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Il Progresso

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Numero 9 del 2020

Titolo: Ricerca- Il coronavirus si può fiutare? In Gran Bretagna un team di cani esperti si sta preparando

Autore: Alessandra Sessa


Articolo:
(da «Vanityfair.it» del 2 maggio 2020)
I cani addestrati sono capaci di fiutare diverse malattie dai tumori alla malaria. Ora si stanno allenando per riconoscere il coronavirus, ecco quali sono le sfide
Se il coronavirus fosse un odore, di cosa saprebbe? Probabilmente noi umani non lo scopriremo mai, ma i cani sì. O meglio, il super olfatto di cani allenati a riconoscere le tracce della malattia in campioni di saliva, sudore o urina. Ne sono convinti i ricercatori inglesi della Medical Detection Dogs, che in collaborazione con l'Università di Durham e la London School of Hygiene & Tropical Medicine, hanno avviato una sperimentazione per allenare il fiuto canino a intercettare la presenza del virus su soggetti positivi asintomatici. Un percorso ambizioso appena all'inizio, ma che potrebbe rappresentare un valido aiuto nella lotta al virus, soprattutto in autunno quando si teme una seconda ondata. Abbiamo chiesto ad Aldo La Spina, educatore cinofilo e direttore tecnico della costola italiana di Medical Detection Dogs, di spiegarci la sperimentazione in atto e le sue potenzialità. Il fiuto dei cani, infatti, forte di un numero di recettori olfattivi undici volte superiore a quelli umani, è in grado di rilevare le tracce volatili di molte malattie. Il punto è come insegnargli a riconoscere la presenza di particelle in soggetti positivi. Insomma, avere metodo ed evitare improvvisazione.
Che caratteristiche ha l'olfatto dei cani e per quali patologie viene già impiegato con successo? «L'olfatto dei cani è una grande risorsa. Per intenderci, se in un campo di calcio mettessimo un pezzettino di cioccolato, il cane lo potrebbe facilmente trovare. Ma se il cane è allenato, potremmo addirittura chiedergli di trovare una varietà di cioccolato piuttosto che un'altra. Gli studi, infatti, mostrano che un cane addestrato riesce a riconoscere sostanze diluite fino a proporzioni di uno su cinquemila. A questo proposito, noi di Mdd Italia abbiamo seguito tempo fa un progetto di ricerca oncologica con l'impiego dell'olfatto canino. Il cane doveva discriminare tra sei campioni biologici in ambiente di laboratorio e trovare quello positivo (nello specifico si trattava di campioni di urine positivi al tumore al polmone). Un compito portato a termine con una precisione di più del 90%», racconta Aldo La Spina.
Potenzialmente tutti i cani sono dotati dalla natura di un super olfatto, ma solo alcuni opportunamente addestrati e allenati, sono in grado di riconoscere le sostanze specifiche. «I soggetti più indicati per diventare cani da ricerca biologica sono i cani da pastore e da retriver, tuttavia abbiamo lavorato molto bene anche con una segugia. Grazie a un training ad hoc, il cane può raggiungere risultati affidabili addirittura del 98%». «C'è una lunga serie di patologie, anche rare, che emettono degli odori tramite saliva, urina o sudore (vocs, composti organici volatili)», continua La Spina. «Questi trasudano dalla pelle e dagli indumenti e il cane è in grado di annusarli e segnalarli. Ci sono poi cani impiegati nella ricerca biologica su batteri, parassiti e virus presenti nell'uomo. È il caso della malaria. Gli addestratori inglesi della Mdd hanno raccolto decine di paia di calzini appartenenti a persone malate di malaria e hanno allenato gli animali a riconoscerne l'odore. Questo progetto ha permesso di capire che i cani sono in grado di annusare le tracce della malattia lasciate sugli indumenti. È proprio dal successo della sperimentazione sulla malaria che è partita l'idea di traslare la sperimentazione sul Covid-19. L'intenzione è quella di poter lavorare in futuro su mascherine e indumenti in forma preventiva. Quindi, una volta che la sperimentazione in laboratorio sarà conclusa, si potrebbe portare il cane al gate di un aeroporto e, così come il cane antidroga, nel tempo breve di una fiutata potrebbe annusare i passeggeri. Ma queste sono ancora solo ipotesi», precisa La Spina.
C'è anche la questione della tempistica: «I tempi di un simile addestramento con cani già esperti vanno dai tre ai sei mesi. L'applicazione sarebbe molto utile in una fase di eventuale recrudescenza del virus, da settembre in poi, quando dovremo stare attenti a una seconda ondata. Il cane potrebbe intercettare il virus in persone asintomatiche durante questa fase. Ma il condizionale è d'obbligo perché la sperimentazione è solo all'inizio: si è cominciato circa un mese fa in laboratorio. Il primo passo è quello di dimostrare che il coronavirus possa essere fiutato dai cani. Poi, una volta ottenuti i risultati, si potrà ipotizzare l'impiego dei cani in aeroporto. Ma bisogna muoversi in tutta sicurezza per evitare il rischio che i cani diventino veicoli di contagio: non mi devo infettare io addestratore, e non devo infettare gli altri. È necessario poi individuare i supporti sui quali lavorare: mascherine, tamponi, punti di sudorazione, o fluidi biologici come la saliva. E capire se le caratteristiche della malattia sono differenti a seconda della fase in cui sono presi, o meno. Insomma, le variabili sono ancora molte e la strada è ancora lunga, ma i professionisti inglesi si stanno muovendo su una base scientifica allo scopo proprio di mettere a punto protocolli precisi» conclude l'esperto.



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