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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Kaleîdos

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Numero 21 del 2019

Titolo: Lilli Gruber. Impariamo a dire no

Autore: Laura Laurenzi


Articolo:
(da «F» n. 46-2019)
Denuncia il maschilismo al potere, elenca i casi di «politica del testosterone», censisce abusi, lavoro nero, ricatti. Chiama a raccolta le donne, tutte le donne, teorizza che gli uomini vanno rieducati: «Gli uomini imparino a essere più femminili. E noi donne dobbiamo svegliarci». Lilli Gruber, la più celebre giornalista italiana, ci offre nel suo nuovo libro-inchiesta una narrazione che inchioda alla pagina. Si intitola semplicemente «Basta!» (Solferino) il suo j'accuse, un titolo che le è venuto dal cuore, spiega l'autrice, un reportage di guerra lungo duecento pagine. Quale guerra? Quella mai dichiarata degli uomini contro le donne che divampa a tutte le latitudini e ha nell'Italia uno dei palcoscenici più lividi. Ma guai a obiettare che i toni potrebbero risultare troppo accesi quando Lilli Gruber scrive, per esempio, che tanti Paesi importanti, dagli Usa al Brasile «sono in mano a un'internazionale di bifolchi misogini». «Sgombriamo il campo dagli equivoci», afferma. «Vorrei fosse chiaro che questo non è un libro sulle mie opinioni, ma scritto sulla base di dati, ricerche, inchieste giornalistiche, che dimostrano quanto la discriminazione delle donne sia ancora profonda e ingiusta. I numeri sono spaventosi e intollerabili. Non voglio fare una battaglia femminista, ma una battaglia di giustizia. E lancio un appello per un nuovo patto tra donne».
L'uomo dunque è il nemico.
«Assolutamente no. Mi rivolgo agli uomini di buona volontà affinché aderiscano anche loro all'appello. Lo slogan è: «Vogliamo il potere e anche le rose». Vogliamo il potere di decidere, ma vogliamo anche le rose, ovvero poter vivere in armonia e non in una società che aizza alla guerriglia contro i maschi».
Lei elenca una serie di consigli per le giovani donne che vogliono farsi strada nel mondo del lavoro. Qual è quello più importante?
«Sempre lo stesso: studiate tantissimo, siate le più preparate, tenete conto che ci sarà sempre qualche uomo molto meno in gamba di voi che vi passerà avanti. E poi il consiglio che mia madre ha dato a me e a mia sorella: «Cercate di conquistare una solida autonomia economica, perché nessuno possa mai controllarvi e comandarvi». È fondamentale per essere delle donne libere».
Suggerisce di rispettare anche la forma.
«Sì, perché dietro la forma c'è la sostanza. Non fatevi fregare da chi dice che non conta. Cercate di essere impeccabili. Evitate di mescolare il piano professionale con quello dell'amicizia e del sesso. Imparate a gestire il potere: offre l'opportunità di migliorare le condizioni di tutti. Imparate a dire di no agli uomini. Quando vi dicono di tacere: «No!». Quando vogliono pagarvi di meno: «No!». Quando a letto non pensano prima a voi: «No!». Uscite molto. Partecipate alla vita collettiva per fare rete. Prendetevi quello che vi spetta. Mettete in discussione l'autorità maschile: è un'esortazione cara anche a mio marito».
Quanto conta per una donna autonoma come lei avere accanto un uomo che la sostiene e la ama come suo marito Jacques Charmelot, giornalista francese?
«Una mia amica avvocato mi ripete: «Ricordati che dietro una grande donna, c'è un grande uomo». Per me è fondamentale avere accanto un uomo che io amo e che mi ama, che ho scelto di sposare a 43 anni. E pensare che neanche volevo sposarmi... Intanto è un uomo che non teme il mio ruolo pubblico, il che non è da tutti. E poi è una persona di notevole autonomia intellettuale, ogni tanto abbiamo delle discussioni accesissime. Non potrei fare tutto quello che faccio senza di lui».
Perché ospita così poche donne nella sua trasmissione, Otto e mezzo?
«È un tema che pongo quotidianamente alla mia redazione. Il problema è che le donne in Italia raramente hanno ruoli, incarichi, responsabilità importanti dunque è difficile ospitarle in un programma dove è di scena la prima linea della politica, ma anche dell'economia e della cultura: opinionisti, imprenditori, segretari di partito. Datemi una lista con cinque nomi di donne che firmano articoli in prima pagina sui nostri quotidiani. Impossibile: non ci sono».
Ma non era contraria alle quote rosa?
«A 30 anni sì. Poi ho capito che sono uno strumento importantissimo, chiamiamolo pure una piccola forzatura, indispensabile per fare entrare le donne nel mondo del lavoro e stabilire un equilibrio».
C'è oggi una donna che ammira?
«Sono tante, due su tutte: la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e Christine Lagarde, a capo della Banca centrale europea. Sono esempi di donne chiamate a reggere le sorti di organismi complessi in tempi di grande crisi: quando la situazione è davvero devastata chiamano noi a raccogliere i cocci, cosa a cui siamo abituate».
Cosa pensa di Lina Wertmüller quando, ritirando l'Oscar alla carriera, l'ha definito «un premio maschilista cui andrebbe cambiato nome: chiamiamolo Oscarina, chiamiamolo Anna»?
«L'ho trovata molto spiritosa. È una simpatica provocazione che ci obbliga a riflettere su quante poche donne abbiano preso premi così importanti nel mondo del cinema».
Racconta di venire attaccata sui social con volgarità e frasi sessiste intollerabili. Cosa la ferisce di più?
«Non la prendo sul personale. Le cose sono molto peggiorate da quando alcuni rappresentanti delle istituzioni e della politica hanno sdoganato un linguaggio violento, volgare, sessista che ha imbarbarito la convivenza civile».
Ha detto: «Non mi piace il giornalismo inutilmente aggressivo».
«Si può fare qualunque domanda con il sorriso sulle labbra».
Con Giorgia Meloni cosa è successo? Lei continuava a ripeterle: «Mi scusi ma sta dicendo una sciocchezza».
«La Meloni ha uno stile veemente e determinato che fa parte di una strategia comunicativa, mi ha risposto aggredendomi, tutto qua. Io sono al timone di Otto e mezzo da undici anni e ho sempre cercato di non mettere in scena le risse. Siamo al primo posto fra le trasmissioni di approfondimento della televisione italiana, con una media di un milione e 800 mila spettatori a puntata».
E la sua frase sulla pancia di Salvini? (Quando sarà di nuovo ministro, tornerà in spiaggia senza la pancia, ndr).
«È stata una battuta educativa, così forse capisce come si devono sentire milioni di donne che vengono giudicate per il loro aspetto fisico».
Papa Bergoglio l'ha esortata a continuare a fare il suo lavoro «con la schiena dritta». Che impressione le ha fatto questo incontro?
«Tra le sue qualità papa Francesco è un uomo simpatico, empatico, molto diretto. Credo che stia facendo una fatica immane perché ha contro la sua idea di papato forze ultra-conservatrici che stanno facendo di tutto per ostacolarlo».
Lei ha fatto tutte le scuole dalle suore. Quanto l'ha influenzata l'educazione cattolica?
«Il confronto con la fede è stata una costante, un elemento importante per crescere sia umanamente, sia intellettualmente. Ancora oggi sono in ottimi rapporti con suor Rosita, la mia maestra delle elementari, ora novantenne. Degli anni dell'adolescenza ricordo quanto fossi ribelle. Quando arrivavo a scuola con la minigonna prendevo una bella sgridata, ma avevo imparato a infilarmi il grembiule velocemente e così le suore non vedevano cosa c'era sotto».
«Mai perdere il senso dell'umorismo», scrive lei nel suo libro.
«Rompiscatole come sono, ultra-rigorosa, austroungarica, se non avessi quel po' di humour nemmeno io mi sopporterei. Comunque ha ragione mio marito, che mi dice sempre: «Lilli non ti lamentare, se no il buon Dio ci punisce».



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