Numero 9 del 2024
Titolo: DIRITTI- Assistenza scolastica: un freno dal Consiglio di Stato?
Autore: Carlo Giacobini
Articolo:
Una storia di disabilità e meno ore di assistenza
Questa volta il Consiglio di Stato, il massimo organo della giustizia amministrativa, in altre occasioni applaudito per le sue pronunce, ha non poco irritato un’ampia platea di osservatori, famiglie, associazioni, politici.
Il caso è quello di un ragazzino con disabilità per quale il PEI, il piano educativo individualizzato, ha proposto 12 ore settimanali di sostegno e 13 ore di assistenza scolastica. Il sostegno viene riconosciuto integralmente, mentre l’assistenza all’autonomia viene ridotta a 7 ore. Vista quella riduzione la famiglia ricorre al TAR che le dà torto e dunque si rivolge al Consiglio di Stato.
Il vero oggetto del contendere è uno: la concessione dell’assistenza alla autonomia e alla comunicazione è un diritto incomprimibile all’inclusione scolastica delle persone con disabilità oppure è finanziariamente condizionato?
Il Consiglio di Stato con la Sentenza 7089/24 conclude che quel diritto può essere compresso dalla carenza delle risorse finanziarie a disposizione degli enti locali.
Il Consiglio non considera il differente orientamento della Corte Costituzionale (275/2016), della Corte Europea dei Diritti dell’uomo (10/09/2020) e di vari TAR in ordine sparso.
Una pronuncia che lascia perplessi molti autorevoli analisti e giuristi.
Di certo il Consiglio di Stato lungo tutta la lunga articolazione della sentenza, richiama e riprende quanto già disposto dal legislatore nel 2017: che all’assistenza all’autonomia e alla comunicazione provvedono gli enti locali “nei limiti delle risorse disponibili”. È scritto chiaramente nel decreto legislativo 66 del 2017. Quel decreto, tanto per ricordarlo, è uno di quelli applicativi della più generale riforma ricordata come “la Buona Scuola” e riguarda proprio l’inclusione degli alunni con disabilità.
Se esiste, come riteniamo, qualche problema di legittimità costituzionale questo c’era già nel 2017.
La questione dell’assistenza all’autonomia e alla comunicazione, in realtà, è intrisa di intoppi, carenze, distorsioni, lacune antiche e attuali.
Sorgono allora una serie di considerazioni.
La prima: le risorse. Supponendo che l’assistenza all’autonomia e alla comunicazione sia un diritto incomprimibile e non un interesse soggettivo finanziariamente condizionato, servono stanziamenti certi per garantirlo. Oggi non sembrano sufficienti. Lo Stato spende più di 7 miliardi per i docenti di sostegno, dipendenti del Ministero. Al contempo per l’assistenza - competenza degli Enti Locali - l’ultimo stanziamento statale (decreti di riparto per il 2024) è di circa 224 milioni (103,7 ai comuni, 120,8 alle regioni).
Gli assistenti all’autonomia e alla comunicazione (in sigla ASACOM), stando agli ultimi dati ISTAT, sono circa 68.000.
Va da sé che il costo complessivo è molto superiore ai 224 milioni e, dunque, la spesa residua, verosimilmente quattro volte tanto, rimane a carico degli enti locali.
In questo contesto già da prima della Sentenza in alcuni comuni l’assistenza non veniva concessa, in altri solo parzialmente. Dipende dalla fortuna di vivere in un luogo piuttosto che in un altro. Un quadro plasticamente evidente nelle relazioni ISTAT degli ultimi 10 anni: profonda disparità territoriale. Cosa succederà ora? Molti comuni si sentiranno rafforzati da quella sentenza, ma altrettante famiglie ricorreranno ai TAR che potrebbero avere un orientamento differente.
Restando agli scenari futuri: se l’assistenza scolastica deve essere un livello essenziale (LEP) - qualcuno prima o poi ce lo dirà - occorre immettere proporzionali risorse nel sistema, altrimenti l’affermazione è meramente ideale (se non ideologica). Dunque è necessaria una risposta politica che va oltre la mera indignazione per la sentenza del Consiglio di Stato.
Seconda considerazione. Per prevedere che l’assistenza sia un LEP è razionalmente necessario stabilire con buona approssimazione quale sia il fabbisogno standard credibile. Al momento non abbiamo ancora dei dati precisi e forse nemmeno degli strumenti per stabilirlo, a meno che non si ritenga che il fabbisogno sia la somma delle ore proposte nei singoli PEI.
C’è poi una ulteriore considerazione: ma qual è il profilo e quali sono le mansioni dell’assistente all’autonomia e alla comunicazione? Anche qui ci sono delle responsabilità politiche. Il decreto legislativo 66/2017 (sempre quello) ha previsto una successiva norma che ne definisse appunto il profilo e che finalmente esplicitasse cosa all’ASACOM potesse essere richiesto (e magari cosa fosse di competenza di altri). E quali fossero le sue relazioni con la comunità educante.
Il decreto doveva essere emanato dopo 180 giorni. Dopo sette anni lo stiamo ancora aspettando. Nel mentre le regioni si muovono per conto proprio in modo talora scomposto talvolta con scarse garanzie. Gli assistenti per la comunicazione come devono dimostrare la loro competenza nel Braille o nella LIS? Quali competenze devono avere acquisito per relazionarsi con persone con disturbi del neurosviluppo? Quali sono i confini - auspicabilissimi - con altre figure schiettamente riabilitative?
In assenza di queste indicazioni e della loro condivisione resta tutto molto complicato, inclusa la regolarizzazione degli assistenti (ASACOM).
La quarta considerazione riguarda proprio gli ASACOM. Il loro trattamento è uno degli esempi più amari ed eclatanti di precarietà e disparità nei livelli e nelle condizioni retributive. In Senato giace un disegno di legge (atti del Senato 236) che ne prevede la regolarizzazione. È stato depositato nel 2022, ma di recente ha subito una battuta di arresto con la congiunzione con un altro disegno di legge (atti del Senato 1141). Nella sostanza l’idea è di “statalizzare” la figura dell’assistente all’autonomia e alla comunicazione che diventerebbe dipendente del Ministero al pari degli insegnanti e del personale ATA.
Al di là dei risvolti tecnici e amministrativi, dei relativi concorsi, dei tempi, rimangono almeno tre buchi: le risorse da immettere nel sistema, i profili degli ASACOM, i criteri per il loro impiego più appropriato e congruente.
Questo scenario e le sfide che ne derivano ha necessità di una profonda analisi di sistema, di visione complessiva ma anche di onestà intellettuale capace di contemperare e valorizzare i differenti angoli prospettici senza smarrire l’obiettivo prioritario: l’inclusione le opportunità e la crescita serena delle nuove generazioni, con o senza disabilità.
Se la sentenza (sicuramente suo malgrado) è l’impulso per questa rinascita dobbiamo solo ringraziare il Consiglio di Stato.