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Corriere dei Ciechi

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Numero 11 del 2024

Titolo: ATTUALITÀ- Il nostro corpo

Autore: Silvia Avallone


Articolo:
La libertà, un diritto di tutte

Ida Ramundo, la maestrina. Cito alla lettera Elsa Morante: "denutrita" e piena di "soggezione spaurita". La vediamo per la prima volta nella Storia che rincasa, nel gennaio del 1941, infagottata in un "cappottino marrone da vecchia" che la avvizzisce ancora di più, ma lei, vedova e di una certa età, ha il dovere di passare inosservata. Che non si pensi che è una donnaccia.
Ossia una che se la gode, che sgarra, che si ribella. Una donna come Emma Bovary o Anna Karenina, per intenderci, una di quelle che dicono: a invecchiare inchiodate all'angolo del camino ci state voi, io voglio vivere!
Ma Ida l'eroismo del dispregiativo non ce l'ha. D'altra parte, mica possiamo essere tutte eroine letterarie e morire atrocemente per restare nella Storia, o no?
Questa donna comune, con pochi soldi, con un figlio; Iduzza che, nell'intimità, custodisce due colpe che le paiono gigantesche: l'epilessia, la madre ebrea. Due maledizioni nel sangue, anche se la vera maledizione è la Storia. Ma lei non lo sa. Si sente colpevole come tutte noi, che abbiamo sempre delle vergogne da nascondere, incise nella carne, che si manifestano attraverso ormoni, mestruazioni, menopause: impurità che ci schiacciano a terra, nel basso, nel meno. Mentre la Storia si ammanta di grandi discorsi, decisioni epocali, leggi. E Ida, e io, e noi, siamo solo donne con il destino deciso dal corpo. Come tutte le protagoniste dei romanzi di Elsa Morante, siamo fiori: dobbiamo sbocciare, attrarre le api, venire impollinate, e poi cadere a terra con i nostri petali. Nemmeno animali: piante. Come le piante: mute.
Eppure Ida Ramundo, per quanto sfiorita e dimessa, resta preda. Ha questa colpa di essere donna, e pure per metà ebrea. Sgattaiola veloce su per le scale perché c'è la guerra, ci sono le leggi razziali, e il mondo, per una femmina, è un gigantesco agguato.
Che ne sa Ida della guerra e delle leggi razziali e del loro perché? Oltre al fatto che deve portare a casa la pelle, Ida, che ne sa? Della Storia che l'aspetta acquattata nell'androne del suo palazzo e che ha le sembianze di un poveraccio, un ragazzino tedesco che conosce in tutto 4 parole d'italiano?
Si era sposata a 18 anni, a 22 ha avuto un figlio. Di lavoro fa la maestra, perché è questo che devono fare le donne, no? Prendersi cura dei bambini. Il mondo l'ha visto per modo di dire: dal tragitto da casa a scuola non bisogna deragliare mai. Mica sei un uomo che puoi andare dove vuoi. Se sei donna devi stare nei binari, occhi bassi, orecchie dritte, e tenere sempre nello sguardo una via di fuga. Se sei donna sai che devi stare rasente i muri, con le gonne lunghe e il seno coperto, perché la Storia ti può azzannare a ogni angolo. Ma azzannare non è la parola esatta, perché la Storia non si limita a mordere e a farti male e a farti a pezzi. La Storia vuole insinuarsi in quel luogo interno, intimo e ancestrale che Ida, io e tutte noi possediamo. Un luogo che può ospitare un bambino, o un altro sogno, un altro azzardo. Ecco, la Storia vuole arrivare lì e devastarlo. Annientarci l'anima, la libertà e la voce e, non paga, rincarare la dose: siamo state noi a stuzzicarla, a non provare abbastanza paura, a non ubbidire, a non difenderci, a non restare in silenzio, in un angolo, chiuse in casa, a incassare.
Mia nonna è rimasta in silenzio per ottant'anni. A fare l'uncinetto con le mani nervose, incassando con metodo. Non ha studiato perché le donne nell'Italia di Ida Ramundo non studiavano. Di lavorare, nemmeno a parlarne. Anche perché chi li cresceva sennò cinque figli? Cinque, in totale, colossale, solitudine. Mia nonna ha vissuto nel perimetro di sei stanze, che ha tirato a lucido alla perfezione. Ha passato la vita, come centinaia di migliaia di donne, a dedicare tutte le sue energie e il suo amore e i suoi talenti agli altri. Chi fosse lei, nessuno lo ha mai saputo. Non la sentivamo quasi, la sua voce. E poi, malata, sfinita, smagrita fino alle ossa, ha detto basta. Ha parlato.
Dalla sua poltrona, senza più potersi alzare da sola, ha tirato fuori tutta la rabbia, le idee e la protesta che credono non abbiamo in corpo. L'ha gridato: che avrebbe voluto prendersi il diploma, avere un bel lavoro, confezionare vestiti, una sartoria sua, e viaggiare, anche, vedere Roma, Parigi. Mi ha consegnato i suoi sogni mancati e io le ho giurato che non avrei rinunciato ai miei. La sua furia non l'avrei sprecata. Le ho promesso che avrei studiato, lavorato, avuto uno stipendio: così sarei stata indipendente. Le ho promesso che, se avessi avuto dei figli, non avrei comunque rinunciato alle mie ambizioni. Che il mondo lo avrei girato, che mi sarei divertita, mai buona in nessun angolo, mai principessa: strega invece, cattiva, dispregiativa. Una ragazzaccia. Una donnaccia. Libera, fiera.
Nonna, Ida, vorrei dirvi che ce l'ho fatta. In parte sì: ho avuto voi come maestre. Ma in parte no. Ho conosciuto, anche io, molestie e discriminazioni. E poi, se non siamo libere tutte, la mia libertà è monca.



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