontiamo, le relazioni e il contatto con gli altri. Sociologo, politico, fondatore e presidente di A buon diritto onlus, Luigi Manconi ci parla con intensità, leggerezza e passione del buio nel quale si è trovato a vivere.
D. Lei è uno scrittore prolifico ed eclettico. Cosa l'ha portata a scrivere questo romanzo?
R. Questo non è un romanzo e neanche un saggio come i miei libri precedenti. È un racconto, e più precisamente è il racconto della mia esperienza, del mio percorso verso la cecità. A spingermi e a motivarmi è stata innanzitutto la volontà di comunicare ad altri la mia personale esperienza, sapendo che non è qualcosa di unico e di raro. Al contrario, è una dimensione che riguarda milioni e milioni di persone e che non chiama in causa solo quanti sono ciechi, e già questi sono molti, ma chiunque abbia subito un danno, chiunque viva una condizione di disabilità, chiunque viva un deficit di natura fisica o psichica. Questo, appunto, è qualcosa di comune che vale per tutti e rappresenta qualcosa di tragico. Un'altra motivazione era la volontà di dire che certamente la cecità è un'esperienza tragica e irreparabile, ma non necessariamente disperata. Infatti, anche nella condizione di cecità si possono trovare opportunità e occasioni per fare nuove scoperte, per vivere una nuova coscienza di sé e del mondo e per avere, appunto, esperienze di conoscenza che prima non avevi avuto.
D. Scrive che la lotta può essere un antidoto contro le avversità, ma come trovare la forza necessaria a combattere?
R. Io non ho nessuna ricetta, il mio libro non è una lezione di vita. Insisto su questo punto. Il mio libro è il racconto di un'esperienza. Io non ho un decalogo di atti o di atteggiamenti da proporre agli altri. Quello che ho inteso dire è che la situazione di cecità, come tante altre situazioni di privazione, offre delle risorse e degli strumenti che chi la patisce non sapeva di avere o non aveva avuto prima occasione di apprendere. È la situazione di sofferenza che fa emergere queste risorse e questi strumenti che prima non erano rivelati. È, dunque, un'occasione di conoscenza.
D. Nel mondo contemporaneo la visibilità è sempre più importante. Dai social ai video, l'umanità si rappresenta attraverso la visione. Come si può rapportare con questa realtà chi non vede?
R. Intanto il cieco vede tante cose, molte le immagina, molte le ricorda, e soprattutto elabora più di quanto si possa credere anche attraverso gli altri sensi. L'udito, il tatto, sono sensi che ci consentono di avere una relazione con gli altri, con il mondo, con il paesaggio e la natura. Certamente non annullano il peso tragico e irreparabile della cecità, ma tuttavia consentono di conoscere. Ecco si può dire che anche chi non vede ha una sua visione.
D. La scrittura, invece, forse rappresenta un modo per vedere meglio, per comprendere il mondo, analizzarlo e conoscerlo. Come mai però oggi si legge così poco?
R. Non credo che sia così da oggi. L'Italia è da sempre un Paese di lettori deboli. Gli italiani non leggono, era così vent'anni e cent'anni fa. Certo, è parzialmente vero anche che i giovani non leggono, ma forse perché hanno gli strumenti dell'informatica che consentono loro di apprendere, di conoscere e anche di leggere attraverso tecniche molto diverse. Oggi i ragazzi sono pieni di immagini, la vita dei giovani è pieno di figure e il video è uno strumento di comunicazione e conoscenza prezioso. Vorrei che i giovani leggessero più i libri, proprio quelli cartacei, ma purtroppo non avviene e anche se è un segno dei tempi non propizio, tuttavia penso che abbiano altri strumenti a disposizione per approfondire la conoscenza del mondo.
D. L'intelligenza artificiale rappresenta una risorsa indispensabile per l'autonomia di molti non vedenti. Cosa ne pensa?
R. Sono convinto che siano strumenti preziosi, e mi riferisco anche all'informatica, al computer che moltissimi ciechi e ipovedenti utilizzano con ottimi risultati. Questo non avviene per me, non solo perché sono diventato cieco in età adulta, ma anche per la mia pigrizia e per i miei privilegi, perché posso permettermi di vivere quanto l'informatica offre attraverso l'aiuto dei miei assistenti e con il sostegno della mia vita sociale. Non è un vanto il mio, vorrei poter manovrare il dragon e gli altri software che ci sono a disposizione, ma alla fine non sono mai riuscito a imparare quando avrei dovuto. Così mi sono trovato a ricorrere alle risorse umane che il mio status e la mia attività pubblica, politica e sociale mi permettevano, ma penso che l'informatica e la tecnologia siano risorse molto utili per tutti.