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Il Progresso

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Numero 14 del 2019

Titolo: Ambiente- I coralli preferiscono la plastica al cibo

Autore: Jenny Howard


Articolo:
(da «Nationalgeographic.it» del 1o luglio 2019)
Per la prima volta, gli scienziati hanno mostrato che alcuni coralli selvatici si nutrono di piccole particelle di plastica. Come se non bastasse, sembrano preferire le microplastiche agli alimenti che mangiano normalmente: anche quando la plastica è ricca di batteri che potrebbero ucciderli. Il nuovo studio, pubblicato su Proceedings of the Royal Society B: Biological Sciences, si concentra su una specie che abita le acque temperate ed è stata raccolta al largo del Rhode Island. Questa specie forma piccole colonie, non più grandi di un pugno. Ma secondo i ricercatori, la scoperta indica che anche coralli più noti e che costruiscono barriere potrebbero nutrirsi e subire gli effetti dell'ingestione di microplastiche, frammenti di plastica più piccoli di cinque millimetri. La scoperta si aggiunge all'idea già radicata che le microplastiche sono ovunque nell'ambiente, dai picchi delle montagne fino alle più profonde fosse degli abissi. Molti organismi, dai pesci agli uccelli, si nutrono di questi piccoli frammenti di plastica. E così facciamo noi, attraverso l'acqua contaminata e mangiando animali che li hanno ingeriti. Quando Randi Rotjan, biologa della Boston University specializzata in coralli e leader del nuovo studio, ha iniziato a lavorare negli ecosistemi marini, non si aspettava di doversi concentrare sulla plastica. Era entusiasta di studiare i coralli e di, come dice lei, poter avere una conversazione con la natura.
«La plastica continua a interrompere la conversazione ed è difficile da ignorare», dice Rotjan. «Scegli un ecosistema, scegli un organismo ed è più che probabile che troverai delle microplastiche».
Rotjan e i colleghi hanno raccolto quattro colonie di Astrangia poculata, un piccolo corallo che vive al largo della costa atlantica degli Stati Uniti, dal Massachussetts al Golfo del Messico. Hanno scelto il sito di studio, al largo del Rhode Island, perché si trova nei pressi di un centro urbano - la capitale dello Stato, Providence, dista circa 40 chilometri - con il potenziale di inquinare l'acqua con rifiuti di plastica. Rientrati in laboratorio, i ricercatori hanno aperto i singoli polipi e contato le microplastiche presenti. Hanno trovato più di 100 piccole fibre in ciascun polipo. Nonostante si tratti del primo ritrovamento documentato di microplastiche nei coralli selvatici, altre ricerche avevano mostrato che questa specie si nutre di plastica in ambienti controllati in cattività.
Il team ha condotto anche altri esperimenti: hanno sottoposto a dei polipi cresciuti in laboratorio dei microbead blu fluorescenti - frammenti di plastica che, fino a poco tempo fa, erano impiegati in saponi, cosmetici e farmaci - insieme a cibo naturale come uova di artemia, grandi più o meno come una capocchia di spillo. Tutti i polipi, di fronte alla scelta, hanno mangiato circa il doppio di microbead rispetto alle uova di artemia. Dopo essersi riempiti la pancia di questi pezzetti di plastica, senza alcun valore nutrizionale, hanno smesso del tutto di mangiare le uova. «Sono rimasta scioccata dai risultati», dice Jessica Carilli, co-autrice dello studio e scienziata del Naval Information Warfare Center Pacific di San Diego, California. «Non solo mangiano passivamente tutte le particelle che galleggiano a portata di tentacoli... purtroppo hanno preferito la plastica al cibo vero». Il governo statunitense ha vietato l'impiego di microbead nel 2015, ma il divieto è entrato in vigore poco più di un anno fa. Come altri tipi di plastica, sopravvivono nell'ambiente e restano una minaccia per i coralli per diverse centinaia di anni. Oltre all'esperimento alimentare, i ricercatori hanno messo i microbead in acqua di mare e li hanno coperti con un biofilm, un sottile strato di batteri. Nell'oceano, spiega Koty Sharp, co-autrice dello studio e microbiologa esperta in coralli della Roger Williams University del Rhode Island, la maggior parte delle microplastiche viene ricoperta da batteri. I ricercatori hanno attaccato il biofilm sui microbead servendosi del comune batterio intestinale Escherichia coli, tingendolo di un verde fluorescente per rendere più semplice monitorarlo. Oltre 48 ore dopo aver ingerito i microbead, i polipi li hanno sputati fuori. Ma anche a quel punto, Escherichia coli continuava a splendere all'interno della loro cavità digestiva. Tutti i polipi che avevano mangiato i microbead sono morti nel giro di due settimane.
«Questa è la parte più interessante dello studio. Nessuno ha indagato questo vettore dei patogeni prima d'ora», dice Joleah Lamb, ecologa della University of California, Irvine, non coinvolta nello studio. Lamb ha studiato centinaia di barriere, documentando le patologie e l'inquinamento provocati da grossi rifiuti in plastica. La sua ricerca, pubblicata su Science nel 2018, ha mostrato che le patologie dei coralli sono 20 volte più frequenti dopo che questi sono entrati a contatto con la plastica. Nonostante Escherichia coli non sia comune negli oceani, molti altri microbi lo sono e sembrano concentrarsi sulla superficie delle microplastiche. Facendo autostop negli oceani sui frammenti della nostra immondizia, batteri nuovi o dannosi potrebbero diventare i responsabili di patologie dei coralli, spiegano i ricercatori. Altri potrebbero non rispondere ai microbead o ai batteri che trasportano allo stesso modo: il team di Rotjan, per ora, ha esplorato una sola specie. Ma questi primi risultati, conclude la scienziata, sono davvero preoccupanti.
«Sono terrorizzata dal disastro che abbiamo creato negli oceani. Ma forse questa scoperta può diventare parte dei motivi che ci spingeranno a ripulirli».



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