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Il Progresso

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Numero 14 del 2019

Titolo: Psicologia- Che consigli daresti al te stesso più giovane?

Autore: Oliver Burkeman


Articolo:
(da «The Guardian», Regno Unito su «Internazionale.it» del 16 luglio 2019)
Due ricercatori statunitensi hanno appena pubblicato sulla rivista Psychological Science il primo studio serio su una domanda che sembra ossessionare milioni di persone, e per la quale ci si aspetta che tutti i personaggi famosi, da Bill Gates a Kesha abbiano una risposta: che consigli daresti al te stesso più giovane? Robin Kowalski e Annie McCord lo hanno chiesto ai 400 partecipanti allo studio, tutti sopra i 30 anni, e hanno ottenuto alcune risposte interessanti - «Non sposare lei. Non. Sposare. Lei». Ma ci siamo un po' avvicinati alla soluzione di un dilemma che mi tormenta da sempre: che cosa sperano esattamente di fare le persone quando si pongono questa domanda? Perché, in fondo, è un paradosso. Se abbiamo acquisito la saggezza sulla quale si basano i nostri consigli è solo perché abbiamo commesso gli errori che oggi consigliamo di evitare ai noi stessi più giovani.
Maestra impietosa
Per esempio, molti hanno fornito una versione della risposta «Smetti di avere paura», del fallimento, del giudizio degli altri, della vita. Ottimo consiglio, ma non ti renderai mai conto di quanto è utile fino a quando non ti sei lasciato guidare dalla paura e hai visto dove ti ha portato. L'esperienza, come si suol dire, è una maestra impietosa: prima ti fa fare l'esame e poi ti spiega la lezione. Naturalmente, se quella di «dare consigli al te stesso più giovane» fosse solo una tecnica per rasserenarci e ricordare tutto quello che abbiamo imparato nella vita, nessuno potrebbe sollevare obiezioni. Ma dando un'occhiata alle risposte dei partecipanti allo studio, molto più spesso la sensazione che si ha è quella di un pizzico di rimpianto. Le persone vorrebbero veramente non essersi sposate così giovani, aver scelto una certa carriera per compiacere i loro genitori o aver speso tanti soldi invece di risparmiare. E questo mette solo in luce che il rimpianto, anche se perfettamente comprensibile, è fondamentalmente un'emozione contraddittoria: il fatto stesso che lo proviamo significa che siamo diventati il tipo di persone che possono riesaminare con occhio critico quello che hanno fatto in passato, quando erano persone diverse. Il che, a sua volta, significa che, a giudicare dai valori che abbiamo oggi, le esperienze della vita ci hanno reso persone migliori e (almeno a livello razionale) dovremmo essere contenti piuttosto che rammaricati. O forse non sto tenendo conto di una spiegazione ovvia, alla quale accennano anche gli autori dello studio, e cioè che le persone trovano utile dare consigli alle se stesse più giovani perché in fondo è un modo per darseli nel loro presente, per rimettere il loro comportamento attuale in linea con quello che hanno imparato. Questo mi ricorda la famosa tesi secondo la quale adottare una prospettiva esterna sui nostri problemi - per esempio, scrivendo di noi stessi in terza persona - può favorire un atteggiamento più sereno e meno autocritico nei nostri confronti. Ma, in questo caso, suggerirei di lasciar perdere i viaggi nel tempo (l'equivalente in termini di autoaiuto della domanda: «Uccideresti Hitler in fasce?») e andare dritti alla vera domanda: che consigli daresti a un caro amico? Perché la questione principale, dopotutto, non è quello che avremmo potuto fare di diverso in passato, se fossimo stati la persona che allora non avremmo potuto essere, ma che cosa faremmo adesso, se ci trattassimo con almeno la metà della gentilezza e dell'affetto che dedicheremmo senza esitazione a parenti o ad amici cari. Questa, diversamente dal tentativo di cambiare il passato, presenta l'enorme vantaggio di non essere un'impresa impossibile.
Da provare
Domande che cambiano la vita, uno strumento offerto online dalla ClearerThinking basato sui risultati delle ricerche su quali domande le persone hanno trovato più utili per cambiare il loro punto di vista.



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