Numero 5 del 2021
Titolo: ATTUALITÀ- "Ragazzi interrotti": la storia di Alyssa
Autore: Elisabetta Franchi e Alyssa Bruni
Articolo:
È difficile spiegare, forse anche solo pensare, come una telefonata possa preannunciare l'inizio di un'avventura tanto incredibile quanto inaspettata...
Il telefono è squillato un pomeriggio come tanti di inizio primavera: il Covid ci aveva costretto per l'ennesima volta in casa anche quel giorno ed un pizzico di malinconia aveva preso il sopravvento. Quel periodo per me non era facile: la scuola metà in presenza e metà a distanza, la libertà che poteva cambiare forma di settimana in settimana, vari avvenimenti che mi avevano portato a riflettere su di me e sulle mie fragilità.
Il telefono però quel giorno è squillato improvvisamente, l'ho sentito sdraiata sul letto e l'ho fatto suonare un bel po' prima di decidermi ad alzarmi, prenderlo da sopra la scrivania e rispondere. Non volevo parlare con nessuno in realtà, è stato questo il motivo per il quale ho esitato. Ho lasciato scorrere il dito sulla schermata per capire chi fosse intenzionato ad interrompere il mio momento di riflessione; la voce della sintesi mi ha annunciato che si trattava di Elisabetta, la mia tiflologa, ed un lieve sorriso mi ha distolto dai pensieri negativi. Ho risposto, la sua voce mi è arrivata inconfondibilmente energica, sempre pronta a trovare il positivo in ogni situazione, con quell'accento fiorentino che la rende ancora più magica. Lei dall'altra parte si è accorta subito del mio momento, ma con delicatezza è passata oltre a spiegarmi, con aria particolarmente felice, che qualcosa di bello stava nascendo per me. Ho lasciato che mi illustrasse il motivo di quella telefonata. Poche parole, le sue: "Sai Aly, volevo chiederti se avevi impegni il 2 aprile, perché Sky Tg 24 ci avrebbe invitato a girare una puntata di Ragazzi interrotti e noi avremmo pensato a te".
Ho lasciato passare due o tre secondi per cercare di capire e rendermi conto di ciò che mi era stato detto, ho respirato e poi ho risposto: "Siete sicuri di chiederlo proprio a me?". La domanda mi è venuta fuori spontanea, senza darmi il tempo di ragionare, la risposta è arrivata ancora più velocemente della mia domanda e mi ha rassicurato. Elisabetta mi ha salutato, ho passato il telefono a mamma e sono rimasta ferma, a riflettere: quasi non ci credevo, avevo bisogno di qualche minuto di pausa.
Ho deciso poi, insieme alla mia famiglia, di accettare anche se mi sono serviti dei giorni per realizzare appieno ciò che avrei dovuto fare. Apparentemente sembra che io sia una ragazza forte, con molta fiducia in se stessa, ma in realtà dentro di me nascondo un mondo pieno di incertezze. I giorni che hanno separato la telefonata dal 2 aprile sono stati un insieme di quotidianità, tra scuola, studio, passioni, amicizie, e preparativi per quell'appuntamento che sembrava così lontano, ma che in realtà è arrivato velocemente. Ho avuto un primo contatto con la giornalista che poi mi avrebbe fatto l'intervista ed è stata sintonia immediata! Grazie all'immensa passione che mette nel suo lavoro, Ilaria ha avuto la grande capacità di ascoltare il mio punto di vista, di pormi le domande con la delicatezza adeguata a non urtare la mia sensibilità ed il mio essere adolescente. È così che è riuscita a far sì che mi fidassi sin da subito e mi aprissi totalmente.
Tutti insieme abbiamo deciso che ad accompagnarmi a Roma sarebbe stata Elisabetta, la persona che mi ha permesso di vivere questa esperienza. Di lei potrei parlare per ore perché occupa un posto speciale nel mio cuore e nella vita di tutta la mia famiglia. Lei mi ha osservato crescere, ha aiutato me e i miei genitori a superare le difficoltà, ha condiviso con me i miei successi e mi ha confortato quando la leonessa che è in me era stanca di combattere.
Il giorno prima dell'effettiva intervista sono stata pervasa da un insieme inspiegabile di emozioni: cercavo i capi giusti da indossare e questa, da essere la cosa più naturale del mondo, è diventata una lotta con me stessa e con le mie insicurezze. Apparentemente non sono una persona legata all'estetica, ciò che gli altri pensano rispetto al mio modo di vestire o di pettinarmi non mi è mai interessato più di tanto, ma quella volta mi sembrava il problema più grande. Credevo che il mondo guardasse soltanto il mio abbigliamento, se ci penso adesso mi do della stupida da sola: il mondo doveva interessarsi soltanto alle mie parole, il resto non avrebbe dovuto avere considerazione. Eppure, quel giorno, in quel momento di paura e confusione, mi sembrava un fattore troppo complicato da affrontare. Per fortuna è arrivata Emma, la mia gemella e la mia salvezza, che con una battuta ed un sorriso ha risolto la situazione in due minuti.
Il 2 aprile è iniziato molto presto, in un clima di euforia. La conferma che quello sarebbe stato un giorno speciale l'ho avuta dal fatto che mamma mi ha truccata, cosa che faccio solo nelle occasioni particolari; mi sono vestita in modo molto semplice e ho lasciato i capelli sciolti come segno di libertà: quella ero io ed il mio look doveva rappresentare il mio modo di essere. Arrivare a Roma è stato molto strano, la città non sembrava più lei, la bellezza era rimasta ma erano scomparsi la confusione, i clacson che suonavano all'impazzata, le persone che passeggiavano in centro... non c'era niente di tutto questo.
Nel viaggio dalla stazione al luogo dell'intervista sfioravo la mano di Elisabetta, cercavo di vivere ogni singolo attimo completamente, di non lasciare da parte nessuna emozione. Condividere tutto questo con Elisabetta era stata, ancora una volta, la scelta giusta e in quel tragitto ne ho avuto la conferma. L'ultima telefonata ai miei genitori e poi eccoci arrivati: appena scese dalla macchina tutte le nostre preoccupazioni sono cadute ed un abbraccio pieno di gioia per la situazione che ci si era presentata è stato inevitabile. È vero che quando il proprio lavoro viene svolto con passione si nota subito: io ed Elisabetta pensavamo di entrare in un ambiente professionale, quasi ansiogeno, e invece, stupore, si è aperto davanti a noi il cancello di un grande giardino. Che bellezza capire a pelle che sarebbe stato tutto molto serio, ma anche molto tranquillo, amichevole, nel pieno rispetto del mio essere un'adolescente. Aver fatto il tampone per il Covid ci ha consentito la sicurezza di poterci abbracciare, abbracciare di cuore, con una grande intensità data dal contatto che tanto ci era mancato e con una immediata sintonia che è subito nata tra tutti i presenti.
Il tempo passava, le persone che mi avrebbero affiancato in questa esperienza si presentavano spiegandomi cosa avrei dovuto fare, l'ansia avrebbe dovuto essere al massimo ed invece no: sarà stata l'atmosfera così spontanea e tranquilla, saranno stati quel giardino e quel sole così naturali, sarà stata la bellezza vera delle persone, ma io su quella poltrona sono arrivata quasi tranquilla. Dico quasi perché... adesso non esageriamo! Mi sono seduta con la consapevolezza che qualsiasi cosa avessi detto non sarei stata giudicata.
Le ultime battute, l'ultimo abbraccio con Elisabetta, l'ultima stretta di mano con Ilaria, la giornalista, un ultimo respiro e via! Tutto, da quel momento, avrebbe iniziato a prendere forma. Prima il microfono, poi le diverse inquadrature, l'entrata con la persona più giusta del mondo, il Ciak, e poi via, da quel momento solo le mie parole.
Quante cose ho pensato in quei quaranta minuti, quanti sorrisi dentro di me mentre raccontavo determinati avvenimenti e quanta riflessione; quanta vita e quanti avvenimenti mi sono passati nella mente come un film bellissimo; quanta paura ho avuto nel donarmi così completamente a chi mi avrebbe ascoltato e quanto è stato liberatorio trasformare in parole centinaia di emozioni...
Conclusi i quaranta minuti più lunghi, ma allo stesso tempo elettrizzanti della mia vita, mi sono presa qualche secondo, sono rimasta lì seduta, dove tutto aveva appena preso forma, ho respirato, ho respirato ancora più forte, come se volessi portarmi via quell'aria così bella, inimitabile e positiva; ho respirato di nuovo e mi sono alzata, con quasi le lacrime agli occhi e la gioia nel cuore perché ero stata io, davvero, semplicemente io, con i miei pregi ed i miei difetti e quella era l'unica cosa che contava veramente.
Adesso sono qua e per la prima volta sto concretizzando questa valanga di emozioni che mi hanno travolto; sono qua e se un mese fa me lo avessero detto, non ci avrei creduto...
Sono stata circondata da un mare d'amore, di affetto sincero. Avete ascoltato le mie parole e avete cercato di capire ciò che c'è dietro ed io per questo vi ringrazio. Terrò sempre ben stretto nel cuore il ricordo di questa inspiegabile emozione, della paura di mettermi in gioco, della tranquillità e della fiducia che mi sono state trasmesse, della gioia di poter essere stata semplicemente me stessa... semplicemente Alyssa.
L'intervista
"Sono Alyssa, ho 17 anni, frequento la quarta del Liceo delle Scienze Umane Enrico Fermi di Cecina, e vengo da Rosignano".
Ilaria Iacoviello: Io vorrei tanto sapere cosa stai pensando.
Alyssa: Non lo so nemmeno io. Un mix. Sono davvero qua? Cosa sto facendo? Dormo, sono sveglia, sogno. Non lo so... Il 7 marzo 2020 fu l'ultimo giorno di normalità. Era un sabato sera come tanti, avevamo in programma un diciottesimo. Diciottesimo che aveva subìto varie modifiche, date dalle discoteche chiuse, che però s'era ridotto ad una pizza tutti insieme. Pizza che ci sembrava una cosa quasi normale, quasi quotidiana e nessuno si poteva immaginare che sarebbe stata l'ultima per un po'. Se ce lo fossimo immaginati l'avremmo vissuta, forse, diversamente, con un po' di cuore in più, perché poi è quello che abbiamo imparato da questa clausura forzata. E per me è stato un trauma - e sottolineo la parola trauma, non me ne vergogno - il fatto di perdere il contatto col mondo. Io non vedendo le persone, anche la mattina quando eravamo in didattica a distanza, pensavo di parlare col muro, e ti sembra di non essere nella tua realtà, dove il contatto la faceva da padrone, dove le mani potevano fare ciò che volevano, e attenzione, io non credo sia, e lo sottolineo, una caratteristica da... io credo sia essenzialmente carattere. Mi manca la libertà delle nostre mani e del nostro essere, perché le nostre mani sono un po' gli occhi di tutto... le mie mani, gli occhi di tutto il mondo, no? Quindi è come se mi mancasse una parte... i vostri occhi, insomma, per far capire metaforicamente, una parte molto, molto importante, troppo insomma. Questi mesi sono stati molto difficili, emotivamente ma molto anche logisticamente, perché quando io ero a casa mia, insomma nel "meet", la professoressa di matematica era a casa sua con la lavagnetta di quelle elettroniche che ci si disegna col pennarellino e poi si proietta sullo schermo. E la professoressa di sostegno, di conseguenza, era a casa propria, o comunque a scuola, e io non potevo stare al telefono con la prof. di sostegno perché diventava impossibile, per il mio cervello, seguire due cose insieme. Quindi una situazione molto, molto particolare, e anche molto stressante emotivamente, che rimarcava un problema mio personale che io cercavo di non sentire così forte. E quando a gennaio mi hanno detto che io sarei potuta andare a scuola ogni tanto, io sono andata, onestamente. Prima da sola e poi con un gruppetto. Perché io, per la mia tranquillità, ne avevo bisogno di capire le materie scientifiche senza difficoltà, avevo bisogno anche proprio dell'ambiente scuola. E ho trovato un clima molto accogliente: le bidelle, ormai dopo quattro anni affezionate, felici di rivedermi. Però la scuola era deserta. Cioè, la prima volta sono andata da sola, poi le volte dopo c'erano tre o quattro compagne; ma era deserta la scuola, c'era il silenzio che a scuola non c'è mai nemmeno quando tutti i professori spiegano, non c'è mai il silenzio. Ed è stato sconfortante, ecco. Però mi ha tranquillizzato tanto perché c'era la mia professoressa, le materie scientifiche capite meglio, le professoresse che ho cambiato conosciute meglio, perché in DAD, poi, non riesci nemmeno a stabilire un rapporto; quindi mi ha tranquillizzato, mi ha rimesso un po' in pace con me stessa, con la situazione e col mondo, mi ha ricaricato, ecco. Io che non ho mai avuto a che fare con i colori, cioè ma per punto preso eh, perché magari le persone cercavano di spiegarmi "lo sai che il rosso assomiglia a questo e il verde a quest'altro", ho dovuto fare sì che i colori (metaforicamente eh, perché poi se le zone si chiamavano 1-2-3 era uguale!), però che i colori entrassero a far parte della mia vita: infatti odierò il rosso per il resto della mia vita, anche se un giorno rivedrò, io odierò il rosso. Però credo che tutto faccia crescere, credo che uscirò da questo periodo, che speriamo finisca presto, più consapevole. E, forse, il non vedere mi ha fatto capire che bisogna lottare per raggiungere un obiettivo. A me non manca vedere l'albero, vedere la sedia. A me manca guardare negli occhi le persone e poi mancano i tramonti, il mare, però soprattutto mi manca guardare negli occhi le persone. Perché anche se ho imparato a capirle dalla voce, dagli atteggiamenti e forse ci faccio più caso di voi che vedete, credo che il guardare negli occhi dica tutto. Più di parole, di atteggiamenti, di tutto.
Francesco Venuto: Alyssa, se ti dicessi che ci hai lasciato senza parole?
Alyssa: Sì vabbè... io non credo di aver fatto niente di speciale!
Ilaria Iacoviello: Senti Aly, tu mi hai detto che il tuo sogno sarebbe vedere 24 ore e poi sei a posto per tutta la vita.
Alyssa: Cioè, se tra un anno mi dicono "proviamo a farti vedere", è normale che se mi dicono "puoi vedere per sempre", io ti dico grazie mille, non ti dico che mi bastano 24 ore, però se dovessi scegliere tra 24 ore o niente, anche se tante persone mi dicono "no, ma sei pazza, poi stai col rimpianto", io le sceglierei subito.
Elisabetta Franchi: pensieri di una compagna di viaggio privilegiata
Ho ascoltato più volte l'intervista di Alyssa, cogliendo nuovi spunti per riflettere ed emozionarmi. Insieme ai giornalisti e alla troupe di Sky Tg24 ho vissuto l'atmosfera di ascolto partecipe e attento che si è creata durante la realizzazione della trasmissione, commossa e sorpresa di come questa ragazza straordinaria riuscisse ad aprirsi con tanta spontaneità e a donarci così tanto di sé. L'emozione e l'orgoglio sono stati amplificati dalla immensa gratitudine di essere stata scelta dai genitori di Alyssa per accompagnarla in quel viaggio speciale: "le sei vicina da sempre, è giusto che oggi ci sia tu accanto a lei!". Una testimonianza di fiducia e di affetto, un regalo prezioso.
Ho quindi rivisto la trasmissione quando è andata in onda e quando è stata condivisa sui social, colpita ogni volta da dettagli e particolari diversi.
Per "deformazione professionale" non ho potuto fare a meno di soffermarmi sugli aspetti che oggi sono di maggiore attualità e che riguardano lo svolgimento della didattica a distanza: se ancora fosse necessario trovare motivazioni per sostenere la validità e la necessità della creazione dei gruppi inclusivi in presenza, le parole di Alyssa ci ricordano che la scuola e l'apprendimento sono nella relazione, nello scambio, nella partecipazione che, per gli alunni non vedenti, non può prescindere dal contatto. Ma Alyssa dice molto di più: parla di ambienti, di suoni riflessi, di silenzio "innaturale", perché la realtà della scuola è fatta di una pluralità di voci e di rumori; parla di punti di riferimento in cui ritrovarsi e del rapporto quotidiano con gli insegnanti e con i collaboratori scolastici, che nella consuetudine diventa cura affettuosa. Tanti elementi che per tutti noi hanno rappresentato, rappresentano la scuola, anche se non abbiamo la giusta attenzione per coglierne l'importanza. Alyssa ci riporta al valore del contesto educante e dunque alla necessità della didattica in presenza, opportunità preziosa che gli alunni con disabilità possono condividere, in questo difficile periodo, con il piccolo gruppo dei compagni.
Ho avuto il privilegio di seguire Alyssa fin dal primo anno della scuola dell'Infanzia e so che la lucida, disarmante consapevolezza di oggi è frutto di un lavoro su di sé, non privo di sofferenza; so anche che non è qualcosa di acquisito per sempre, ma una tappa del suo percorso. La testimonianza che ci dona interpella però ciascuno di noi in profondità, ci offre la possibilità di riflettere e di comprendere qualcosa di più.
I pregiudizi e i luoghi comuni, anche quelli che riguardano la cecità, si ridimensionano e si sconfiggono attraverso la conoscenza: non possiamo che essere grati per aver avuto l'occasione, attraverso la voce di Alyssa, di mostrare l'esempio di un'adolescente che vive la sua età con un sentire limpido e profondo. E con il valore aggiunto della sua specificità.
Un sentito ringraziamento a Ilaria Iacovello, Paola Tibaldi, al regista Francesco Venuto, alla Direzione e alla troupe di Sky Tg24, che ci hanno accolti con calore, sensibilità e con grande professionalità. Grazie alla Vicepresidente dell'Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti Linda Legname, che ha contribuito a rendere possibile la realizzazione dell'intervista.
Sky Tg24, 12 aprile 2021, "Ragazzi interrotti 2: la storia di Alyssa"
https://video.sky.it/news/cronaca/video/ragazzi-interrotti-la-storia-di-alyssa-663114?fbclid=IwAR3VdAsW4vpYprlX3UXHFOYC1gQUz45f-iPB4AQ1-T6bp6eTAX9CqJ21ZkM