Numero 11 del 2024
Titolo: ATTUALITÀ- Ironicamente Social
Autore: Alessio Tommasoli
Articolo:
Intervista a Marco Andriano, il cieco più famoso d'Italia, dice lui, perché altri non ne ha visti
Immagina di essere al primo giorno delle superiori, non conosci nessuno e stai per entrare in una nuova classe, ma devi farlo con il tuo bastone bianco: per te, un intruso, per i tuoi compagni, un elemento disturbante e, per tutti, qualcosa che ti caratterizza a tutti gli effetti come un cieco.
"Ma io l'ho usato fin da subito per fare qualsiasi tipo di scherzo", racconta ridendo Marco Andriano, "per infastidire i compagni da dietro nei banchi, per appiccicare post-it sulle pareti della classe, insomma, per fare delle cavolate che non avevano alcun senso". O forse, invece, ne avevano, e anche tanto, perché "questo è stato un grande modo per vivermi meglio la presenza del bastone, facendolo accettare a me stesso e agli altri come un elemento qualsiasi, un semplice oggetto, che può scatenare sentimenti e discussioni, ma non deve far nessuna paura".
E da quel primo giorno di scuola, Marco non ha mai smesso di scherzare, passando dalla classe ai social: su Instagram e Facebook, principalmente, ma anche su YouTube e Tik Tok, la sua ironia spontanea si diffonde attraverso la forma del video. Brevi scene di un minuto o poco più (i cosiddetti "Reel") che ritraggono situazioni comiche riguardo la sua disabilità visiva, anche quando partono con un presupposto serio, come quello di rispondere alle domande e alle curiosità dei suoi follower sulla vita quotidiana di un cieco parziale. Video nei quali, in fondo, esprime tutto se stesso, niente più di quello che è nella vita reale: "ho perso quasi del tutto la vista a 4 anni, quindi non ho ricordi precedenti e ho sempre avuto questo carattere ironico, sia sulla disabilità che, in generale, sulla mia vita".
Un'autoironia spontanea e innata, quella di Marco, "uno strumento di autodifesa", come confessa lui stesso, "per anticipare i pregiudizi e le discriminazioni, combatterle prendendosi per primi poco sul serio, per abbattere i muri tra le altre persone e te, vivendo meglio l'integrazione e l'inclusione con gli altri".
E anche questa attività social, prima di essere un lavoro, ha questo slancio, anche se, come racconta Marco, nasce per caso: "lavorando nella comunicazione in una società che si occupa di accessibilità nei giochi, un giorno abbiamo avuto bisogno di un volto di marketing che divulgasse i contenuti e, dopo aver scartato tutti i candidati che si sono presentati, mi sono ritrovato a farlo io, per mancanza di alternative". Mentre racconta, si ferma e ripensa ridendo a qualcosa cui, oggi, non potremmo mai credere: "ero impacciato, imbarazzato e carico di ansia, la persona meno adatta, ma sono piaciuto e, da lì, quei video sono arrivati a degli amici che lavoravano come Social media manager che mi hanno convinto che avrei sfondato anche come profilo personale, ma solo se l'avessi fatto proprio con il mio tono, con il mio modo di fare, quello che ho nella vita di tutti i giorni".
Ovviamente, qualcosa del genere non può realizzarsi così bene solo per caso, ma serve tanta passione: "Ho scoperto che mi piaceva e mi divertiva fare video, portando sui social il mio modo di vivere da persona con una disabilità, fino a diventare una vera e propria passione che ha funzionato, con molta calma, anche a livello lavorativo".
Un'attività di sensibilizzazione, quindi, che diventa un lavoro vero e proprio: "pubblico video con una cadenza regolare, un contenuto ogni due giorni, è un ritmo che sostengo anche in accordo con la mia social media manager, una figura fondamentale su cui inizialmente ho investito, quando ancora non guadagnavo nulla dalla mia attività, ma è stata ed è fondamentale, perché non gestisce solo le mie pagine social, ma mi fa da videomaker e da editor dei video". D'altronde, quando si ha una passione è giusto investirci denaro e, soprattutto, tempo, come fa Marco, rispondendo alle tante domande che gli arrivano quotidianamente: "ricevo una ventina di messaggi al giorno, un 80% sono commenti e cavolate, ma un buon 20% sono domande impegnative di persone che hanno una disabilità o sono caregiver di persone con disabilità, che mi ringraziano o mi chiedono consigli su come affrontare certe situazioni". Un ruolo che va oltre la sensibilizzazione: "alcune di queste domande sono davvero difficili da gestire, perché hanno un peso psicologico che mi costringe a prendermi del tempo per ovviare a questa responsabilità, sempre consapevole che i miei non sono consigli veri e propri ma piuttosto esempi di come affronto o affronterei certe situazioni".
Se sono così tante le persone che fanno affidamento su di lui, non è solo per la sua intelligenza e sensibilità, ma anche e soprattutto per la sua spontaneità, nonostante ammetta che "quello che trovate di me sui social è solo il 10% di quello che sono veramente". Certo, quel 10% è tanto spontaneo da farti capire subito che la sua ironia non ha niente di costruito, è sincera come le sue risposte. Anche alle domande più gravi, come quella sulla sua vista: "qualcuno una volta mi ha chiesto cosa farei se un giorno venisse un medico con una siringa a dirmi che con quella può farmi tornare a vedere", racconta limitando impercettibilmente la sua risata, "io gli direi di no, che ci devo riflettere molto, molto a lungo, perché il mondo che conosco da sempre è fatto così, ci vivo bene e mi piace così com'è". Si ferma un attimo, prima di far riesplodere la sua risata contagiosa, concludendo: "poi c'è anche il problema della siringa!".