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Kaleîdos

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Numero 2 del 2020

Titolo: Uomini e donne: come diventare amici

Autore: Gaia Giorgetti


Articolo:
(da «F» n. 2 del 2020)
«Il germe della violenza è dentro ogni maschio, l'emancipazione femminile ha messo in crisi il nostro istinto di sopraffazione», sostiene il giornalista Antonio Polito. «Ammetterlo è un enorme passo avanti», ribatte la scrittrice Michela Murgia. Li abbiamo messi a confronto in questa intervista a due voci: un'alleanza contro un sistema di potere che si regge ancora sul maschilismo
«La violenza sulle donne ci coinvolge tutti, nessuno escluso». Parola di un giornalista, un marito e un padre che si è interrogato sulla piaga sociale che ha prodotto nel nostro Paese, dal 2012 a oggi, oltre 800 femminicidi. Qualche giorno fa Antonio Polito, firma di punta del Corriere della Sera, ha scritto un editoriale che ha fatto centro: basta chiamarci fuori, quel germe di violenza, frutto di una cultura patriarcale, è dentro ogni maschio italiano.
Una presa di coscienza che una scrittrice femminista come Michela Murgia non esita a definire «un enorme passo in avanti». Li abbiamo messi a confronto sperando che siano maturi i tempi per costruire un cammino comune contro la barbarie di una società che ci uccide in quanto donne.
D. Il grumo del maschilismo è in tutti gli uomini italiani. Dove si nasconde?
Murgia: «La natura non c'entra, la violenza di genere si radica in una cultura millenaria, che autorizza l'uomo a sottomettere la donna, percepita come il soggetto più debole».
Polito: «A metà strada tra lo stomaco e l'inguine. La violenza maschile nasce dalla selezione naturale, noi uomini abbaiamo alle donne come i cani da pastore abbaiano a qualsiasi cosa bianca che si muove. L'emancipazione delle donne ha messo in crisi questo nostro istinto naturale di sopraffazione, un germe che tutti ci portiamo dentro, difficile da riconoscere, ma è quello che nei momenti topici spinge ogni maschio a pensare che la colpa sia sempre della donna».
D. La violenza nasce dal dislivello di potere. L'analisi di coscienza maschile deve partire da qui?
Murgia: «Che Polito e altri riconoscano di appartenere alla categoria privilegiata da quel sistema è un passo avanti enorme. L'anno scorso sono stata segnalata a Facebook da decine di uomini e mi è stata sospesa la pagina perché in un post avevo scritto che nascere maschi in un sistema maschilista è come nascere figli di boss in un sistema mafioso: puoi crescere senza mai chiedere il pizzo o spacciare droga, puoi crescere come figlio borghese in una famiglia che pratica questo tipo di attività senza farti coinvolgere, e tuttavia gli standard della tua vita derivano da quel tipo di attività. Anche se non hai mai sparato o spacciato, non puoi chiamarti fuori, non basta dire non sono mafioso, devi dire sono contro la mafia e non voglio i suoi privilegi perché mi rendono complice».
Polito: «Sono d'accordo, la disparità si annida in un equilibrio di potere che i maschi vogliono conservare anche inconsciamente e che è molto difficile sgretolare perché ha alle spalle millenni di selezione naturale. Lo sviluppo della società moderna con l'emancipazione delle donne ha inevitabilmente cambiato questi equilibri di forza ed è a questo che oggi i maschi reagiscono. E non è un fenomeno che riguarda solo gli uomini rudi, si annida in ogni maschio, anche l'intellettuale più evoluto a casa, magari, picchia la moglie».
D. Gli uomini che non hanno mai alzato un dito contro le donne non possono chiamarsi fuori. Siete d'accordo?
Murgia: «Sono stufa di incontrare maschi che non si sentono coinvolti, non si ritengono sessisti, non hanno nulla di cui scusarsi perché non hanno mai picchiato una donna: non intendono sentirsi colpevoli di ogni femminicidio, di ogni insulto sessista, di ogni augurio di stupro. Vi rendete conto che fate parte di un sistema che si regge anche sul vostro silenzio? Il maschilismo distribuisce profitti a tutti quelli che stanno alle sue regole».
Polito: «Tutti noi, soprattutto gli uomini, traiamo benefici da questo sistema. Vedo famiglie sofisticate con donne che occupano posizioni importanti, ma a casa il marito si siede e loro preparano la cena. L'articolo che ho scritto nasce da una riflessione nuova, maturata grazie alla lettura di libri scritti da donne come Melania Mazzucco e Serena Dandini: la spinta che porta l'uomo a picchiare una donna, non è diversa da quella che sento io in un conflitto con mia moglie o con la mia compagna, anche se a me non viene in testa di alzare le mani. Un amico evoluto, con una moglie che lavora, mi ha raccontato che il mio pezzo gli ha fatto gelare il sangue nelle vene: il giorno prima le aveva dato dell'ingrata, esattamente come il femminicida del romanzo di Mazzucco che cito nell'articolo («Un giorno perfetto», ndr). Perché noi maschi vi consideriamo ingrate? Di che cosa dovreste esserci grate? Dello stipendio che portiamo a casa, dell'attenzione concessa alla famiglia? Ecco il germe: noi pensiamo che voi ci dovete ringraziare».
D. Se noi avessimo lo stesso potere economico, gli uomini pretenderebbero la nostra gratitudine?
Murgia: «Il problema gira intorno ai soldi: per cambiare modello sociale bisogna poterselo permettere. La maggioranza delle donne non lavora, è precaria e dipende dal marito. Il potere deriva dalla capacità di essere autonoma, chi non lo è molto difficilmente può mettere in discussione un sistema che ci sottomette, ci mantiene e ci protegge. Il maschilismo funziona con le donne come il rapporto tra esseri umani e animali: a quelli di affezione diamo nome, cibo, riparo perché hanno rinunciato completamente alla loro selvaticità; agli animali domestici dell'aia diamo cibo ma li mangiamo a nostra volta; gli animali selvatici hanno una vita totalmente libera, il cibo e la protezione non dipendono da noi che - per questo - ci sentiamo liberi di ucciderli: è reato sparare al gatto di casa, non lo è ammazzare un cinghiale nel bosco. Per la donna è la stessa, cosa: più aumenta il suo grado di libertà, più è violento quello che l'uomo le può fare. Chi ci protegge è la stessa persona da cui ci dobbiamo difendere».
Polito: «La subordinazione economica è un elemento chiave, ma i femminicidi ci raccontano una storia diversa: avere il coraggio di lasciare uomini violenti presuppone anche una certa indipendenza economica e sono proprio queste le donne che vengono ammazzate. Il meccanismo è più profondo, è culturale, la debolezza economica rende le donne costrette a subire, ma finché non cambiano i modelli culturali, anche quelle più emancipate sono a rischio. L'indipendenza della donna può scatenare la rabbia maschile».
D. Da dove si comincia? Famiglia, scuola? Tanti uomini sono disposti a cambiare?
Murgia: «Se l'elemento scatenante è il dislivello di potere bisogna agire dove questo modello si trasmette come un dato culturale. Un tasto dolente perché questa eredità passa nei primi anni di vita in famiglia e, soprattutto, a scuola, dove arrivano bambini che di solito hanno già un'idea chiara di che cosa vuol dire fare il maschio e fare la femmina. Ma se anche regalassimo le bambole al maschietto, a casa continuerebbe a imparare che la mamma fa tutto e il papà lavora fuori. La resistenza è in famiglia, un papà non accetta che il figlioletto di 8 anni gli chieda perché non lava i piatti».
Polito: «Ammetto di prendere anch'io i profitti di questo sistema, i miei comportamenti sono meno coerenti delle mie riflessioni. In casa cerchiamo di dare l'esempio ai due gemelli, ma alla fine il carico è sulle spalle di mia moglie. Mi sono messo in dubbio, ho ragionato su quello che provo nella mia vita di coppia e, almeno scrivendo, spero di portare un contributo al ristabilimento di un rapporto di parità».
Gaia Giorgetti



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