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Quando l'handicap sconfigge il terremoto (Articolo pubblicato su “Donna moderna” del 20 maggio 2009) di
Antonella Trentin foto di Massimo Sestini In
Abruzzo, tornando
a
casa È
il momento di andare avanti. Di ricominciare a vivere. Accompagnati dalla
psicoterapeuta Maria Rita Parsi, che ha ambientato il suo romanzo d'esordio
proprio nella regione martoriata dal sisma, abbiamo incontrato uomini e donne
coraggiosi. Che il dolore non ha spezzata. E che guardano al futuro con speranza. È tempo di ricominciare a vivere, di tornare a casa o di costruirne una nuova, allontanando le rovine. «È passato un mese ormai da quella notte terribile, il 6 aprile, quando i palazzi si alzavano e si abbassavano sulle fondamenta» racconta Franca Fiordigigli, scampata alle scosse di Paganica, frazione de L'Aquila «Chi era all'interno aveva l'impressione di essere colpito da un gigantesco mitragliatore». Un'arma spietata, governata dalle forze della natura, che lacerava pareti, muri di cartapesta, a volte riempiti di sabbia di mare. Quasi 300 morti sono rimasti sotto le macerie. Il quotidiano “Il Centro” li ricorda, con rispetto e umanità, sul proprio sito: di ognuno ci sono le foto, i dati anagrafici, le storie. Una moderna Spoon River. Chi è rimasto, però, sa che è giunto il momento di guardare avanti. Il 53 per cento degli edifici è stato giudicato agibile e il sindaco de L'Aquila firma ogni giorno i permessi per “tornare a casa”, formula che ricorda il titolo di un famoso film con Jane Fonda sul rientro di un reduce dal Vietnam. Anche qui, a Paganica, sembra di essere in Vietnam, i calcinacci per terra, la bella chiesa dell'Immacolata che pare sventrata dalle cannonate. Come turisti surreali, ci aggiriamo per i vicoli abbandonati Maria Rita Parsi, psicoterapeuta e scrittrice, e io, pronta a registrare le poche voci che s'incontrano in questo deserto. Maria Rita ha appena pubblicato un romanzo che parla d'Abruzzo, Alle spalle della luna, edito da Mondadori e uscito proprio il giorno dopo il terremoto. Cosi abbiamo deciso di tornare, insieme, sui luoghi martoriati che fanno da sfondo al libro: un omaggio a questa terra sofferente. Nelle pagine della Parsi, più delle città medioevali, emerge il paesaggio umano: «Un popolo fiero, coraggioso» dice «che rinasce dalle rovine della seconda guerra mondiale. Il carattere della gente è rimasto lo stesso. Gli aquilani hanno reagito al terremoto con la stessa forza e compostezza del 1945». Basta guardare Franca Fiordigigli, fisioterapista, e il suo compagno Giuliano Bruno. La loro casa, a Paganica, sembra quasi intatta, ma dentro è venuto giù di tutto, la parete delle scale si è aperta in profonde ferite. Franca e Giuliano non sanno quando potranno tornare, ma vanno a trovare il loro appartamento di tanto in tanto. Da un mese sono accampati nel giardino di Raimondo Friscioni, un pensionato di 73 anni, un compaesano generoso. «Ecco qua» ride Franca. «Questo è il foglietto per sottoscrivere l'abbonamento a Donna Moderna. Stavo per mandarlo, quando c'è stato il terremoto. Ora non so più che indirizzo metterci». Loro, infatti, non vivono nelle tendopoli come tutti gli altri, perché Giuliano è cieco e avrebbe difficoltà a muoversi in spazi collettivi. Il terremoto non gli ha fatto perdere l'ironia e il buon umore. Sorride quando ti dice: «Ventuno secondi possono cambiare una vita. Per esempio scopri che lusso sia fere una doccia. In queste due tende abbiamo dormito in 30 e l'acqua è tornata solo tre giorni fa». Se ne sta seduto sotto un gazebo davanti a un computer, recuperato grazie ai vigili del fuoco, e ascolta un libro di storia moderna: sta preparando un esame all'università. «Ho scannerizzato il volume e il pc lo legge per me con un sintetizzatore vocale» spiega. «Aver scannerizzato tanti volumi è stata una fortuna, perché ora la bella biblioteca de L'Aquila non esiste più, cosi ho prestato i miei testi digitali agli altri studenti». Anche Giuliano sembra uscito da un romanzo. Maria Rita lo guarda incantata e abbraccia la cagna labrador Luna che fa da guida a Giuliano. «Si chiama come il titolo del mio libro» dice. Raimondo e sua moglie Graziana, loro sì, potrebbero tornare a casa, a pochi metri dalle tende. «L'hanno dichiarata sicura» spiega lei. «È bella forte, anche perché l'abbiamo costruita con le nostre mani. Ma mio marito, appena sente una scossa, diventa bianco come un lenzuolo. Fin quando lo sciame sismico non sarà finito non ci rimetteremo piede». Come loro ragiona la stragrande maggioranza degli aquilani «Non posso dargli torto» dice il sindaco Massimo Cialente. «Ogni giorno si sente la terra tremare sotto i piedi». Alla fine Raimondo si fa coraggio e ci accompagna su: l'appartamento è intatto, i lampadari di cristallo sono al proprio posto, in fondo al corridoio si scorge anche una stanza da ragazzo, in perfetto ordine. «Avete un figlio?» domanda Maria Rita. «L'avevamo» sospira cupo Raimondo. «È morto in un incidente, aveva solo 21 anni. Quello è stato il terremoto più drammatico». «Quando c'è una catastrofe» commenta la Parsi carezzandogli la spalla «riporta alla luce tutte le devastazioni antiche, i lutti». Ma
anche una tremenda voglia di vivere, come quella della famiglia Brandolini,
ospitata nella tendopoli di Bazzano. Loro non sono nell'elenco di quelli che I
rientreranno nella loro casa. «Ci siamo salvati calandoci giù con una corda»
racconta Edoardo, il padre. «Il nonno, che è morto due anni fa, ci
diceva di tenere sempre li la corda, che prima o poi sarebbe arrivato il
terremoto» ricorda Lisa, la figlia. «Meno male che l'abbiamo ascoltato. Per la
casa, pazienza, la ricostruiremo. E anche noi, presto, torneremo in un posto
tutto nostro».
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