Numero 11 del 2018
Titolo: Passione per il movimento
Autore: Daniele Cassioli
Articolo:
Mi chiamo Daniele Cassioli, ho 31 anni e sono cieco dalla nascita. Nella mia vita lo sport ha un ruolo fondamentale e ha svolto, fin da quando ero piccolo una funzione terapeutica, ricreativa e sociale. In particolare è l'amore per lo sci nautico che ha contraddistinto la mia passione per il movimento, per la libertà, lo scivolamento per me è stata una grande opportunità di esprimermi, senza ostacoli, senza compromessi. Questo profondo legame mi ha portato a vincere diversi titoli mondiali (per la precisione 22) e mi ha permesso di girare il mondo, di conoscere differenti disabilità e diversi approcci culturali alla cecità stessa. Dopo aver ricevuto così tanto dallo sport mi sono sentito quasi in dovere di restituire qualcosa e di far conoscere questa medicina potentissima ai bambini che non vedono e alle loro famiglie. I bimbi sono fonti inesauribili di ricchezza, bisogna avere solo un po' di coraggio nel cercarla. Quando ho iniziato a conoscere queste realtà mi sono subito reso conto che, purtroppo, non è affatto scontato che un bambino cieco abbia abilità nel movimento: gestione di spazi domestici, capacità di adattamento a situazioni nuove o conoscenza di ambienti mai esplorati. È ossimorico, in un bimbo che non vede, trovare nel movimento la sua massima espressione: non le favole, non le canzoni, ma le corse in un prato o i salti sul tappeto elastico. Eppure sembra da incoscienti portare un bimbo cieco così piccolo alla ricerca del movimento, della sperimentazione di tutte quelle esperienze che il mondo esterno può offrire. Senza freni, senza paure che, molto spesso, sono frutto delle chiusure mentali degli adulti e non del bimbo stesso.
Come fa a porsi dei limiti un bimbo «vergine» se qualcuno dall'esterno gli conferisce la gioia nel provare ad andare sempre un pochino oltre? Nelle piccole cose: correre, saltare, nuotare o giocare a palla con gli altri bambini. La ricetta è semplice sebbene così all'avanguardia e purtroppo quasi anacronistica ancora oggi nonostante andiamo così fieri del progresso. Non servono soldi o fortuna piovuta dal cielo, serve la conoscenza e un pizzico di coraggio, cose che non sono in vendita in un negozio o negli scaffali di un supermercato; cose che si trovano cercando di mettersi in gioco. Allora insieme al progresso tecnologico, si potrà parlare di vero progresso mentale, culturale. A questo punto non stupirà più che un bimbo cieco, anche molto piccolo, possa planare sull'acqua felice. Più in generale la cosa importante è che venga messo nelle condizioni di esprimersi, di mettere in mostra le proprie attitudini, i propri talenti. Bene, l'estate scorsa ne ho portati parecchi (ma mai abbastanza) di bambini più o meno grandi a volare divertendosi sulle acque di alcuni laghi di Italia che, mi preme sottolineare, sono culturalmente e strutturalmente pronti ad accogliere persone ipo o non vedenti.
Sul mio sito www.danielecassioli.it e sulle omonime pagine Instagram e Facebook potete trovare immagini e racconti di queste fantastiche giornate. Prima si toccano gli sci per capire di cosa si tratta, poi si calzano e si cammina un po' sulla terra ferma e in seguito si scivola sull'acqua, completamente in sicurezza. Quando possibile cerco di coinvolgere anche amici, compagni di scuola o fratelli in questo viaggio speciale: l'intesa che nasce è viscerale, un legame che si può quasi toccare. Chi ha gli occhi diventa perfettamente consapevole delle esigenze di chi non vede: lo tiene per mano dove necessario e lo «lascia al suo destino» negli ambienti protetti. Questo è un altro aspetto di enorme rilevanza: come facciamo a parlare di inclusione se poi siamo noi adulti a dividere? Dio benedica i centri di riabilitazione dedicati alle diverse patologie e disabilità. Allo stesso tempo facciamo in modo che diventi obbligatorio, per i bimbi con disabilità, frequentare gli asili, i corsi sportivi o gli oratori. Quelli per tutti però, quelli dove un bambino abbia la possibilità di capire le esigenze del proprio amico cieco. Allora parleremo a ragion veduta di inclusione autentica e non sarà così complesso permettere a un piccolo non vedente di giocare con chi ha voglia. Poi arriva eventualmente l'allenamento specifico e la pratica sportiva dedicata. Stiamo sicuri che, a quel cancelletto di partenza, si presenterà un bimbo pronto, senza addosso le paure che gli affibbiano i grandi. Accanto a questo fantastico scenario, le famiglie possono confrontarsi, uno scambio dal valore inestimabile di pezzi di vita vissuta, si condividono le differenti scelte di ognuno: c'è chi ama stare con chi non vede, chi fa il contrario e chi sta nel mezzo. C'è chi ride della propria condizione e chi ancora fa un po' di fatica a farlo. Così un pomeriggio al lago si trasforma in un prezioso momento riabilitativo, sociale, culturale e di scambio. Io li guardo, li ascolto e li osservo: vorrei dare loro le risposte giuste, quelle risolutive. Poi scavo dentro me stesso e penso che l'unica cosa che ho il dovere di offrire è la mia consapevolezza. Non aiuterebbe proteggerli da ogni gradino, lago od ostacolo. È di gran lunga più utile portare il mio sorriso e renderlo più contagioso possibile. Perché solamente sorridendo ci si abitua a farlo.