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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Corriere Braille

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Numero 17-17sup del 2014

Titolo: Il super udito dei ciechi? Non esiste

Autore: Giuseppe Cordasco


Articolo:
Ricerca dell'Iit in collaborazione con l'Istituto David Chiossone su un gruppo di bambini privi della vista dalla nascita
Spesso smontare un falso mito, cancellare una cosiddetta leggenda metropolitana, può essere il necessario e irrinunciabile presupposto per ottenere miglioramenti nella vita di migliaia, forse di milioni di persone.
La dimostrazione più lampante di questa asserzione è quanto sta accadendo con riferimento alla diceria secondo cui i ciechi siano dotati di una sorta di super-udito. Si sente infatti spesso dire che quando manca la vista, l'udito diventa così sorprendente da permettere ai non vedenti di orientarsi nello spazio. Ma questa specie di «sesto senso» sarebbe appunto un falso mito.
A dimostrarlo scientificamente è stato uno studio condotto da Monica Gori, Tiziana Vercillo, Giulio Sandini, Elena Cocchi e David Burr dell'Istituto italiano di tecnologia (Iit) di Genova in collaborazione con l'Istituto David Chiossone, onlus con sede a Genova che fin dal lontano 1868 opera in tutti i campi che riguardano l'handicap visivo.
«Noi collaboriamo fin dal 2007 con l'équipe dell'Iit della dottoressa Gori che si occupa di multisensorialità» racconta Elena Cocchi, medico responsabile del Centro di riabilitazione per l'età evolutiva dell'Istituto David Chiossone. In questi anni si è cercato dunque, tramite vari esperimenti, di capire quali relazioni esistano tra i vari sensi e in particolare cosa accade quando viene a mancare la vista. «Si è sempre pensato infatti - continua la Cocchi - che i ciechi potessero disporre di una capacità più spiccata di cogliere i suoni nell'ambiente. Abbiamo dunque cercato di capire quanto questa credenza fosse supportabile da dati scientifici».
Nei vari test condotti dagli scienziati sono stati coinvolti bambini con disabilità visiva dalla nascita che sono stati sottoposti a una serie di stimoli uditivi complessi, chiedendo loro di stabilire da dove provenisse un determinato suono. «Parallelamente - afferma la Cocchi - sono stati condotti esperimenti analoghi su bambini normovedenti in varie scuole per poter effettuare dei confronti. Ebbene, si è stabilito che i bambini non vedenti non sono capaci di localizzare e individuare la provenienza di suoni complessi provenienti dall'ambiente. Quindi, è vero che anche i ciechi sono in grado di stabilire la provenienza di un singolo suono che viene fatto loro udire, ma se gli stimoli uditivi diventano multipli e ci troviamo ad esempio nel contesto di uno spazio come un bar, un negozio, quindi una scena di vita reale con suoni diversi e variegati provenienti da diverse direzioni, allora questa capacità nei non vedenti svanisce».
Per capire ancora meglio il senso di questa scoperta, può essere utile entrare nel dettaglio dei test condotti sui ragazzini coinvolti. Sono state infatti utilizzate delle casse stereo, in totale circa una ventina, e si è iniziato con il far sentire un singolo suono di una cassa posta di fronte al soggetto dell'esperimento.
Poi si è proceduto con la trasmissione di un suono da una seconda cassa posta in posizione laterale, chiedendo ai ragazzi coinvolti nell'esperimento di stabilire se il suono provenisse da destra o da sinistra. E così via di seguito con le altre casse. «Aumentando a tre, quattro e più gli stimoli uditivi - dice la Cocchi - per i ciechi sono iniziati problemi seri nell'individuazione della provenienza dei suoni ascoltati. I ragazzini vedenti invece, grazie proprio al supporto della vista, riuscivano meglio a localizzare i suoni. Questo significa, in totale contraddizione con quanto creduto da sempre, che la vista aiuta l'udito e che la perdita precoce della vista compromette la capacità di localizzazione spaziale dell'udito».
I dati ricavati dagli esperimenti sui bambini confermano dunque che i ciechi non sentono meglio. Anzi, nelle normali condizioni quotidiane sentirebbero persino peggio.
Ancora più precisamente, i test condotti dall'équipe della dottoressa Gori porta a concludere che in assenza di visione è possibile sviluppare alcune capacità uditive spaziali semplici che permettono per esempio di localizzare un suono nello spazio, come capire dove si trova una persona che parla, ma non quelle complesse, come capire dove sono posizionate o quanto sono distanti tre persone che parlano tra loro. E visto che viviamo in un mondo molto complesso queste conoscenze sono fondamentali per permettere una corretta inclusione nell'ambiente che ci circonda. Ed è proprio questo il presupposto da cui si è partiti per sfruttare al meglio questa nuova scoperta.
Abbattuto infatti il mito del super-udito dei ciechi, la cosa fondamentale era ed è capire come questo risultato può essere utilizzato per migliorare il modo di stare nel mondo della quotidianità da parte dei non vedenti. «Questi importanti risultati - sottolinea infatti la Cocchi - ci permettono di lavorare precocemente con bambini ciechi con strumenti più adatti. Se prima infatti eravamo indotti a pensare che sentissero meglio, ora sappiamo che non è così, e cercare nuove metodologie per aiutarli a riconoscere e localizzare meglio più fonti sonore negli ambienti della vita di tutti i giorni potrà aiutarli ad essere certamente più autonomi».
Quindi, quella che all'inizio poteva apparire come una brutta notizia per i non vedenti, ossia la sconfessione scientifica del mito del super-udito, si può e si deve trasformare in uno straordinario stimolo a lavorare meglio in futuro.
A questo proposito un programma di intervento pratico e attuabile esiste già e va sotto il nome di Abbi, acronimo inglese che sta per Audio bracelet for blind interactions (www.abbiproject.eu). Si tratta di un progetto europeo che punta al miglioramento delle capacità spaziali di bambini e adulti non vedenti attraverso l'uso di un braccialetto che produce un suono associato al movimento del corpo.
Il progetto Abbi nasce da una collaborazione che vede coinvolti 5 centri europei tra cui appunto l'Iit con Monica Gori coordinatrice del progetto e l'Istituto David Chiossone. Esso ha in programma di testare il sistema di riabilitazione con stimoli uditivi su oltre 50 bambini liguri con disabilità visiva nei prossimi tre anni. «Il training riabilitativo con i bambini - spiega la Cocchi - durerà circa tre mesi e ci servirà come primo test per capire se ci saranno miglioramenti. Il tutto partirà ufficialmente a settembre con ragazzini dai 6 ai 18 anni, che cominceranno a portare il braccialetto sia qui in Istituto, sia a casa e negli altri ambienti della loro vita quotidiana». In questo senso dunque Abbi rappresenta non solo un programma di riabilitazione uditiva, ma anche, e forse soprattutto, un fattore di socializzazione, perché chi indosserà il braccialetto in questione in pratica sarà in grado di «parlare», di «dialogare» con altri soggetti dotati dello stesso strumento. «Facendo suonare il braccialetto - continua la Cocchi - si potrà infatti far sapere all'altro che ci si sta avvicinando oppure allontanando. Sarà dunque fondamentale che a portare questo nuovo strumento di localizzazione non siano solo i non vedenti, ma anche tutti gli altri, ossia tutti quelli che fanno parte dell'entourage quotidiano di un cieco: genitori, parenti, operatori ecc.».
Insomma, un modo nuovo di comunicare e un modo nuovo di stare al mondo per migliaia di giovani ciechi che, abbandonato il mito del super-udito, potranno ora contare su uno strumento assolutamente scientifico per vivere meglio negli spazi della vita reale e diventare così più autonomi. «Nei nostri programmi - conclude la Cocchi - c'è l'idea, dopo la sperimentazione, di arrivare un giorno a mettere in commercio a prezzo accettabile quello che vorremmo fosse non un semplice braccialetto, ma un gadget con un design accattivante, magari gommoso e pratico da indossare».
Potremmo dunque essere di fronte a una piccola rivoluzione tecnologica, ma anche sociale, che se per ora interesserà solo un gruppo ristretto di ragazzini liguri, in caso se ne dimostrasse la validità, potrebbe aiutare a vivere meglio un numero molto più ampio di individui, se si pensa che secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, 285 milioni di persone nel mondo soffrono di disabilità visive, di cui 39 milioni con cecità totale e tra questi, 1,4 milioni sono proprio bambini.
Giuseppe Cordasco



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