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Corriere dei Ciechi

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Numero 9 del 2024

Titolo: ARTE E CULTURA- La dipendenza emotiva da Maurizio De Giovanni

Autore: Carmelo Di Gesaro


Articolo:
Quattro chiacchiere con lo scrittore
Negli ultimi anni, l’Italia ha sviluppato una dipendenza emotiva dallo scrittore napoletano Maurizio De Giovanni. Non ho dubbi nel pensare che il motivo di tale condizione affettiva sia dovuto a una serie di fattori, che passano indubbiamente dal trionfo dei suoi libri, alcuni dei quali diventati anche successi seriali in TV, e soprattutto a un’indiscutibile empatia che traspare in qualsiasi situazione, specialmente davanti a un microfono. Questa straordinaria coincidenza tra bravura, faccia da bravo ragazzo e sorte lo rende, in un paese sempre più a corto di intellettuali, a ragion veduta, l’ospite ideale di una qualsiasi tavolata che si rispetti. Lo scrittore, infatti, è il più classico dei vicini della porta accanto, lo sconosciuto che tutti vorremmo incontrare! L’uomo giusto nel momento giusto, l’amico a cui rivelare ogni nostro segreto, il papà che dispensa saggi consigli per la vita (a tal proposito sono pure sicuro che abbia una grande riserva di sale nelle tasche, pronto a soddisfare ogni nostra richiesta).
A riprova di quanto detto, vi sarete sicuramente accorti che non passa giorno senza che una trasmissione, un giornale, un blog, una tiktoker, un postino o, appunto, una vicina non gli chiedano consigli e pareri su qualsiasi argomento. Le sue opinioni, preziose, sono sempre trasparenti e dirette, un unicum che lo consegna ai riflettori, grazie anche a quel sorriso mai offerto per incantare, una condizione di sincerità visibile e in linea coi pensieri. Un altro fattore che spesso sfugge in quei contesti. L’autore, in effetti, ha una visione spesso netta del paese che frequenta, mettendo in scena idee che palesa senza giri di parole. Non chiacchiere da bar, ma giudizi sinceri sulla realtà. Insomma, tutte qualità che lo posizionano nello scacchiere tra gli intellettuali onesti e liberi nell’espressione del pensiero.
Per questo sono certo che Maurizio De Giovanni, che deve la sua popolarità principalmente a una prolifica carriera da scrittore, con vendite che superano di gran lunga la somma totale della maggior parte degli autori italiani, abbia una fortuna meritata e certamente invidiabile. Soprattutto per chi scrive e non gode dello stesso consenso e vorrebbe carpirne i segreti, i trucchi, il fascino delle parole. Ed è anche per questo che mi convinco sempre più che la dipendenza affettiva da Maurizio De Giovanni, tutto sommato, sia una patologia più che positiva.
Perciò, non volendo essere da meno rispetto alla massa, subendone pure il fascino, in occasione dell’ultimo Salone del Libro di Torino ho provato a intercettarlo per raccogliere una sua testimonianza. L’obiettivo della chiacchierata prefissato era quello di scambiare due parole e provare insieme a costruire un’idea nuova sul sentimento dell’amicizia, prendendo spunto dai suoi libri, in particolare l’ultimo della serie sul Commissario Ricciardi pubblicato con il titolo “Soledad”, per la casa editrice Einaudi.
L’occasione arriva al termine dell’ultimo evento in programma che prevede la sua partecipazione insieme all’imprenditore Oscar Farinetti: la presentazione di Robin Food, un volumetto divertente edito da Slow Food Editore, che racconta la città di Napoli e l’arte di arrangiarsi nel mondo della ristorazione.
D. Maurizio De Giovanni, ci troviamo nuovamente a Torino per il Salone Internazionale del Libro. Come sta andando questa edizione del Salone per lei e come è andato quest’ultimo evento prima di ripartire?
R. A me è piaciuto molto, ci siamo divertiti con Oscar Farinetti. È un mio vecchio racconto che ho dato a Slow Food con gioia e devo dire che è andata bene. In generale, tutti gli eventi sono andati molto bene. Un bellissimo pubblico quest’anno al Salone: tanta gente curiosa, innanzitutto curiosa e appassionata di libri. Quindi, credo che possiamo dirci molto soddisfatti.
D. A me incuriosiva, soprattutto tra i tanti lavori che ha presentato qui, lasciando da parte il calcio, Napoli e la politica per oggi, il lavoro su Soledad, che vede il ritorno in campo, del commissario Ricciardi dopo tre anni, se non ricordo male. Partendo da questo, mi piacerebbe molto conoscere la sua idea sul rapporto fra amicizia e solitudine. Cosa ne pensa e come lo ha esplorato, soprattutto in questo romanzo?
R. Credo che questa nostra epoca sia la più solitaria che si possa ricordare. Crediamo di essere in comunicazione, crediamo di essere sempre connessi, e non è vero. In realtà siamo soli, e lo siamo sempre più spesso. Siamo soli perché tendiamo a mostrarci diversi da quelli che siamo. Quindi, il nostro vero essere vive in assoluta solitudine. Dovremmo riuscire a riguadagnare la voglia di essere noi stessi, con i difetti che abbiamo. Non nascondere i nostri difetti, anzi, difenderli e proporli come parte essenziale della nostra personalità.
D. E la riconoscenza è uno di quei valori che si stanno perdendo?
R. Sì, la mancanza di riconoscenza deriva anche dall’eccessivo peso che diamo a noi stessi. Dovremmo cercare di riguadagnare anche un po’ di stabilità da quel punto di vista.
D. L’ultima domanda e poi la lascio andare, so che è stanchissimo. Non è mancata, ovviamente, la polemica riguardo alla questione della Palestina. È il momento che gli intellettuali italiani (Lei lo fa sempre) prendano posizione sui temi più generali?
R. Io credo che sia necessario. Credo che sia irrinunciabile. Non è più il tempo di stare zitti. Il microfono che lei mi sta porgendo è un’opportunità, sempre. Quindi col microfono in mano noi dobbiamo ricordare che dobbiamo dire le cose che pensiamo e dire le cose giuste. Chi tace in questo momento, probabilmente si assume la responsabilità di un tracollo a cui siamo pericolosamente vicini.



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