Alcuni anni fa un Consigliere Nazionale che si accingeva a commentare la relazione morale le cui conclusioni erano state appena lette, esordì dicendo che dall’esterno quasi mai si percepisce compiutamente l’entità delle cose fatte, ma quando poi le vedi in fila lì una dopo l’altra si ha la consapevolezza piena di una enorme mole di lavoro davvero impressionante.
Il fenomeno si ripete ormai da anni, né fa eccezione la relazione morale del 2002: la fotografia di un cantiere sempre aperto, straordinariamente operoso, in cui le mani del Presidente Nazionale, della Direzione Nazionale, del Consiglio Nazionale, delle numerose Commissioni di lavoro, si muovono armonicamente per la realizzazione di un disegno condiviso perché costruito collegialmente e democraticamente. Un disegno nel quale ognuno reca il suo tratto di matita a misura delle proprie sensibilità, capacità, disponibilità.
Gestire un cantiere così, da parte del Presidente Nazionale, non è facile, eppure è possibile, l’importante è sentirsi in umiltà parte di un tutto, primus inter pares, punto di riferimento di tutti e anima di tutto, motore immobile e mobile nello stesso tempo. Una tale concezione del Presidente Nazionale non appartiene alla nostra storia, alla nostra tradizione, per il passato la linea politica dell’organizzazione è scaturita quasi sempre dal cappello del capo, più o meno carismatico, più o meno deus ex machina.
Era giusto così allora: erano altri tempi, il fascismo, il post fascismo, la scarsità di risorse, l’organizzazione approssimativa, la comunicazione lenta, la cultura della democrazia e della partecipazione che muoveva i primi passi, tutti fattori che giustificano quel modello. Sarebbe stato però un grave errore imitarlo o perpetuarlo nel nostro tempo in omaggio al passato.
Considero quindi un grande merito, una importante conquista, avere immaginato e realizzato un modo nuovo di essere del Presidente Nazionale. Un Presidente che non rinuncia alla leadership, ma che fa tesoro dei talenti di tutti.
Questo nuovo modo di essere del Presidente Nazionale lungi dal ridurne il potere, appannarne l’immagine, diminuirne il prestigio, conferisce alla sua figura un valore nuovo perchè ciò che perde in quantità lo guadagna in qualità. La validità di questa tesi è dimostrata dall’affetto e la stima che da anni nutrite per me, dai risultati conseguiti, definiti di volta in volta "straordinari, eccezionali, meravigliosi." Se le cose stanno così, e stanno così, perché non trasferire le regole che governano il cantiere centrale: la collegialità, la democrazia, la divisione del lavoro, l’assunzione di responsabilità nei gruppi di lavoro, nei cantieri periferici dei Consigli Regionali e delle Sezioni Provinciali?
Conosco le obiezioni mille volte fatte dai Presidenti regionali e provinciali: che la realtà della Presidenza Nazionale è diversa da quella delle strutture periferiche, che le cose cambiano da regione a regione, da provincia a provincia. Che alcune strutture hanno soldi e altre no, che alcune Sezioni hanno pochi soci, altre poco personale a volte non qualificato, e così via. Come si può dar loro torto? Ciò che conta però è che ciascuno nella propria realtà, come può e come sa, cominci a salire i gradini del cambiamento, senza nascondere la testa sotto la sabbia, tacitando la propria coscienza con gli alibi delle buone ragioni.
So che concettualmente l’associazione ha accettato la ineluttabilità dell’ammodernamento per far fronte al dovere di rappresentare e tutelare gli interessi dei ciechi del territorio così come richiesto dalle leggi sul decentramento e sul federalismo, ma so anche che siamo in ritardo, in grave ritardo nell’attuazione del progetto più volte condiviso. La utilizzazione del programma di contabilità, dell’anagrafico soci, la costituzione di nuove rappresentanze, la divisione del lavoro, la costituzione di gruppi di lavoro, la nomina dei referenti comunali sono ancora dei gusci vuoti.
Di qui, ancora una volta, il caldo invito del Presidente Nazionale ai Presidenti Provinciali e Regionali ad utilizzare al meglio le iniziative della Presidenza Nazionale a sostegno delle strutture periferiche. Mi riferisco ai consulenti regionali, alla rubrica "Parla con l’Unione", al corso di aggiornamento riservato al personale dipendente. A mio parere i consulenti regionali devono interagire più attivamente con il Centro di Documentazione Giuridica e creare una rete per lo scambio di conoscenze. Essi, inoltre, devono operare una ricerca sistematica all’interno della normativa vigente a livello comunale, provinciale e regionale, per individuare le fonti di finanziamento per i progetti dell’Unione Italiana dei Ciechi e creare una banca dati da mettere a disposizione dell’utenza.
La rubrica "Parla con l’Unione" costituisce uno straordinario strumento di comunicazione in tempo reale e può rappresentare una occasione unica per l’aggiornamento dei quadri dirigenti e per la formazione degli aspiranti quadri. Si raccomanda a tale proposito l’adozione della linea ADSL e la costituzione di gruppi di ascolto. Da parte della Presidenza Nazionale si avrà cura di individuare un orario più rispondente alle necessità delle sezioni e di strutturare in maniera più efficace le trasmissioni. A breve la rubrica sarà utilizzata anche per sperimentare riunioni on line dei presidenti regionali, non certo per eliminare quelle frontali, ma per aumentarne il numero e accrescere, così, gli spazi di democrazia.
Lo stesso discorso vale per il corso di aggiornamento riservato al personale dipendente, una grossa opportunità per la quale la Presidenza Nazionale investe risorse economiche ed organizzative, ma l’esito dell’iniziativa dipende dal livello di consapevolezza della sua importanza e dalla disponibilità dei dirigenti locali a creare le condizioni giuste affinché il personale possa fruire di questo prezioso servizio.
Ma torniamo al cantiere, per dare un’occhiata qua e là e fermare lo sguardo su alcune cose che maggiormente solleticano il nostro orgoglio e la nostra vanità.
Il convegno sui difensori civici svoltosi presso la Camera dei Deputati, che ha visto la presenza del Presidente Pierferdinando Casini, ha centrato pienamente il suo obiettivo aprendo una nuova finestra nella comunicazione con le istituzioni: viene ora proposto all’Unione Italiana dei Ciechi un protocollo di intesa per una collaborazione organica e sistematica.
Il Convegno celebrativo dei 150 anni dalla morte di Louis Braille, realizzato presso la Biblioteca Nazionale di Roma in collaborazione con la Biblioteca italiana per ciechi "Regina Margherita", la Federazione delle Istituzioni pro ciechi e l’I.Ri.Fo.R., ha scritto parole nuove sulla originalità, l’attualità e l’insostituibilità del sistema di lettura e scrittura braille, e ha prodotto l’impegno della Presidenza del Consiglio e del Ministero delle Poste a realizzare nel 2004 un francobollo commemorativo.
La legge che facilita il voto dei disabili rappresenta finalmente una risposta al disagio dei ciechi, ai quali per esercitare il diritto di voto veniva chiesto di essere accompagnati da un elettore dello stesso comune e di esibire il certificato medico attestante la cecità, provocando giuste proteste e comprensibile indignazione.
L’aumento del contributo di funzionamento alla Biblioteca Italiana per ciechi "Regina Margherita" consente un salto di qualità da parte di quest’ultima nel sostegno all’integrazione scolastica, perché mette a disposizione del Centro di Documentazione Tiflologico e dei centri di consulenza didattica nuove risorse, potenziandone il ruolo e la funzione. Consente inoltre l’espansione e il miglioramento del servizio di fornitura dei testi scolastici a caratteri ingranditi, realizzati a misura delle necessità degli studenti, un servizio che colma un vuoto esistente da sempre che è molto apprezzato dai genitori e dalle autorità scolastiche, accrescendo il prestigio e la credibilità della Biblioteca.
La finanziaria 2003, portatrice sostanzialmente di buone notizie per i ciechi, reca infatti due importanti finalizzazioni: per la concessione di un contributo una tantum di un miliardo e mezzo di vecchie lire al Comitato Italiano dell’Agenzia Internazionale della Prevenzione della Cecità e per l’incremento di tre miliardi del fondo riservato all’editoria speciale. Chiarisce definitivamente che l’aumento della pensione fino ad un milione dei disabili ultrasessantenni, che si trovano in determinate condizioni di reddito spetta anche ai non vedenti, prevede che alcune categorie di ciechi possano utilizzare gli obiettori di coscienza e i volontari del servizio civile quale accompagnatori, previo il pagamento di 93 euro mensili. Infine aumenta di 41 euro mensili l’indennità speciale dei ciechi ventesimisti.
Tutto questo non ci è stato servito graziosamente su un piatto d’ argento, è il frutto di un forte impegno della dirigenza associativa che ha bussato alle porte giuste, ha usato gli argomenti giusti al momento giusto, ha alzato la voce quando è stato indispensabile. È ancora caldo il ricordo dei duemila ciechi a Piazza Navona e davanti a Palazzo Chigi, gli incontri con i Senatori e con il Sottosegretario Gianni Letta, l’infinita rete di rapporti tessuta successivamente, con sapienza e pazienza, da Ministro a Ministro, da Sottosegretario a Sottosegretario.
L’aumento dell’indennità speciale dei ventesimisti ci porta con la mente al duro contrasto avuto con la dirigenza dell’Ente Nazionale Sordomuti che, sull’onda dell’emozione, aveva equivocato e male interpretato la circolare della Presidenza Nazionale, con la quale annunciavo che i fondi stanziati nella prima stesura della finanziaria, finalizzati all’aumento delle indennità dei ciechi e dei sordomuti erano stati utilizzati solo per i sordomuti, e invitavo alla mobilitazione. È stata una vicenda triste e dolorosa, che ha messo a nudo tutte le contraddizioni della Federazione tra le Associazioni Nazionali dei Disabili, incapace di resistere al richiamo della foresta. Ma, alla fine, tutto è bene quel che finisce bene: il contrasto è stato superato grazie al senso di responsabilità di tutti e in particolare, mi sia consentito, per la responsabilità di chi scrive.
Credo fermamente e sinceramente nel ruolo della Federazione ed è solo per questo che ne ho accettato la presidenza, ma la mia idea della Federazione è abbastanza diversa da quella della generalità degli altri componenti. Vorrei dare alla Federazione lo stesso sprint che abbiamo dato all’Unione, lo stesso metodo di gestione democratico, la stessa divisione del lavoro con l’assunzione di responsabilità di tutti, lo stesso spessore partecipativo e democratico. Vorrei darle una strategia, tracciare un percorso, vorrei che tutti sapessimo chi siamo e dove vogliamo andare, vorrei darle insomma un’anima, un cuore capace di battere di fronte al mare dei bisogni infiniti dei disabili e di insorgere di fronte all’ingiustizia dei diritti negati e invece no.
Con l’avvento della mia presidenza, la Federazione si è data finalmente la struttura prevista dallo Statuto; oltre al Comitato, l’Assemblea e le Commissioni di Lavoro, abbiamo una rivista mensile "La Sfida", una trasmissione radiofonica settimanale, ma sono spesso scatole vuote che da solo non posso assolutamente riempire. Tutto questo mi dà un senso di impotenza, mi fa sentire solo, un capitano alla guida di una nave senza equipaggio.
Una Federazione così non solo è destinata a non incidere mai sulle politiche sociali del Governo, ma è destinata fatalmente a perdere anche il suo confronto con la FISH, la Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, con la quale invece bisognerebbe cominciare a dialogare seriamente: l’unità non è un valore soltanto per i ciechi, lo è per l’intero mondo della disabilità. Chi mi conosce sa che non mi arrendo, continuerò a stimolare, a pungolare, a tessere la tela di un progetto compiuto, se dovessi fallire avrò almeno il merito di averci provato con ostinazione.
Ed ora veniamo alle cose di casa nostra, al nostro cantiere, ad alcune priorità che incombono con prepotenza perché sono state iniziate e poi lasciate lì, sospese sul filo dell’incompiuto e chiedono di essere realizzate presto, possibilmente domani.
In cima ai nostri pensieri il Centro di recupero sociale per i ciechi pluriminorati: abbiamo il terreno, gli architetti, la prima fase del progetto, ma mancano i soldi, tanti soldi per un’opera grandiosa che ha l’ambizione di porsi come modello per l’Europa; una specie di università internazionale che compie una ricerca sistematica per esplorare le capacità residue delle diverse tipologie di ciechi pluriminorati e farle emergere limpidamente come fiore dal deserto. Abbiamo pensato molto a questo progetto, noi della Direzione Nazionale, abbiamo discusso più volte approfonditamente, abbiamo avuto dei dubbi, tanti dubbi, ci siamo divisi tra ottimisti e pessimisti, ma alla fine all’unanimità abbiamo deciso di volare alto perché ne vale la pena. Busseremo a più porte, batteremo più strade, percorreremo più sentieri con la fiducia che qualche mano invisibile ci condurrà al posto giusto.
Ho difficoltà a cambiare argomento, a scendere dalle altezze delle cose belle per parlare di questioni che ora mi appaiono piccole, assai piccole, eppure anch’esse importanti.
Stiamo per raccogliere finalmente i frutti dell’enorme lavoro svolto dall’Unione Italiana dei Ciechi in materia di accessibilità alle nuove tecnologie. Ricordo l’intervento su Prodi per la patente informatica, sul Governo per l’adozione delle linee guida del W3C, per l’emanazione delle circolari della stessa Presidenza del Consiglio prima e dell’AIPA poi, per ottenere che tutti i siti web degli uffici pubblici fossero resi accessibili entro sei mesi, la costituzione dell’Osservatorio per i Siti Internet ed altro ancora.
Abbiamo creato intorno a questo problema, grazie al lavoro dell’OSI sugli uffici pubblici e privati, e ai numerosi interventi effettuati dai partecipanti alle diverse liste, una grande sensibilità da parte delle autorità di Governo. Ci sembrano maturi quindi i tempi per ottenere una legge che obblighi tutti gli uffici pubblici e privati a rendere accessibili i loro siti, in tal senso si è pronunciato il Ministro per l’Innovazione tecnologica Lucio Stanca, nella seconda Conferenza sulla disabilità tenutasi a Bari il 15 e 16 febbraio 2003.
Esistono buone possibilità che il Governo si faccia carico di presentare un disegno di legge sulla non discriminazione: in tal senso si è impegnato il Ministro per le Pari Opportunità, Stefania Prestigiacomo. Il provvedimento, qualora approvato, renderebbe concretamente esigibili i diritti dei disabili, perché in caso di discriminazione la vittima potrebbe rivolgersi al tribunale ordinario per ottenere la rimozione della discriminazione, nonché il risarcimento danni.
Enormi difficoltà, invece, incontra il testo unificato in discussione alla prima commissione del Senato che prevede il riconoscimento per le associazioni storiche della qualifica di associazione di interesse pubblico, la partecipazione all’8 per mille sull’IRPEF e la possibilità, per le associazioni storiche, di esercitare le attività di patronato. Contro il disegno di legge si è scatenata una furiosa opposizione da parte di tutte le associazioni non storiche e del terzo settore che chiedono pari riconoscimenti. La protesta ha prodotto la presentazione di alcuni emendamenti che snaturerebbero il provvedimento. Sono in corso trattative per ottenere che alle storiche sia riconosciuta, almeno, la qualifica di associazioni che possono svolgere attività di patronato.
Altrettante difficoltà incontra il regolamento attuativo della legge 69/2000 per la riforma degli istituti atipici. La legge stanzia notevoli risorse per il sostegno all’integrazione scolastica. Il regolamento, dopo aver superato gli scogli di numerosi pareri, è approdato al Consiglio dei Ministri dove si è bloccato perché a parere del Ministro per le riforme istituzionali la materia riguarderebbe le Regioni e non lo Stato.
Vorrei concludere questo excursus con qualche riflessione sul tema della parità uomo-donna e sul 2003 quale anno dedicato alle persone con disabilità, ma sui due argomenti non potrei dire nulla di più di quanto contenuto nei due documenti da me realizzati. L’articolo "Il filo di Arianna" e il discorso pronunciato a Bari nella conferenza di lancio dell’Anno della disabilità. I due documenti sono parte integrante delle presenti conclusioni e sono posti all’attenzione del Consiglio Nazionale affinchè, se condivisi, cessino di essere pensiero esclusivo del Presidente Nazionale per diventare patrimonio comune dell’intera Unione Italiana dei Ciechi, alle cui bandiere rendiamo ancora una volta rispettosamente omaggio.
IL FILO DI ARIANNA
Sono ormai 17 anni che ho l’onore di guidare l’Unione Italiana dei Ciechi davvero tanti, ma ancora pochi rispetto alla voglia sempre crescente di dare un contributo al riscatto dei ciechi e degli ipovedenti italiani. Una voglia che si fa sempre più consapevole, e quindi più forte.
Durante questi anni ho indirizzato numerosi appelli e messaggi, qualche mala lingua potrebbe dire troppi, ai dirigenti associativi, mai però in occasione dell’8 marzo.
Non certo per mancanza di sensibilità o di attenzione verso la parte maggiore, e forse migliore, della nostra associazione, quella poeticamente definita "l’altra metà del cielo", ma semplicemente perché ritenevo naturale che tutti considerassero quella parte del cielo una grande risorsa, una miniera di energie creative, di intuizioni profonde, di buon senso, di sentimenti altamente etici, così come ho avuto più volte occasione di scrivere nei documenti ufficiali.
Evidentemente mi sbagliavo: i fatti incontestabilmente dimostrano che le donne, salvo lodevoli eccezioni, sono scarsamente coinvolte nella vita associativa, e sono rigorosamente tenute lontane dai posti di responsabilità. Tutto questo non è solo una ingiustizia, è anche e soprattutto una sciocchezza che priva la nostra associazione di una diversità, di un valore aggiunto che potrebbero darle uno stile diverso, quel tanto di nuovo che questo tempo reclama con forza.
Le donne non vedenti, storicamente discriminate due volte, perché donne e perché cieche, hanno in sè una prepotente ansia di riscatto che, potrebbe risultare vincente nella lotta contro il pregiudizio sociale. Fu il filo di Arianna a guidare la spada di Teseo contro il Minotauro.
Recentemente le donne cieche, riunitesi a Tirrenia in occasione di un seminario di studio, hanno redatto un documento nel quale hanno espresso tutta la loro amarezza, la profonda delusione e anche il grande dolore per l’atteggiamento dei dirigenti nazionali, regionali e provinciali che le trattano in molti casi con sufficienza e superficialità, ignorandole e disconoscendone problemi e bisogni.
La Direzione Nazionale, dopo aver esaminato attentamente il documento, mi ha delegato a farmi carico del problema: cosa che ho fatto puntualmente, partecipando ad una riunione della Commissione per i problemi delle donne, coordinata da Vanda Dignani.
L’incontro è stato sereno e costruttivo come sempre, abbiamo esaminato il documento nel dettaglio e mi sono impegnato ad adoperarmi per soddisfare alcune esigenze prioritarie, fra le quali segnalo: l’espletamento di una indagine conoscitiva sui problemi della donna non vedente, da realizzare mediante l’utilizzo dei giovani del servizio civile volontario che lavorano presso le sezioni provinciali, sulla base di un questionario predisposto dalla Commissione per i problemi della donna non vedente; la celebrazione di un convegno nazionale nel prossimo autunno su tematiche specifiche delle donne ed in particolare delle donne non vedenti; la realizzazione di un corso I.Ri.Fo.R. per istruire una ventina di docenti capaci di organizzare sul territorio corsi di autonomia personale e domestica.
Alla fine dell’incontro, parafrasando Aurelio Nicolodi, ho ricordato loro che il riscatto delle donne non può venire che dalle donne.
Per i motivi sopra indicati mi sono deciso a rompere il tradizionale silenzio in occasione dell’8 marzo e a scrivere questa lettera aperta, per dirvi con il cuore in mano, ancora una volta: aiutiamo le nostre compagne a sentirsi a loro agio nella nostra casa comune, a sentirsi considerate, stimate, valorizzate, in modo da sviluppare un sentimento di appartenenza sulla base della pari dignità e delle pari opportunità.
Come possiamo negare ad esse ciò che quotidianamente chiediamo al Governo, al Parlamento, al Sindacato, alla società civile per tutti i ciechi?! Costituisce una vergogna essere stati costretti a scrivere nello Statuto Sociale che in tutti gli organismi associativi almeno un terzo deve essere di sesso diverso. Questa norma certifica la indisponibilità dei maschi nei confronti delle donne; la partecipazione e la democrazia non dovrebbero mai essere imposte per decreto. Questa vergogna può essere cancellata attraverso un salto di qualità culturale che spazzi via la muffa dei pregiudizi atavici: apriamo porte e finestre e facciamo circolare l’aria nuova della pari dignità e della diversità come valore.
Il 2003 è stato dichiarato dall’Unione Europea l’Anno Europeo della persone con disabilità, e recentemente ad Atene è stata tenuta la cerimonia di apertura; a giorni la cerimonia sarà ripetuta a Bari il giorno prima della Seconda Conferenza Nazionale sulla Disabilità; un pullman appositamente attrezzato girerà tutta l’Europa per sensibilizzare l’opinione pubblica sui diritti dei disabili. In Italia arriverà in ottobre e vi rimarrà sino alla fine di novembre, quando ci sarà la cerimonia di chiusura dell’anno europeo delle persone con disabilità.
Il Governo, le Regioni, le Province, i Comuni, l’associazionismo, il mondo del volontariato sono impegnati nell’organizzazione di convegni, tavole rotonde, conferenze stampa sui singoli aspetti della disabilità. Il fine di tutto questo è introdurre un cambiamento profondo nella cultura sulla disabilità, che dovrà essere considerata un valore; cultura che dovrà garantire ai disabili diritti concretamente esigibili ed una vita indipendente.
L’Anno Europeo della disabilità mi sembra una straordinaria occasione per rendere visibili i problemi delle donne non vedenti e inaugurare nei loro confronti una stagione nuova che le ponga in posizione di parità. Dunque, l’8 marzo 2003 dovrà essere una speciale giornata da dedicare alle nostre compagne e dovrà essere solo l’inizio di un atteggiamento nuovo e positivo.
Questa Presidenza prendendo spunto da una idea di una commissione europea per i problemi delle donne, proporrà alla Direzione Nazionale l’istituzione di un Premio per la parità, da assegnare periodicamente alle nostre strutture periferiche che si saranno maggiormente distinte in tema di partecipazione delle donne alla vita associativa. Naturalmente l’istituzione del premio non può essere una ragione sufficiente per un cambio di politica, ma sicuramente può essere una occasione in più per fare emergere una problematica che merita tutta la nostra attenzione e la nostra considerazione.
Dunque ancora un appello, ma per una causa giusta.
DISCORSO DI BARI
2003: Anno europeo delle persone con disabilità
Signor Ministro Maroni, Signor Sottosegretario Sestini, autorità, signori e signore, è un grande onore per me prendere la parola in una assemblea così qualificata.
È inoltre un onore ed un privilegio parlare a nome della Federazione tra le Associazioni Nazionali dei Disabili (FAND) che rappresenta l’Associazione Nazionale Mutilatati ed Invalidi Civili Presidente Giovanni Pagano, l’Associazione Nazionale Mutilatati e Invalidi del Lavoro Presidente Pietro Mercandelli, l’Ente Nazionale Sordomuti Presidente Ida Collu, l’Unione Nazionale Mutilati per Servizio Presidente Franco Cesareo, l’Unione Italiana dei Ciechi: le 5 associazioni nazionali che nella loro storia pluridecennale hanno radicalmente cambiato il destino dei disabili portandoli dagli angoli delle strade, dai gradini delle chiese, alle fabbriche, agli uffici pubblici e privati, alle cattedre universitarie, rivendicando per loro il diritto di essere studenti fra studenti, lavoratori fra lavoratori, cittadini fra cittadini, uomini fra uomini.
La FAND, pur rivendicando con orgoglio la centralità del suo ruolo nella tutela degli interessi materiali e morali dei disabili, riconosce il valore del pluralismo associativo quale fonte di ricchezza per la molteplicità delle esperienze, dei valori, delle idee.
Vede, però, nella eccessiva frammentazione della rappresentanza un impoverimento e quindi una perdita di potere contrattuale. Guarda, quindi, con interesse all’azione della Federazione Italiana per il superamento dell’Handicap (FISH) e al suo tentativo di portare a sintesi le tante voci nuove dell’associazionismo.
La FAND, che già ha aperto le sue porte ad altre associazioni cosiddette non storiche, formula con convinzione l’auspicio, che alla terza conferenza sulla disabilità, i disabili italiani possano presentarsi sotto una sola sigla, con una unica bandiera, con una unica voce: tutti insieme per difendere la nostra dignità di uomini.
Oggi, 14 febbraio, è una giornata importante, non soltanto perché abbiamo avuto la cerimonia di apertura dell’anno europeo delle persone con disabilità, ma anche, e soprattutto, perché mentre noi parliamo gli ispettori delle Nazioni Unite stanno riferendo al Consiglio di Sicurezza sulla loro missione in Iraq. Io vorrei formulare qui un altro auspicio: che dalle loro parole possa levarsi il vento caldo della pace, ne abbiamo tutti bisogno.
Ne abbiamo bisogno per dedicare più tempo, più energie, più risorse economiche, organizzative e tecniche alla causa dei più deboli, che fanno fatica a tenere il passo con il nuovo che avanza. Abbiamo bisogno di pace anche per vivere intensamente l’anno europeo delle persone con disabilità.
Io vorrei dire, innanzitutto, grazie al Forum Europeo della Disabilità e per tutti al suo Presidente, Yannis Vardakastanis, per aver pensato questa iniziativa. Vorrei dire grazie alla Commissione europea, al Parlamento europeo, al Consiglio dei ministri per averla accettata e promossa. Vorrei dire grazie al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e al Ministero delle Politiche Comunitarie per aver creato un organismo di coordinamento ad hoc e per aver coinvolto i disabili.
Il 2003 può diventare un anno storico per i disabili europei, una pietra miliare nel loro cammino verso l’emancipazione. Le mille iniziative che sorgeranno qua e là in Europa, rappresentano una grande opportunità per operare un salto di qualità culturale e guadagnare un atteggiamento positivo da parte dei Governi, dei Parlamenti, dei poteri locali, dei Sindacati dei lavoratori, delle organizzazioni dei datori di lavoro, della società civile, verso una società inclusiva senza barriere e senza discriminazione.
Una società che consideri la disabilità come una questione di tutti, cioè come una questione sociale da trattare con la stessa dignità degli altri diritti umani. Per compiere questo miracolo il movimento dei 37 milioni di disabili europei deve acquistare sempre maggiore consapevolezza del proprio ruolo, del proprio peso, della propria responsabilità, per diventare il motore del cambiamento.
Non partiamo da zero, sulla base dell’art. 13 del trattato di Amsterdam, fortemente voluto dalle organizzazioni dei disabili, l’Europa ha compiuto molti passi avanti sulla strada della non discriminazione: la disabilità infatti è stata tenuta presente nella maggior parte dei programmi di sviluppo e di ricerca, un esempio per tutti il programma "eEurope". Il Consiglio d’Europa svolge una azione positiva nei paesi firmatari della convenzione per la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali e nella Carta dei diritti sociali, art. 15, ha inserito uno specifico riferimento alla disabilità. Nella carta dei diritti fondamentali dei cittadini europei, approvata nel vertice di Nizza 2000, gli artt. 21 e 26 non solo contengono il diritto dei disabili a non essere discriminati, ma anche quello di ricevere sostegno per la loro partecipazione alla vita attiva e produttiva.
Per l’anno europeo della disabilità il movimento dei disabili ha elaborato una piattaforma rivendicativa che trova la sua sintesi in alcuni documenti di base: la dichiarazione di Madrid, le proposte inviate al Presidente Berlusconi in occasione del secondo semestre 2003 della Presidenza Italiana dell’Unione Europea, la classificazione internazionale delle funzioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, il manifesto realizzato dal Forum Europeo della Disabilità a favore delle donne disabili.
La dichiarazione di Madrid, marzo 2002, con il principio: non discriminazione più azione positiva uguale integrazione, propone una vera e propria rivoluzione copernicana nella visione dei disabili, non più oggetto di assistenza, ma detentori di diritti. Non più malati, ma cittadini indipendenti e consumatori. Non più soggetti passivi che lasciano ad altri, ai cosiddetti professionisti, l’onere delle scelte per le questioni che li riguardano, ma persone perfettamente autonome, consapevoli, in grado di assumere le proprie responsabilità. Non più un approccio medico-sanitario con attenzione alle singole minorazioni, bensì un approccio sociale con l’occhio all’ambiente, senza barriere, a misura della disabilità.
Basta con l’etichettare le persone disabili come solo bisognose di cure e di aiuto, ma evidenziare le loro residue capacità lavorative e produttive. Non più scelte economiche e politiche per pochi, ma costruzione di un mondo flessibile, adatto a tutti. Non più segregazione educativa, formativa, lavorativa ma piena integrazione sociale. Non più una politica sociale per la disabilità operata da un Ministero specifico, ma una politica elaborata dall’intero Governo.
Nel secondo semestre del 2003 l’Italia avrà la presidenza dell’Unione Europea e il Forum Europeo della Disabilità ha inviato al Presidente Berlusconi un documento che contiene raccomandazioni affinché la tematica della disabilità trovi adeguato spazio in tutte le aree prioritarie trattate: l’allargamento dell’Europa, la politica dell’impiego sociale, l’educazione, il trasporto, la società dell’informazione, la comunicazione, il turismo, i diritti umani, la globalizzazione, la cooperazione e lo sviluppo, la responsabilità sociale delle imprese, le politiche per i consumatori, i giovani, le donne, la salute.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha rivisitato la classificazione internazionale della disabilità del 1980 fondata sulla tripartizione: minorazione, disabilità, handicap. La nuova classificazione, pubblicata nel 2001, evita di parlare di disabilità, preferisce porre l’accento sulle attività personali residue, evitando, anche, di parlare di disagio nella partecipazione, preferendo l’espressione "diversa partecipazione"; cosicché non avremo più persone disabili ma persone diversamente abili, si preferisce cioè porre l’accento sulla parte piena del bicchiere piuttosto che su quella vuota.
Personalmente condivido questa impostazione a patto che non si pretenda di affermare che il bicchiere mezzo vuoto è uguale a quello pieno e che non occorrono interventi etico-sociali perché le tecnologie sono sufficienti a colmare ogni deficit, chi ha un minimo di onestà intellettuale sa che questa è solo una mezza verità.
Il manifesto delle donne disabili europee, realizzato dal Forum Europeo della Disabilità, passa in rassegna la condizione della donna disabile nei vari momenti della vita e mette in luce come essa sia doppiamente discriminata, come donna e come disabile.
Ecco i documenti di riferimento delle aspettative dei disabili europei, un progetto che contiene il disperato tentativo di uscire dal ghetto verso la pari dignità, le pari opportunità, le pari responsabilità, la pari cittadinanza. Verso la società del mainstreaming, una società che accoglie tutti e che progetta per tutti. Un luogo dove il sentimento di appartenenza si sviluppa sulla base di livelli della partecipazione possibile. Un luogo dove la filosofia della solidarietà e del rispetto dei diritti umani abbia un ruolo centrale e caratterizzante.
Che cosa si aspetta il movimento dei disabili dal 2003? Si aspetta innanzitutto che l’Europa scelga un modello di sviluppo radicato nella civiltà mediterranea, compatibile con la dimensione umana, nel quale sia possibile coniugare mercato e stato sociale, efficienza economica e giustizia sociale.
Si aspetta che l’Europa scelga di utilizzare il fenomeno della globalizzazione, reso possibile dall’esplosione del miracolo tecnologico, per allargare l’area delle libertà fondamentali, dei diritti umani, della democrazia, per ridurre gli squilibri nord e sud ed evitare che i ricchi diventino sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri.
In particolare si aspetta che l’Europa compia altri passi avanti verso l’integrazione sociale delle persone disabili. Che tra i criteri di ammissione dei nuovi paesi all’Europa allargata ci sia quello della non discriminazione ai disabili.
Che il Consiglio d’Europa inserisca nella convenzione per la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, all’art. 14 che parla di non discriminazione, uno specifico riferimento alla disabilità e che analogo riferimento sia inserito nella parte quinta lettera e) della carta dei diritti sociali.
Che nella futura Costituzione Europea, che la Convenzione per l’avvenire d’Europa sta preparando, compaia la carta dei diritti fondamentali dei cittadini europei approvata a Nizza e che in essa siano presenti valori come le pari opportunità, l’inclusione sociale, l’equilibrio fra i processi economici e quelli sociali, lo sviluppo compatibile, la lotta alla discriminazione. Che l’Unione Europea svolga un ruolo attivo nel processo di elaborazione della convenzione internazionale per i diritti dei disabili che il comitato ad hoc delle Nazioni Unite sta preparando per rendere vincolanti i principi già contenuti nelle regole standard delle pari opportunità.
Per ultimo, ma non ultimo, che approvi una specifica direttiva sulla disabilità. Per venire al nostro paese, che cosa ci aspettiamo dalla Presidenza Italiana dell’Unione Europea? Dopo aver plaudito all’iniziativa di realizzare un portale completamente accessibile a tutti e di istituire un premio per le imprese che favoriranno l’occupazione di disabili, ci aspettiamo che il convegno di Milano sulla non discriminazione, la tavola rotonda di Torino sulla povertà e l’esclusione sociale, il Convegno di Venezia sulla responsabilità sociale dell’impresa e quello di Modena sull’allargamento dell’Europa, siano altrettante occasioni per accendere i riflettori sui problemi dei disabili e dar loro il massimo di visibilità.
Che cosa ci aspettiamo nel 2003 da parte del Governo e del Parlamento italiano? Ci aspettiamo innanzitutto che sia istituzionalizzato il dialogo tra Governo e movimento dei disabili, che sia cioè riconosciuto ad esso il diritto di avere una propria rappresentanza, da coinvolgere in modo attivo organicamente e sistematicamente ogni qualvolta si tratti di materie che riguardano i disabili.
Ci aspettiamo che venga valorizzato al massimo il ruolo delle associazioni nazionali dei disabili più rappresentative, e che sia dato loro il necessario sostegno economico per poter svolgere il loro diritto dovere di tutela e di rappresentanza degli interessi morali e materiali dei propri iscritti.
Ci aspettiamo che su iniziativa del Governo il Parlamento italiano approvi una legge sulla non discriminazione, che renda concretamente esigibili i diritti dei disabili con la possibilità di ricorrere al Tribunale in caso di inadempienza, per ottenere la rimozione della discriminazione e il conseguente risarcimento danni. Che venga recepita la direttiva europea sulla non discriminazione in materia di impiego. Che su iniziativa del Governo il Parlamento approvi una norma che renda obbligatoria l’accessibilità dei siti web pubblici ai disabili e preveda forti sanzioni per coloro che non ottemperano.
Ci aspettiamo che nell’ambito della lotta alla povertà siano aumentate le pensioni e le indennità dei disabili, al momento largamente al di sotto del minimo INPS.
Ci aspettiamo che venga rapidamente approvato il regolamento attuativo della legge 69/2002, che prevede la riforma delle scuole atipiche per il sostegno ai ragazzi disabili sulla base delle loro specifiche necessità. Che venga finalmente applicata la legge 68/1999 sul collocamento obbligatorio dei disabili finanziando adeguatamente gli incentivi per le imprese ed erogando sanzioni per gli inadempienti. Che sia migliorato il finanziamento della legge sulle barriere architettoniche per favorire la circolazione dei disabili sui treni, sulle navi, sugli aerei, negli edifici pubblici, sui mezzi pubblici e privati. Che sia data priorità assoluta al problema delle persone con necessità complesse ad alta dipendenza, in altre parole al problema dei pluriminorati, i cosiddetti gravissimi.
Vorremmo finalmente che anche per loro si accendesse, oltre alla luce dell’assistenza, anche quella del recupero sociale, senza tacere naturalmente del sostegno alle famiglie che assistono i pluriminorati.
Che cosa ci aspettiamo dai datori di lavoro? Che finalmente la presenza del disabile nell’impresa non sia vissuta più come un peso ma come una risorsa.
Che cosa ci aspettiamo dall’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani, dall’Unione delle Province, dalla Conferenza delle Regioni? Che esse prendano coscienza della centralità del loro ruolo, del sistema integrato dei servizi alla persona, che pongano in essere politiche adeguate alle esigenze dei tempi.
Che cosa ci aspettiamo dalla società civile? Che finalmente smetta di avere pregiudizi negativi o positivi nei confronti dei disabili, considerati a volte solo dei poveretti, altre volte persone eccezionali e ci conosca per quello che siamo veramente: persone come tutti gli altri.
È tempo di concludere questo intervento, ma prima di farlo devo segnalare due esigenze specifiche: l’ENS è preoccupato per alcune notizie che vengono dal Food and Drag Administration, un istituto scientifico molto accreditato in America secondo il quale alcuni casi di infezioni cerebrali e di meningite verificatesi qua e là nel mondo sarebbero da collegare all’impianto cocleare, il fenomeno pur essendo di proporzioni assai limitate non può non turbare la comunità dei sordi, che fra l’altro lamenta di non essere stata informata ufficialmente; l’ANMIL registra con estrema preoccupazione il fenomeno dell’aumento degli infortuni sul lavoro e dei casi di mortalità che ritiene collegabile anche alle nuove forme di lavoro precario, chiede quindi più informazione ai lavoratori e controlli sulla sicurezza.
Ho esordito dicendo che consideravo un onore ed un privilegio rappresentare la FAND, ma è stata anche una grossa responsabilità, perché non è facile, in pochi minuti, dare voce adeguata alla vasta gamma dei bisogni di un mondo così complesso, quale è quello della disabilità. Dunque tutti a bordo, a bordo della nave della vita per rendere la navigazione più agevole per tutti.
Il sole sorge dal mare perché il mare lo aiuta a sorgere diceva Yannis Vardakastanis, presidente del Forum, citando un poeta greco. Anche i disabili vogliono uscire dal ghetto e per questo chiedono un impegno forte delle istituzioni.
Io vorrei concludere, però, parafrasando Aurelio Nicolodi, il fondatore dell’Unione Italiana dei Ciechi, il quale ammoniva: la salvezza dei ciechi può venire solo dai ciechi. Io dirò qui: oggi la salvezza dei disabili può venire solo dai disabili. Citerò ancora un grande: Carlo Delcroix un medaglia d’oro di guerra pluriminorato: alzatevi si è fatto giorno anche per noi.
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